12

Questa terribile faccenda di Kimberley, in aggiunta a tutto il resto, colpì profondamente Mansel Shale. E per forza. Non appena ricevuta la notizia capì che doveva andare sia al funerale della ragazza che a quello di Tim Montain. Pregò Denzil di accompagnarlo di corsa alla casa al faro di Ivis, per comunicarglielo. Non erano discorsi da farsi per telefono. Passeggiarono lungo il sentiero sulla scogliera, infagottati nei soprabiti, mentre Denzil aspettava dentro la Jaguar. Dio, Shale tutto questo non lo poteva sopportare: il rumore del mare e poi i gabbiani e poi la vista delle rocce con le cime marroni in mezzo ai flutti. La natura ti diceva che lei stava lì da così tanto di quel tempo che il mondo dell’impresa non contava nulla, che alla fine tutto quanto si risolve da sé. Cazzate. Bisognava fare qualcosa. Non bastava ammirare le scogliere e gli uccelli marini che si tuffano, c’era bisogno d’intraprendenza, e di prendersi cura delle persone, e certe altre persone bisognava schiacciarle se si mettevano in mezzo: che poi era la stessa cosa, perché ne schiacci certune in modo da poter proteggere quelle vicine a te. La natura e tutto ciò che è eterno potevano pure andare a farsi fottere.

Ma ad Ivis piaceva passeggiare, sicché Shale di tanto in tanto lo assecondava. Alfred si guardava intorno come se tutto quello scenario appartenesse a lui, come un’estensione del faro. «Intendo dire, qui si va di male in peggio, Alfred» disse Shale. A casa di Ivis, Shale lo chiamava sempre Alfred, senza diminutivi, perché Ivis pensava di avere tutta una sua dignità in quell’ambientazione, e la gente devi compiacerla, quand’è possibile. «Qualcuno dovrà pure ribadirli, certi valori».

Anche se riguardo a Kimberley il quadro non era tanto chiaro, Shale sentiva che non ne sarebbe venuto nulla di buono. «Non stiamo parlando di un postaccio come Sphere Street, Alfred. Parliamo di Letchworth Avenue. Non dico che ci trovi i soldi o la vera classe, però quei posti lì un pochino di dignità ce l’hanno. La conosci la parola decoro? E dove va a finire il decoro se ti arrivano i gorilla da Dio sa dove, a insudiciare una casetta onesta, in una strada pulita? E poi le violenze subite da un abitante del luogo, in mezzo agli eucalipti? Bisogna che io faccia un gesto contro tutto ciò».

«Be’, con rispetto parlando, Manse, l’abitante del luogo di cui stai parlando è Jack Lamb, che è...».

«... che è più torto di una doppia curva, ma questo non significa che degli estranei possano aggredirlo impunemente in un quartiere perbene. La civiltà si regge sugli sgobboni che vivono da quelle parti, Alfred, forse addirittura più che non sugli imprenditori come il sottoscritto, che oggi ci sono e domani non si sa».

«Mansel...» protestò Ivis, «sono certo che nessuno ti considera...».

«Lo so cosa dite tu e W. P. Jantice riguardo alla prudenza, ma una città deve saper reagire a certe birichinate. E se il Capo mi vede partecipare a queste tristi cerimonie capirà che cosa significa la mia presenza. Significa che per me le tradizioni sono un fatto importante e che desidero stare al suo fianco per difendere certi valori, contro la violenza di questi intrusi. Alfred, è così che la grande alleanza tra la polizia e la Mansel Shale Incorporated potrebbe materializzarsi. La Jaguar darà un po’ di stile a questi riti da poveracci, dirò a Denzil di mettersi il suo berretto nero da chauffeur. Io ho il preciso dovere di portare l’abbigliamento sartoriale in mezzo al loro cordoglio sciamannato. La gente da me se l’aspetta».

«Manse...».

Fecero dietrofront. Shale ne aveva avuto abbastanza della costa. «Alfred, io non faccio che pensare a quei due che si nascondono... quello che guidava la Carlton... ’sto ragazzo... nero, all’incirca dell’età di Timmy e...».

«Neville. Neville Greenage».

«Sissignore, Neville. E Mister Kalashnikov».

«Earl».

«Earl, il buco del culo. Sicuramente da me s’aspettano un addio come si deve a Timmy Montain, il loro collega. E pure alla ragazzina, sissignore. La nostra azienda deve fare un gesto significativo, Alfred, e loro se l’aspettano. Tu mi dirai guarda che la pallottola in testa a Timmy gliel’ha messa uno di quei due e probabilmente uno di quei due ha sbocciato la ragazza, però noi il quadro preciso non ce l’abbiamo, dico bene? Io sento che la mia partecipazione a queste funzioni è dovuta, è dovuta a loro due personalmente e a tutta la nostra... insomma... a tutta la nostra cultura».

Ivis disse: «Capisco perfettamente il tuo pensiero, Manse, e tuttavia le cose potrebbero andare parecchio di traverso».

E invece nulla andò di traverso, o perlomeno non dopo che il secondo funerale, quello di Timothy, era già bello che terminato. Shale non si pentì mai di aver partecipato a nessuno dei due.

Quello della ragazza fu alla Cappella Evangelica e quello di Timmy, il giorno dopo, alla Chiesa Anglicana. Shale non aveva nulla da obiettare né in merito al primo posto né in merito all’altro. Probabilmente entrambi avevano il proprio ruolo. Fu contento che quello della ragazza non fosse in chiesa, perché questo voleva dire niente vicario mangiaufo con la toga addosso, a far svolazzare quelle ali nere da corvo sulla cassa da morto piccina piccina.

Qui la funzione si svolgeva accanto alla tomba, presieduta da un tizio qualsiasi, in giacca e cravatta scura, nemmeno il collare. Shale capì che non era il caso di mettersi a strillare «non è giusto» e cose del genere, nonostante le piccole dimensioni della bara. Alle pareti della Cappella Evangelica vide scritte parole belle e confortanti riguardo alla vita dopo la morte, molto probabilmente prese dalla Bibbia o da quel genere di antica pubblicazione. Era d’aiuto tenere a mente queste parole nel momento in cui dovevi guardare una cassa da morto così piccina con dentro una baby-corriera molto malridotta, perché tutto questo aveva un aspetto molto diverso dalla vita eterna, girala e voltala come ti pare.

Shale immaginò che la madre della ragazza fosse quella lì, in prima fila. Stava seduta accanto a due uomini e una donna. L’uomo alla sua destra, con la giacca di pelle nera, poteva essere il patrigno della ragazza. Se non ricordava male aveva sentito dire che l’attuale compagno della madre lavorava all’estero. Alfie sarebbe stato in grado di confermare o meno. Se questo compagno era venuto per il funerale da molto lontano, affrontando grandi spese, be’, era una bella cosa. Alcune di ’ste famiglie avevano una loro rettitudine, nonostante tutto. La madre vestiva di blu scuro, non di nero, con una sciarpa scura a righe arancione sui capelli. Shale pensò che fosse una cosa ragionevole, oggi come oggi. L’altro uomo e l’altra donna seduti sulla stessa panca erano giovani. L’uomo portava un completo e la donna una blusa color crema e la gonna di pelle rossa, che con il lutto non c’entrava un granché. Shale e Ivis rimasero in fondo alla sala, e durante la funzione lui poté vedere il gruppetto della madre soltanto da dietro. Si domandava se l’uomo e la donna giovani fossero fratello e sorella. Fuori, per strada, li guardò per benino, frontalmente. Sembravano pieni di arie e pure un po’ nervosi, e lui immaginò fossero cronisti londinesi del giornale che aveva preso l’esclusiva della madre.

Erano lì per scrivere del funerale e per proteggere il proprio acquisto. La stampa ha un ruolo importante, per certi versi. Shale avrebbe dovuto far qualcosa per la signora dal punto di vista economico, se i giornalisti non fossero arrivati contante alla mano.

Nonostante Ivis avesse ancora dei dubbi, lo aveva accompagnato. Ai funerali Shale fu ben attento ad evitare qualsiasi comportamento da capoccia. «Profilo basso, Alfie» tenne a precisare. Per questo s’erano messi a sedere in fondo. Shale aveva mandato i fiori a tutt’e due le famiglie, con la firma di suo pugno sul biglietto. Se in quel momento avesse avuto una compagna ci sarebbero stati due nomi, con tutto un senso di famiglia e via dicendo, ma la madre di Laurent e Matilda era a chilometri e chilometri di distanza con qualche broker o perito edile, una cosa del genere. I nomi del cazzo dei loro figli li aveva scelti lei. Shale aveva detto a Ivis di mandare i propri omaggi floreali per i fatti suoi. Meglio evitare un biglietto con su scritto «Da Manse e Alf», nemmeno fossero una coppia, anche se lui non aveva nulla contro i gay. Ivis sui suoi biglietti aveva messo un nome inventato. Rex qualchecosa. Era fatto così, sempre guardingo perché conosceva un po’ di legge, e il nome Rex gli garbava perché significa re, cosa che lui non sarebbe stato mai: lui era un uomo di fatica. Il Capo, Iles ed Harpur erano al funerale della ragazza, ma non a quello di Montain. Shale sapeva che Lane l’aveva visto, anche se lui non aveva fatto nulla per attirare l’attenzione. Ne sarebbero germogliate proposte di collaborazione.

Denzil non era convintissimo in merito al berretto, però se l’era messo tutte e due le volte e faceva un figurone: brutto come sempre, però solenne. Shale aveva promesso un extra in busta paga, dato che i funerali non rientravano nel lavoro di Denzil. E fu la faccia di Denzil a far capire a Shale che c’erano grossi problemi. Erano le 11 e 15 circa, fuori del crematorio, dopo che la funzione per Tim Mountain era terminata e la gente era uscita, signora Montain compresa, che non aveva pianto nemmeno una volta. Denzil aveva accostato l’auto al marciapiede per far salire Shale e Ivis. Guidava bene, lentamente e col dovuto rispetto, però Shale notò che aveva l’aria sconvolta e sembrava voler segnalare qualcosa con lo sguardo. Fermò il motore e saltò giù dall’auto, come se volesse aprir loro la portiera. Fino ad allora questo stronzo noioso s’era rifiutato, e Shale pensò che la cosa dipendesse sempre dalla circostanza eccezionale. Bravo. E invece Denzil aprì lo sportello e disse: «Ci sono Neville e il suo amico nascosti dietro».

Shale entrò in macchina, ma non si girò a guardare in basso. Cristo. Sentì che Denzil apriva lo sportello posteriore per Ivis e mugugnava le stesse parole di prima. Poi lo sportello fu richiuso e Denzil ritornò al volante. Mise in moto e partì, sempre con la giusta lentezza. Shale guardò all’esterno ma con circospezione, per cercare di capire se ci fossero poliziotti in osservazione, magari qualche macchina fotografica. Non avvistò nessuno. Fece un breve, amichevole saluto con la mano all’indirizzo della signora Montain, che però seguitò a guardar fisso davanti a sé, col suo solito stile.

«Fortuna che avete lasciato i cappotti, Manse... Alfie...» disse Denzil. «Ci stanno nascosti sotto».

«Restate dove siete, ragazzi» disse Shale senza voltarsi. Dio, poco prima aveva parlato di loro con Ivis, come si parla di qualcosa di lontano, e adesso eccoli lì ’sti rottinculo, come impiegati venuti a timbrare il cartellino.

«E che, non lo sapevo, che lei per il gran finale di Timmy sarebbe stato presente, signor Shale?» replicò Neville Greenage. ’Sto ragazzo non usava mai il nome di battesimo di Shale. Ha tutta una sua importanza, come chiami la gente, per esempio a casa di Alfie lui lo chiamava Alfred, e Neville lo chiamava sempre signor Shale. Neville era un giovanottino a modo, davvero. Neville disse: «Che splendido capoclan che è lei, signor Shale. Lei ha mandato un messaggio al mondo intero. C’era qualche poliziotto dentro, al funerale... Harpur e via dicendo?».

«Non si farebbero mai vedere a un funerale del genere» replicò Ivis.

«Di che genere?» domandò Neville.

Ivis disse: «Genere affari. La ragazza è un altro discorso».

«Ma la ragazza con gli affari c’entrava eccome» obiettò Neville.

«Non è la stessa cosa» disse Ivis. «Era così giovane».

«E poi ha un valore simbolico» disse Shale. «Il declino della civiltà. Lì sì che saranno stati a guardare, a filmare».

«Quelli lavorano così» fece Neville. «Per questo siamo stati molto prudenti, signor Shale».

Shale distingueva perfettamente le sue parole, nonostante giungessero da sotto quei soprabiti di gran qualità. Erano ragionamenti validi.

«Earl dice...».

«Chi?» ribatté Shale. Non aveva intenzione di lasciar passare quel nome lì senza obiezioni.

«Lei lo conosce, signor Shale: Earl. In questo momento sono qui sotto con Earl».

«Quello col Kalashnikov dei miei coglioni?» fece Shale.

«Le cose non sono andate per il verso giusto, lì» fece Neville. «Ho detto ad Earl che lei sarebbe stato senz’altro presente per l’addio a Timmy, di cui abbiamo letto sui giornali, ma lui immaginava che lei non avrebbe voluto correre questo rischio, per via dei possibili collegamenti. Gli ho risposto che non conosceva il signor Mansel Shale».

«Ha detto proprio così» volle rimarcare Earl.

«Perciò siamo usciti e abbiamo aspettato. Poi ho visto la macchina e Denzil con quel berretto assurdo. Non ci ha visto assolutamente nessuno salire a bordo della Jaguar. Non mi sognerei mai di venire a casa sua o a quella del signor Ivis, data la situazione. Quello sì che potrebbe attirare l’attenzione. Non sono stato nemmeno a trovare la mia ragazza, signor Shale. La polizia sa che Tim ed io lavoravamo insieme. Magari sorvegliano casa di Edna».

«Non potevo tenerli fuori dalla macchina» disse Denzil.

«Ma certo che no» fece Shale. «Hanno le loro esigenze. Edna? La conosco?».

Ivis disse: «Neville ed Edna stanno insieme da ventotto o ventinove settimane, dico bene, Nev? Debbo avere un appunto da qualche parte».

Neville disse: «È una cosa seria, signor Shale. È una persona eccezionale, e non parlerebbe mai. Ma io ho pensato, tieniti alla larga. Edna sarà preoccupata, ma tu tieniti alla larga».

«Saggia decisione» fece Shale. Spesse volte la ponderatezza dei giovani era qualche cosa di stupefacente, bianchi o neri che fossero: lui il razzismo lo detestava.

Ci fu un po’ di movimento alle sue spalle, ma nemmeno stavolta Shale si girò a guardare. «No, rimanete sotto i cappotti per un po’» disse loro Ivis. «Siamo ancora vicini al crematorio. Ci sono altre macchine che vanno via».

«C’è un problema di soldi, signor Shale» disse Neville. «Noi volevamo andarcene all’estero per non darle problemi. E vogliamo ancora. Ma i soldi dove stanno? Non abbiamo intenzione di crearle alcun imbarazzo, la prego di credermi. Scompariremo. Quei due di Sphere Street, Billy il Marinaio e Quant, quei due ci andranno cercando, dopo un fatto del genere. Andranno cercando pure lei, signor Shale. Lei è piuttosto vulnerabile... voglio dire, la canonica. È esposta ai quattro venti. Ci vuole prudenza. In ogni caso, noi non dovremmo stare qui. Un aiutino e ci eclissiamo».

«Ci eclissiamo» disse Earl.

Questo significava far pressione in maniera grossolana, e probabilmente la cosa giusta da fare sarebbe stata buttar fuori dalla macchina questi due rompicoglioni. Ma Shale voleva essere comprensivo.

«Earl conosce della gente in Portogallo» disse Neville. «È soltanto questione di arrivarci e di trovare alloggio. Magari in seguito potrebbe venire pure Edna».

«Insomma dove li porto ’sti bastardi?» chiese Denzil. Adesso il berretto se l’era tolto. «Pensavo a casa di Alfie. Nelle vicinanze non c’è nessuno. C’è solo il mare e la merda di pecora. Potremmo andarci subito».

Ivis disse: «Be’, io sarei lieto di ospitare due amici così cari, credetemi, però...».

«Ma che cazzo, vai alla canonica» disse Shale. «Non ci sarà nessun problema».

«Possiamo uscire di qui sotto, adesso, signor Ivis?» chiese Neville. «Non so se ha presente l’alito di Earl».

Ivis rispose: «Stiamo ancora attraversando delle zone dove...».

«Massì, a posto» ribatté Shale. A questo punto si girò, Neville ed Earl salirono sul sedile posteriore, e lui strinse loro la mano con un certo calore.

Non avrebbero mai dovuto ritornare da queste parti, e per giunta stavano cercando di spillar quattrini, ma Shale sapeva di essere l’unico che poteva aiutarli. Lui nel dovere ci credeva. E poi, Nev s’era preoccupato di metterlo in guardia da Billy il Marinaio e via discorrendo. Quei due sul sedile posteriore non avevano poi una gran brutta cera, nonostante tutto. Evidentemente per loro venirlo a trovare era come prendere un cordiale. A questo punto anche Ivis strinse loro la mano. Neville aveva una di quelle facce che si ritrovano certi neri: intelligente, sensibile, la faccia di uno che pensa con la propria testa.

Earl disse: «Come facevo a sparare come si deve? C’era in mezzo ’sta ragazzina, quella che fa le consegne. Anche quando Joe Quant ci è venuto contro non potevo più fare le cose per bene. Forse l’ho pure beccato, ma ad ogni modo ero sconvolto per via della ragazzina».

«L’hai beccata tu» ribatté Shale.

«Io no» fece Earl. «Io proprio no, capito?». Di colpo s’era messo a strillare, con le labbra arricciate e gli occhi da matto. Non andava bene per un’automobile da dirigente d’azienda. Neville si mise a gridare pure lui dicendogli di darsi una calmata. Le voci erano acute e sembravano riecheggiare, come gli allarmi di due auto che si fanno una chiacchierata tra loro in un parcheggio multilivello.

«Non posso essere stato io» mugghiò Earl.

«Vabbè, fatto sta che la ragazza è morta» disse Shale.

«L’abbiamo vista al telegiornale» replicò Neville.

«Si vedrà, che i miei proiettili non l’hanno colpita. Non sarebbe stato possibile, amico mio» disse Earl. Adesso s’era calmato. «Io lo so usare il Kalashnikov. E che, faccio a pezzi una ragazzina?».

«Dov’è adesso?» chiese Shale.

«In fondo al fiume» disse Neville. «Pensavamo di venderlo per smenarci qualcosa, ma Earl...».

«Poteva dare nell’occhio» disse Earl. «Non è che ogni giorno ti offrono un Kalashnikov».

«Bravo, Earl» replicò Shale. Bisogna dare a Cesare, pure se Cesare dà fuori di matto. «E Timothy?». Shale era sempre voltato verso di loro. Le facce possono dirti qualcosa, di tanto in tanto. Ad Earl non stavano bene, quei baffi. Erano baffi da bianco, i baffetti dell’impiegatuccio. Un nero ha bisogno di baffi che dicano vattelo a pigliare nel culo.

«Timmy?» rispose Neville. «Signor Shale, cosa potevamo fare. Abbiamo aspettato, ma alla fine...».

«Abbiamo aspettato...» disse Earl.

«Non potevate fare una chiamata anonima al 999 e lasciarlo lì?» disse Shale.

«Lui non ha voluto» replicò Neville.

«Non ha voluto» disse Earl.

«Mi state dicendo che ha chiesto il colpo di grazia?» domandò Shale.

«Se non potevamo portarcelo dietro, e non potevamo...» disse Neville.

«Questo è quello che ci ha detto lui» fece Earl.

«Ah sì?» ribatté Shale. «E chi gliel’ha dato, il colpo di grazia?».

«Tim ha detto che lei ci avrebbe creduto, in merito alla sua morte, perché lei lo conosceva bene, questo è proprio il suo modo di comportarsi, signor Shale» disse Neville.

«Ah sì?» fece Shale. «Chi gliel’ha dato?».

«Ha detto proprio così» affermò Earl.

«Gliel’ho dato io» disse Neville. «L’ha voluto lui. Un amico».

«Io ero praticamente un estraneo» disse Earl.

«Io penso alla mamma, penso» replicò Shale. «Quelli che s’atteggiano a duri sono proprio quelli che soffrono di più interiormente. O perlomeno così si dice».

«Lui l’ha nominata, mamma sua» disse Neville. «Un attimo prima. Ha detto ditele che le voglio bene e che non c’era altra possibilità. Poi ha preso la canna della pistola e se l’è puntata alla tempia».

«Proprio così...» disse Earl.

«Adesso mi state dicendo che s’è suicidato?» chiese Shale.

«No. Il grilletto l’ho premuto io, signor Shale» rispose Neville. «Un colpo soltanto. Guardi un po’ la manica della mia giacca». Stava per mostrargli le macchie di sangue.

«Fermo lì» disse Shale.

Ivis disse: «Timmy è stato veramente forte».

«Aveva forza interiore, signor Ivis» replicò Neville. «A quel punto gli restava appena la forza di sollevare la mano e portarsi la pistola alla tempia. Abbiamo fatto quello che era necessario fare. Era una gran brutta situazione».

«Che si fotta la situazione» ribatté Shale.

A casa, preparò un pranzo anticipato per tutti quanti, spaghetti al tonno con l’aggiunta di un po’ di pollo al curry piccante da far bollire nella bustina stessa. In fatto di cibo gli piaceva spaziare. Il tutto innaffiato da gin e menta. Dopo un pasto del genere Neville ed Earl potevano viaggiare a lungo. Devi avere considerazione per la tua gente, neri o bianchi, a prescindere, e portarseli a casa era un rischio che lui doveva correre. Ivis non li avrebbe manco fatti avvicinare a casa sua, ma Ivis era uno che non si prendeva nessuna responsabilità, era un dipendente e basta. Ecco il punto: ma quale Rex, ma quale re. Denzil andava spesso in vacanza in Francia e in Italia e perciò chiese del vino anziché gin e menta per accompagnare gli spaghetti, ma che si fottesse. Se voleva l’Europa perché non si trasferiva. Era brutto abbastanza.

Per sicurezza, Nev ed Earl s’erano messi di nuovo sotto i cappotti durante le ultime due miglia. Shale non avrebbe voluto, gli sembrava puerile, ma era stata un’idea di Ivis e Shale non voleva mortificare troppo Alfie davanti ai loro seguaci: sarebbe stata pessima gestione dello spogliatoio.

Shale voleva che Nev ed Earl se ne andassero prima che i suoi figli facessero ritorno da scuola, alle 4 e 15. A Nev ed Earl sarebbero stati dati dei quattrini. C’erano un po’ di biglietti da mille sterline in giro per casa, nascosti dentro le pentole dentro le scarpe e cose del genere, e Alfie di solito si portava appresso un bel rotolo di biglietti da cinquanta, in caso il Giorno del Giudizio arrivasse tutt’assieme e toccasse rabbonire i giudicanti. Questi due bravissimi ragazzi, Nev ed Earl, avevano diritto a un po’ di contante oltre al pasto e alle bevande, dopo quello che avevano passato, e sarebbe stata ottima cosa toglierseli dai piedi ’sti scrocconi bastardi, mandandoli all’estero, lontano dagli occhi.

Mangiarono in sala da pranzo. Molto probabilmente questi due, Nev ed Earl, una cosa del genere non l’avevano mai vista, il tavolo lungo di mogano stile Reggenza e la vetrina a tre ante.

«Non eravate mica voi due, quelli della casa Kimberley, eh?» domandò Shale.

«Kimberley? Che cos’è, signor Shale?» rispose Neville.

«No, vabbè, io lo sapevo» disse Shale, «però dovevo chiedervelo lo stesso».

«È successo qualcosa?» chiese Neville.

«Raccontatemi la faccenda di Sphere Street nei particolari, eh?» fece Shale. «La cosa è stata organizzata da gente a un livello più basso all’interno dell’azienda, ed io il perché e il percome non li ho ancora capiti bene».

Neville ed Earl mangiavano come topi tenuti a digiuno. Si vedeva che se l’erano passata brutta. Shale si sentì orgoglioso del proprio spirito di compassione, sia pure nei confronti di gente che faceva minacce. Neville disse: «Eravamo in tre a bordo di una Carlton: io e Timmy, ed Earl che è stato chiamato appositamente per la circostanza, abbiamo fatto l’outsourcing». Masticò il pollo per un po’. Aveva un certo stile con il pollo, deciso ma senza sputacchiare in giro per la stanza mentre parlava. «Signor Shale, avevamo progettato di affrontare questi due invasori. Lo scopo era debellarli prima che potessero mettere radici... loro e tutta la loro organizzazione. L’idea era, colpiscine due e gli altri si prenderanno un bello spavento e lasceranno perdere. Al solito. Sembrava un gran bel programmino. Sapevamo a che ora si sarebbero mossi e conoscevamo l’itinerario preciso. Sapevamo chi erano, vale a dire Billy il Marinaio e Joe Quant. La preparazione era stata di prima classe».

«E poi ecco che ti spunta la ragazzina e la chiarezza del quadro va a farsi benedire» disse Earl. «Non appena l’ho vista ho capito che si andava incontro alla catastrofe». Il suo viso era pieno di quella che pareva una tristezza genuina. Poteva anche essere credibile.

Shale disse: «Ma come facevate a sapere tutte queste cose, Neville? I tempi. L’itinerario. Da dove arrivano queste informazioni?».

«Da un tale che ha studiato attentamente la loro organizzazione, come funziona, anche se è nuovo del posto. Ma è molto preparato. Ha parlato con alcuni di loro. Si è mezzo infiltrato. Questa gente andava cercando contatti locali, come al solito. E il tale di cui dicevo ne ha approfittato. Signor Shale, lei lo conosce, ovviamente».

«Sarebbe W. P. Jantice?» replicò Shale.

«Il nostro funzionario di polizia» rispose Neville.

«L’ha messa in piedi lui, ’sta cosa?» domandò Shale.

«Era un piano magnifico. Avrebbe potuto essere perfetto. E invece c’è stata questa disgrazia...» disse Neville.

«Non è colpa di Jantice... il macello che è successo» disse Earl. «Come dice Neville, è stata una disgrazia. Questa ragazzina che s’è messa in mezzo».

«Il pericolo di un fattore esterno c’è sempre...» disse Ivis.

«È veramente in gamba, W. P. Jantice» disse Neville. «Un organizzatore, uno che ispira fiducia. Sta con noi, ma può anche infiltrarsi al loro interno, e, come se non bastasse, allo stesso tempo la polizia è soddisfatta del suo lavoro».

«Sì, è un discorso di predisposizione...» disse Shale.

Ivis disse: «Mansel è stato il primo ad accorgersi delle sue potenzialità. Mansel ha l’occhio lungo per gli elementi validi».

«E che glielo dici a fare?» obiettò Shale, con una grassa risata. «Altrimenti loro due non sarebbero qui con noi, dico bene Alf?».

Lavarono i piatti tutti insieme e poi si trasferirono nella tana per prendere il caffè. Shale si allontanò per qualche minuto per recuperare un po’ di quattrini in giro per la casa. Quando tornò dagli altri mise circa un quarto di quello che aveva raccolto sulla scrivania, e in aggiunta ci svuotò sopra il portafoglio. Capovolgere un portafoglio dà sempre un’impressione di magnificenza. Ivis aggiunse poco più di 750 sterline. Il totale faceva 3.800 sterline. Se si fossero fatti sentire da fuori città, Shale avrebbe potuto mandargli anche cinque, seimila sterline. Invece erano venuti qui a far pressioni, perciò lui aveva già deciso in macchina che sarebbero state un po’ meno di quattromila. Una soluzione di compromesso. Leviamoci di torno ’sti rottinculo ma non facciamoci spremere più di tanto.

«Hai ricevuto il tuo onorario, Earl?» chiese Shale.

Ivis tirò fuori il suo taccuino e diede un’occhiata. «Tutto regolato in anticipo. Presenza e utilizzo del Kalashnikov». Girò una pagina. «Sì, ventinove settimane, Neville ed Edna».

«Non mi dovete un centesimo» disse Earl.

Sapeva urlare e sapeva parlare come una colomba. A Shale non dispiaceva. I baffi potevano sempre andar via e gli occhi di solito erano nascosti dagli occhiali da sole, anche se non oggi. Sissignore, poteva pure darsi che dicesse la verità riguardo la morte della ragazza. «Siamo pari, allora» disse Shale. Fece due mazzi da 1.900 sterline e li consegnò ai ragazzi. «Quando sarà possibile trasmetterò il messaggio di Timmy alla signora Montain, e per un po’ ci prenderemo cura di lei». Era l’una e un quarto. Shale disse: «Senti un po’, Nev, non mi garba il fatto che ti trovi a passare da casa senza poter vedere la tua ragazza. Non mi sembra giusto per niente, ma proprio per niente, e che cazzo. Sarà a casa adesso? Al lavoro?».

«Lavora di notte. Fa la croupier» disse Greenage.

«Falle un colpo di telefono. Vedi se è in casa. Se credi, mando Denzil a prenderla, resta qui un’oretta. Potete avere la vostra privacy».

Ivis disse: «Questo potrebbe essere un azzardo, Manse. Come sempre sei generoso e affettuosissimo... ma è pericoloso. Anche la telefonata».

Shale disse: «Non potrebbero mai farsi autorizzare l’intercettazione della sua ragazza. Il collegamento è troppo vago».

«Non sempre Iles aspetta l’autorizzazione, Mansel» disse Ivis.

«Ah, sarebbe bellissimo poterla vedere, signor Shale» disse Neville, l’espressione tesa e speranzosa, la faccia che gli si era illuminata.

«Non fa altro che parlare di lei» disse Earl.

«È una cosa naturale» disse Shale. Con ogni probabilità Alfie non aveva afferrato come funzionava la faccenda. Se Shale dimostrava buon cuore e lasciava che Neville trombasse la sua ragazza al piano di sopra, da qualche parte, in un breve interludio, allora questi due, Nev ed Earl, avrebbero seguitato a pensare che Shale era un gran signore, anche se i quattrini non erano chissà quanti. «Falla breve al telefono, Nev» disse. «Giusto il tempo di farle ascoltare la tua voce e di dirle di farsi trovare da qualche parte a un paio di strade di distanza da casa, che Denzil la va a prendere. Tu la geografia la conosci. Dille di guardarsi dietro le spalle di tanto in tanto casomai dovessero pedinarla. Non metterle paura, dille soltanto di fare attenzione. È intelligente, la ragazza, capisce la situazione? Conviene che le descrivi Denzil, così è preparata a quel po’ po’ di faccia e non si terrorizza». Accompagnò Neville a un derivazione nell’ingresso e lì lo lasciò. Dopo un paio di minuti, eccolo di ritorno, che sorrideva e annuiva col capo.

«Prendi la Escort, non la Jaguar, Denzil» disse Shale. «Evitiamo di dare spettacolo».

«Deve portarla qui?» domandò Ivis. «Sul serio?».

«Tranquillo» disse Shale. «Abbiamo un debito nei confronti di tutt’e due, Alfred, un discorso di umanità».

Venti minuti dopo Denzil fu di ritorno con la ragazza. Shale, Ivis, Earl e Neville erano ancora nella tana a bere dell’altro caffè e discutere d’affari.

Neville si alzò in piedi e la ragazza si fece una bella corsa sui tacchi e rimasero lì, in piedi, ad abbracciarsi e baciarsi, un bacio vero, sissignore, un bacio che con ogni probabilità era parte di una cosa seria, come aveva detto Neville. Shale poté constatare di aver fatto bene. Lei era bianca e sui ventidue anni, piuttosto carina, jeans di buona qualità e camicetta argentata. Shale adorava vedere le razze che si incontrano, era una cosa salutare ed era il futuro. Vabbè, c’è gente che dice che le ragazze bianche vanno con i neri soltanto per un fatto di dimensioni, ma lui questo discorso non l’accettava proprio. Era un insulto sia alle donne che ai neri. Come a dire che non poteva esserci nient’altro tra di loro, a parte il fatto che non sapeva se poi fosse stato definitivamente provato, che i neri avevano l’uccello più grosso. Ad ogni modo, lui era sinceramente convinto che un bel po’ di donne non pensassero soltanto all’uccello. Questa ragazza aveva l’aria di una con delle emozioni genuine ed una personalità con tutto un suo spessore. E pazienza se si faceva chiamare Edna. Shale annunziò che i due innamorati potevano andarsene dove credevano più opportuno, lì in casa, per novanta minuti, mentre lui e gli altri restavano lì nella tana a giocare a carte e a far quattro chiacchiere. Disse a Neville ed Edna che questa cosa se la meritavano. Si faceva ancora a tempo a buttarli tutti quanti fuori prima che rincasassero i suoi figli.

Allo scadere del tempo stabilito, Shale disse a Denzil di andare nell’ingresso e di suonare il gong della cena. Subito Neville ed Edna scesero dabbasso. Un comportamento corretto. Denzil l’avrebbe riportata nelle vicinanze del suo appartamento e poi sarebbe tornato a prendere Neville ed Earl. «Quando si saranno sistemati in Portogallo, ci mandiamo pure te, Edna, non preoccuparti» disse Shale.

Lei e Neville si baciarono un’altra volta e lei pianse un pochino, si sa come fanno le donne, ma poi andò via con Denzil.

Shale ritornò in cucina e riempì due buste della spesa di pasticcio di maiale, pane, scatole di fagioli, barrette di Mars e quattro bottiglie di gin. «Per il picnic» disse rientrando nella tana, e consegnò una busta a ciascuno dei fuggiaschi. «La menta piperita ve la dovrete comperare da soli. Dove volete che vi accompagni Denzil, quando ritorna? Aeroporto? Stazione?».

«Ci proveranno ancora, ad allungare le mani sul suo commercio, signor Shale?» domandò Neville.

«Chi?».

«Billy il Marinaio, Quant e via dicendo».

«Potrebbe anche darsi» disse Shale. «È strano, ma ho l’impressione che noialtri si sia diventati più forti, in seguito a ’sta faccenda. Intravedo all’orizzonte una gran bella alleanza».

«Mansel è uno stratega...» disse Ivis.