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Mansel Shale si tenne in contatto con l’ospedale riguardo alle condizioni di Jack Lamb, e quando Lamb uscì dalla Terapia Intensiva Shale disse a Ivis che bisognava fargli visita. L’anno prima e l’anno prima ancora Shale aveva comperato delle opere d’arte da Lamb, e Shale riteneva che tra di loro esistesse una specie di amicizia. L’amore per l’arte affratella la gente. E poi era un preciso dovere andare a far visita a un concittadino che ne aveva pigliate di così brutte. Per oltre una settimana era sembrato che Jack non dovesse farcela.

Shale aveva comperato da Lamb un Arthur Hughes e due Edward Prentis, che adesso stavano appesi alla canonica. Questi Preraffaelliti parlavano direttamente al cuore di Shale. Adorava l’idea della Fratellanza. Era questo il genere di rapporto che desiderava stabilire con la polizia. I tre quadri li aveva pagati un botto, perciò possibilmente erano autentici e possibilmente erano arrivati a Lamb attraverso canali più o meno onesti, o addirittura del tutto onesti. La roba rubata è sempre meno costosa, perché la gente vuol disfarsene alla svelta. Shale aveva sentito dire a più d’uno che Lamb ce l’aveva pure, questo lato rispettabile nei suoi affari. Per quanto ne sapeva Shale, Lamb non aveva mai riportato condanne. In effetti sembrava proprio che Lamb non fosse mai stato neppure incriminato di nulla, figuriamoci condannato. Ovviamente tra Jack e la polizia poteva pure esserci una società di mutuo soccorso.

Di storie ne giravano, ma Shale non aveva mai trovato chi le autenticasse in pieno. Non era chiaro se Lamb desse una percentuale sui suoi affari a qualcheduno in alto loco, o se invece fornisse informazioni utili di tanto in tanto. Di sicuro s’era fatto la residenza di campagna, e conviveva con una giovane fanciulla ex punk. Lamb era riservatissimo, sfuggente come un’anguilla.

Adesso però Shale avrebbe voluto domandargli se per caso uno dei tre quadri, o magari tutti e tre, fossero rubati e figurassero sull’elenco della Squadra Antiricettazione. Se Shale alla fin fine fosse riuscito a creare una bella società cooperativa con Mark Lane e altri pezzi grossi della polizia, nell’interesse della pace e dell’ordine, questo probabilmente avrebbe voluto dire che di tanto in tanto i poliziotti sarebbero venuti di nascosto a casa sua, a far conversazione. Se c’era una cosa che voleva evitare, era quella di urtarli sbattendogli roba che scotta sul naso. Bisogna muoversi con gradualità quando la situazione è delicata, tenere in conto i pregiudizi altrui. Lane, il Capo, era uno con un’anima e tutto quanto, stimato da molti. Il Capo era cattolico, e parecchi di loro hanno una mentalità costruttiva, a quel che si dice. Sarebbe stata una mossa impegnativa per il Capo accettare ’sto concordato, anche se in nome della pace. Una mossa impegnativa per qualsiasi capo, però alcuni capi l’avevano fatta. Lane fin lì bisognava portarcelo, facendo molta ma molta attenzione. Se un bel giorno quello acconsente a venirsi a fare una chiacchierata alla canonica e la prima cosa che vede sono tre pezzi di refurtiva in cornice, l’accordo può pure venir meno.

Si capisce che Jack Lamb non avrebbe ammesso al primo colpo e a chiare lettere di avere per le mani merce ricercata dalla polizia. Nessuno sapeva far muro e scantonare meglio di Jack Lamb. Ma il fatto era che Shale aveva detto ad Alfie di svolgere delle ricerche in merito ai tre quadri e fino ad ora quello non aveva trovato nulla di losco nella loro storia recente. Magari erano tutti e tre in regola.

Shale riteneva d’essere in grado di capire dalla faccia di Lamb quale fosse la verità, specialmente adesso che non poteva essere al suo meglio, dopo le legnate che aveva preso. Se a Shale fosse arrivato il messaggio che questi pezzi erano sporchi, li avrebbe levati di torno prima di ogni riunione alla canonica con il Capo e i suoi. Ovviamente avrebbe dovuto trovare qualcos’altro per nascondere le chiazze alle pareti. Questo significava comperare dell’altra roba più o meno di quella grandezza, e dovevano essere vere e proprie opere d’arte. Non poteva mica mettere dei poster o delle stampe del cazzo alle pareti di un’ex canonica: ne avrebbe risentito la sua immagine, altro che dipinti rubati. Lane poteva portarsi dietro quel bastardo presuntuoso di Iles, ed Iles di sicuro non avrebbe fatto un accordo con uno che appendeva robaccia da quattro soldi in salotto. In tal caso Shale avrebbe dovuto comperare degli altri quadri presso una galleria sicuramente pulita. Probabilmente qualcuna ce n’era.

«Mi mancherebbe davvero quello Hughes se dovessi venderlo o sbatterlo in cantina, Alfred. Guarda le trecce della ragazza. È tanto bravo a dipingere le trecce. Trecce così non ne trovi più, nell’arte d’oggi, parola mia».

«Con rispetto parlando, non vendere, Manse. Se dovessimo intraprendere un negoziato con il signor Mark Lane sarebbe meglio non mettersi a commerciare mercanzia contaminata. Metti che qualche cosa dovesse andare storta: la situazione sarebbe ben peggiore che se li avessi tenuti alle pareti e basta. Potresti metterli in magazzino per un po’. Poi, una volta che questa intesa fosse andata in porto, allora il rapporto tra te e la polizia sarebbe molto diverso. È ragionevole supporre che ci sarebbe un dare e un avere. A ’sto punto i quadri li puoi pure tirare fuori e glieli fai vedere, senza che ci si debba aspettare chissà quali ripercussioni. E sennò che intesa è, scusa?».

«Bravo, Alf. Spesso tu ci vedi dannatamente chiaro, nelle cose».

Presero dei fiori e Denzil li accompagnò all’ospedale con la Jaguar. I fiori erano un mazzetto di gigli. Shale detestava troppi fiori tutti insieme, che pareva dicessero che una volta finita l’Umanità loro sarebbero stati ancora lì. Shale li portava in mano lui stesso, in macchina. L’altro vantaggio d’andare a far visita a Lamb era che, a giocarsi bene le proprie carte, Jack lo si poteva trasformare in un mezzano. Vuoi per il discorso dell’arte, vuoi per la casa che manteneva e dei quattrini che senza dubbio c’erano, Lamb conosceva un sacco di gente, e poteva conoscere pure gli alti gradi della polizia. Sissignore, era probabile. Magari non conosceva Lane in persona, perché i capi mantengono le distanze: era quello lì il problema. Ma Lamb poteva averci legami con dell’altra gente importante, ad esempio con quel pazzo maniaco di Iles, oppure, scendendo un pochino di grado, con Colin Harpur. Secondo certuni era Iles che reggeva le fila dell’organizzazione, e non Lane. Il Capo aveva un’anima, sissignore, ma forse ne aveva troppa di anima, per un funzionario di polizia. Per entrare in polizia ci vuole l’altezza, non l’anima. Una volta che Jack si fosse rimesso in sesto, avrebbe potuto dare qualche suggerimento a uno di questi suoi contatti polizieschi in merito ai vantaggi di un concordato con la Mansel Shale Inc. W. P. Jantice avrebbe dovuto tentare la stessa mossa, ma Jantice stava in basso nella gerarchia e non poteva averci quel che si suol dire il peso necessario. Naturalmente, Lamb ci avrebbe guadagnato qualcosa. Shale avrebbe detto ad Alfie di pensare ad una cifra adeguata, poi l’avrebbe raddoppiata. Lamb sarebbe stato lieto dell’opportunità di guadagnare qualcosa dopo essere rimasto a riposo così a lungo.

Ivis disse: «Fa bene al cuore trovarti così in salute, dopo quello che abbiamo sentito riguardo a questo spaventoso incidente, Jack». Alf era sempre splendido e untuoso, in circostanze del genere.

Lamb disse: «Se volete sapere i particolari di quello che è successo alla casa Kimberley – quanti erano e via dicendo – non posso esservi d’aiuto».

«Come ci sei andato a finire lì dentro, Jack?» chiese Shale.

«Me l’aspettavo, la vostra visita» replicò Lamb.

«Il signor Shale ha detto, bisogna andare quanto prima possibile».

Lamb era seduto accanto al letto, su di una poltroncina, con indosso una vestaglia gialla. Shale non li poteva sopportare, i ricoverati in ospedale che si mettono in poltrona. Parevano tutti raggrinziti e abbattuti e attempati, perfino uno grande grosso e con una sua importanza come Jack. Meglio allora vederli a letto, come si deve. Sapevi dove stavi, riguardo a una malattia o a una convalescenza, se il paziente se ne stava a letto.

Shale chiuse la porta. «C’è qualcosina di buono in serbo per te, Jack, se le cose si sviluppano in un certo modo» disse. Dispose con cura i gigli in un vaso. Considerazione: era questa la cosa che gli premeva mostrare. Questo era un normalissimo ospedale del Servizio Sanitario. Probabilmente Lamb sarebbe andato in qualche clinica, ma in questo posto ci portavano le emergenze, e con la testa spappolata di Jack quella era senz’altro un’emergenza. Shale preferiva le cliniche private. Col Servizio Sanitario Nazionale ti ritrovi in mezzo a gente di tutti i tipi, e certi pazienti di famiglia operaia tossiscono che è una cosa disgustosa. Perfino in questo posto qui, ad ogni modo, Lamb aveva la stanza per i fatti suoi. Doveva essere messo proprio male. Ivis disse: «Il signor Shale si augura di poter quanto prima cementare un’intesa con...».

«Quelli manco ti guardano in faccia, Manse...» fece Lamb.

«Chi, Jack?» domandò Ivis.

«Mark Lane nemmeno ti farà avvicinare...» replicò Lamb.

Shale andò avanti con i gigli, sempre voglioso di mostrare la propria considerazione nei confronti di Lamb, però, Cristo, questo bastardo lo faceva diventar matto. ’Sto citrullo se ne stava lì seduto, mezzo distrutto, con la testa fasciata, avvolto in quella vestaglia putrefatta, e per giunta con le bottiglie d’acqua d’orzo al gusto di limone sul mobiletto, però parlava come fosse lo sciamano che conosce il futuro a menadito. Shale ridacchiò amichevolmente, fece un passo indietro per controllare la disposizione floreale, poi andò a sedersi sulla sponda del letto di Jack. Avrebbe potuto allungare una mano e strappar via quella bella fasciatura dalla testa di Jack, nulla di più semplice. «Non credo che tu possa aver sentito dire com’è che m’immagino si possano sviluppare le cose, Jack. Qui di do ut des ce n’è a pacchi».

«Questa storia girava da prima che io finissi qui dentro» ribatté Lamb. «“Il concordato”».

S’era messo una certa canzonatura nella voce, per farla suonare come un’enorme cazzata.

Ivis disse: «Jack, il signor Shale immaginava che tu avresti...».

«Io non lo faccio, il mezzano...» replicò Lamb.

«Io ho sentito dire diversamente» fece Shale.

«Manco ti guarderanno in faccia, quelli lì» ripeté Lamb.

«Vorresti dire che non faranno mai nessun trattato di pace?» domandò Shale.

«Potrebbero pure. Non con te, però» disse Lamb. «Mansel Shale? Gesù».

«Perché non col signor Shale, a tuo modo di vedere?» chiese Ivis.

«Perché è il signor Shale» rispose Lamb.

Shale iniziò a strillare: «Intendi dire perché credono che la mia gente abbia fatto fuori la ragazzina?».

«No, lo sanno che è stato qualchedun altro. Per via delle pallottole. Il tuo nome già non funzionava da molto prima di Sphere Street».

Shale, seduto rigido rigido per la rabbia, disse: «Come diavolo fai a sapere delle pallottole se stai qui dentro?».

Lamb disse: «Hai sentito parlare del telefono? Cellulare o meno. La gente si tiene in contatto. Avresti dovuto chiederlo a Neville che cos’è successo a Sphere Street».

Ivis disse: «Col dovuto rispetto, Jack, il signor Shale gliel’avrebbe chiesto se...».

«Ho sentito dire che è stato a casa tua insieme a Mister Kalashnikov. E alla tipa di Nev». Lo stronzo guardò l’orologio da polso. «Mamma e fidanzata in arrivo. Dovreste andarvene prima».

Shale disse: «Ti dai un sacco di arie, come se tu Mark Lane lo conoscessi a livello personale».

«Non lo conosco» replicò Lamb.

«E allora chi è che conosci?» fece Shale.

«Conosco te» disse Lamb. E lo disse di nuovo come a voler dire: te che sei il re delle cazzate.

Shale allungò una mano e afferrò i fiori che stavano nel vaso. Stringendo in mano i piccioli, colpì Lamb al viso: fiori acqua e quant’altro, un colpo bello forte. «Osserva come crescono i gigli del campo dei miei coglioni...» strillò. Un pezzo di foglia era rimasto nel bel mezzo della fasciatura alla testa. Allora a Shale dispiacque per Lamb, per un secondo circa. Poi gridò nuovamente: «Tu conosci me e io conosco te, imbroglione del cazzo. Tu m’hai venduto tre quadri infangati. Roba coi precedenti penali alla parete di un’ex canonica. Mio Dio».

«Oh, ecco qui mia madre ed Helen» replicò amabilmente Lamb. Si ripulì la faccia col bordo della coperta del letto. La porta si era aperta. Shale vide un’anziana signora con un terrificante vestito rosa e argento e una donna molto più giovane con dei pantaloni leggeri rossicci e un gilet verde su di una camicetta color crema. Questa qui era un’autentica, flessuosa bellezza, come c’era da aspettarsi con un bastardo intrigante del calibro di Lamb.

«Vi presento due partner d’affari e carissimi amici miei: Mansel Shale e Alfred Ivis» disse Lamb. «Mamma è arrivata con l’aereo dagli States, dove vive, non appena ha saputo del mio problemuccio. Lei è fatta così, sono orgoglioso di poter affermare, miei signori».

«Affari?» ribatté la signora Lamb. «Siete voi che l’avete fatto picchiare?».

La signora aveva un ripugnante, volgare accento americano di periferia, manco fosse un cattivo della TV. Shale si alzò e si premurò di rimettere i gigli nel vaso. Parte dei fiori erano ancora intatti, e quelli li mise all’esterno. Poi si allungò in avanti e rimosse il pezzetto di foglia dalla fasciatura di Lamb. Lamb si ritrasse. «Buon Dio, Manse» fece tutto scherzoso, «per un momento ho pensato che volessi strappar via le bende». A queste parole Shale ridacchiò.

Ivis disse: «Ci ha stupito constatare che Jack ha un’ottima cera, signora, nonostante tutto».

«Dieci anni fa dissi a Jack che se continuava ad accompagnarsi con la gente con cui si accompagna – gente come voi due, probabilmente – sarebbe finito decapitato. Avete mai visto un uomo dell’età di Jack che sembra così vecchio, signor Shale, signor Ivis...?».

«Perché, quanti anni ha?» domandò Shale.

«Questo qui è mio figlio. Questo qui è l’uomo che ho dato alla luce e che ho cercato di illuminare. Questo qui è il volto della sofferenza. Okay, voi direte che è pur sempre in grado di rimorchiare giovani pupe come la qui presente Helen, ma qui c’entrano pure i soldi e gli immobili, vero, cara?» domandò ad Helen. «Voi due siete qui per qualche affare, sì? Vi abbiamo interrotto? Spero di sì. A me voi due sembrate il genere che lascerebbe Jack nella cacca peggio di come ci sta adesso. I vestiti che portate sono di quel genere lì. E pure il taglio di capelli. Insomma mi sa che l’Ordine al Merito a voi non l’hanno dato, se è così che si chiama».

«A dire il vero Manse ed Alf stavano giusto andando via» disse Lamb.

«Cristo» disse Shale ad Ivis una volta in macchina, «la signora ha il coraggio di parlare dei nostri vestiti». Si sporse in avanti per rivolgersi a Denzil. «Ti sei messo a far chiacchiere, mangione che non sei altro?».

«Che cazzo di problemi ha, signor Shale?» ribatté Denzil.

«Ti sei messo a parlare riguardo a Nev e agli altri».

«A parlare con chi?».

«Allora hai parlato!» replicò Shale.

«Non mi pare proprio» disse Denzil dopo un poco. «Intende dire della ragazza che ho accompagnato per fargliela scopare a Nev sul suo letto con le coperte di lino, signor Shale? È stato un gesto squisito, ma non andrei mai a parlarne in giro, onde preservare la reputazione della ragazza».

«Quale reputazione dei miei coglioni?» ribatté Shale.

Andarono al faro di Ivis. Urgeva una bella discussione e non voleva più dir nulla alla presenza di Denzil.

Aveva bisogno di parlare con Ivis finché aveva fresche in testa tutte le sfaccettature di quanto detto da Lamb: un discorso di sensazioni, al di là delle parole in se stesse. Shale aveva detto di andare al faro perché a casa sua Alfred era sempre più rilassato, il cervello gli funzionava meglio, poco o molto che ne avesse. Questo era naturale. I bei mobili di Shale, le opere d’arte, potevano sempre far realizzare ad Alfie che lui dal punto di vista sociale era un mediocre. Spesse volte è cattiva managerialità, mettere a disagio la gente. Shale disse a Denzil di aspettare in macchina oppure di farsi una passeggiata per le scogliere e prender nota dei diversi tipi di licheni.

«Io dispero, Alfred...» disse Shale, non appena furono all’interno del faro.

«Questa non è una parola che assocerei mai e poi mai a Mansel Shale, Manse».

«Prim’ancora d’aver potuto esporre il nostro progetto vengo insultato bassamente, Alf. Noi andiamo lì in spirito d’amicizia, angustiati per le sue ferite e con una signora proposta di lavoro – pensa come sarebbe facile per Jack Lamb fare l’ufficiale di collegamento – e la proposta viene respinta al mittente con disprezzo».

«Una cosa imperdonabile, Manse».

«Uno stronzo in ciabatte col cranio tutto scombussolato, che vorrebbe mettermi dentro un sacchetto di plastica, pronto per il camion della spazzatura».

«Forse le lesioni riportate gli hanno fatto perdere l’equilibrio».

«Mentre parlava, Alfred, la possibilità di un accordo civile tra noi e la polizia me la son vista morire davanti». Gli veniva da singhiozzarle, queste ultime due parole, e invece le pronunziò con la massima precisione, controllandosi. «In un ospedale, in un posto dove dovrebbero rimetterti insieme, mi hanno fatto a pezzi un progetto tanto bellino, tanto costruttivo».

Ivis disse: «Ma fortunatamente a questo mondo non c’è soltanto Jack Lamb. Questa è la controprova che la tua politica aziendale era giusta, Manse: non impegnarsi troppo su un fronte solo».

«W. P. Jantice?».

«Sento che sarà in grado di raccomandare a chi di dovere questa fusione, con efficienza e sottigliezza».

Era questo, il problema di Alfred: bravissimo a leggere rendiconti, attentissimo ai dettagli, ma non sempre riusciva a cogliere le sfumature, quel che stava dietro i discorsi che si facevano. Intuizione ce n’aveva pochina. A metter tutto quanto insieme – ma tutto davvero: le voci e le cose dette da Nev Greenage e quelle dette da Earl e quello che Lamb aveva detto poco prima – e a guardarlo per benino, si capiva che a sparare alla bambina a Sphere Street era stato W. P. Jantice. Prendiamo le pallottole: e questo qui è un tiratore scelto della polizia, uno che riesce a piazzarti due pallottole così ravvicinate, una alla base del collo e l’altra al torace. La bambina sapeva un sacco di cose, per via delle consegne che faceva, e probabilmente aveva capito un po’ troppo riguardo a Jantice, e c’era il pericolo che andasse in giro a parlarne. Perciò, ecco che lui ti mette in piedi una situazione in cui lei possa finire ammazzata, e va sul posto di persona per non lasciare nulla al caso. Molto probabilmente era a conoscenza dei movimenti e degli orari di tutti quanti: di quelli della Carlton, e questo si capisce, e pure degli altri due, e si capisce anche questo, perché Jantice aveva le mani in pasta in Dio sa quante organizzazioni. E il programma giornaliero della ragazza doveva averlo stabilito lui, quella volta lì.

Ivis disse: «W. P. Jantice non potrebbe fare questi approcci nella stessa maniera in cui li avrebbe potuti fare Jack Lamb, però può gettare il seme: e questo spesso è molto più efficace. Parliamo di un ragazzo che è sergente e basta, certo, però è pure uno che la strada la conosce alla grande. La sua competenza è apprezzata da Lane e da tanti altri».

«Con W. P. Jantice bisognerà parlarci di sicuro» replicò Shale.

Per il momento era più saggio non discutere con Alf di quello che molto probabilmente aveva combinato Jantice. Si badi, magari tra Alfie e W. P. Jantice c’era una tacita intesa, e Alfie sapeva già che cos’aveva fatto Jantice. La magnifica réclame che Alf faceva al sergente puzzava un poco. Shale non voleva mettere sul chi vive Alf. «È la natura offensiva di quello che ha detto Lamb che mi fa disperare, che mi frustra, Alf».

«Non rimuginarci troppo sopra. Erano i deliri di un malato».

«Parlava come se il signor Mark Lane mi considerasse qualcosa di spregevole, qualcuno che è impossibile da accettare come collega. E invece gente come Panico Ralph Ember o Vine oppure Stanfield, perfino Misto dei miei coglioni, quelli sì che vanno bene, è questo che insinuava Lamb».

«Secondo Lamb. Solamente secondo Lamb. Quello lì fa il suo gioco. Jantice ci dirà qualche cosa di diverso, ne sono sicuro. E Jantice porterà avanti la tua offerta, e tutti gli altri resteranno a bocca asciutta».

Ovviamente, Shale non poteva affidare un bel nulla a W. P. Jantice. Se lui era quello che tutto sembrava indicare, se era quello che aveva ammazzato la ragazzina, significava che era uno che quando le cose si fanno difficili pensa soltanto a se stesso, e pazienza per tutti gli altri. Era così che si riducevano, questi tutori della legge un tempo onesti.

Prima andavano a male, dopo si facevano prendere dalla disperazione e dopo ancora dovevano far di tutto pur di nascondere d’essere andati a male: perché si rammentavano di quand’erano onesti, e volevano che sembrasse come se lo fossero ancora. Non era forse lo stesso discorso per Satana? Si ricordava di quand’era un angelo, molto probabilmente, e a volte gli dispiaceva che si vedesse il marcio. Jantice era uno che in teoria ti organizza una controffensiva efficace e assolutamente legittima per togliere di mezzo gli invasori da Sphere Street, e in pratica te la utilizza per giustiziare una bambinetta che è d’incomodo, d’incomodo per lui. E va a finire che quelli che andrebbero levati di mezzo la fanno franca perché Earl col Kalashnikov non può certo mettere a repentaglio la vita di una ragazzina: e Shale non lo biasimava. Ci devono pur essere dei limiti. Soltanto in rarissime circostanze Shale poteva accettare l’idea che si prendesse a pistolettate una bambina.

Se era così che se l’era giocata W. P. Jantice... – ma quale “se” dei miei stivali, W. P. Jantice se l’era giocata esattamente così – ... dunque, poiché W. P. Jantice se l’era giocata così, c’erano due figuri in circolazione che potevano risultare pericolosi: Billy il Marinaio e l’altro, quello che s’era fatto un graffio e nulla più. E c’era una ragazzina morta, e la stampa e la nazione intera e la polizia erano inferocite, niente più misericordia, e volevano scavare a fondo in tutta la struttura del traffico. Che situazione. Sissignore, bisognava che ci si parlasse un pochino, con W. P. Jantice.

Ivis disse: «Per certi versi, io Jantice lo vedo meglio di Jack Lamb, Manse. Sappiamo che è nelle grazie del Capo. Significa che c’è un filo diretto. Lamb ha i suoi contatti con la polizia, o perlomeno un contatto, sissignore, ma non sappiamo a che livello. Quello che sappiamo, perché ce l’ha detto lui, è che non si tratta di Mark Lane. E in materia che più delicata non si può, politicamente parlando, l’unica parola che conta è quella del Capo. Se Jantice ha capito giusto, e Lane vuole farlo infiltrare, meglio ancora. Così Jantice potrà dire di aver sentito che Mansel Shale è disponibile a prendere in considerazione un accordo. E ne potrà parlare direttamente con il Capo».

Il guaio più grosso, a comandare, è che non puoi mai aver piena fiducia in nessuno dei tuoi sottoposti, neppure quelli che sembrerebbero esserti più vicini, come Alfie. Forse pure Mark Lane aveva questo genere di guai, con i suoi sottoposti. Alf e Jantice probabilmente avevano un loro accordo che faceva entrare un extra in tasca ad Ivis. E pareva proprio che ne avesse bisogno, visti i tappeti limacciosi, calpestati a morte, e l’arredamento con quei mobili da baraccati sui quali stavano seduti in quel preciso momento. Pure la tazza di Fratel Coniglietto dalla quale Shale stava bevendo il suo gin e menta aveva una grossa sbreccatura sul bordo. Magari Alf e Jantice prendevano quattrini da due, tre, cinque organizzazioni diverse. La donna di Alfie... pareva proprio il tipo che gli sta sempre addosso per fargli portare più soldi a casa. E poi i figlioli bisognava mandarli al collegio. Nessuno avrebbe potuto sopportare a lungo due ragazzini così per casa. Shale era contrario ai collegi, ma per certi ragazzi che alternative c’erano?

«Ti sei accorto che quel citrullo è riuscito a non dirmi se i miei quadri sono puliti?» domandò Shale.

«Questo è un altro aspetto in merito al quale Jantice potrebbe essere d’aiuto, Manse. Potrebbe dare una guardata sotto le coperte dell’Anti-ricettazione, per così dire».

Jantice, Jantice, Jantice. Oh, Cristo, sissignore, era una delle sette meraviglie del creato, specialmente se si tratta di sparare alle ragazzine. L’altrieri Shale aveva letto il necrologio dell’ex primo ministro, Harold Wilson. Dicevano che temeva le congiure, d’esser tradito dall’interno del suo stesso partito. E si capisce, cazzo. Se tu hai il potere sta’ pur sicuro che tutti gli altri vorranno prenderselo loro, e specialmente i tuoi amici più cari, che il potere lo conoscono dentro e fuori, pur non avendocelo avuto mai. Ivis si occupava di certi conti di Shale. Ovviamente non dei libri mastri, ma bastavano quei conticini a dirgli qualche cosa riguardo alle entrate di Shale. E se vivi in un faro del cazzo pieno di cianfrusaglie, è normale che tu voglia farti avanti a spintoni verso qualche soldino extra. Normale che Alfie sperasse di poter gestire una propria azienda, un bel giorno, e lui e Jantice potevano averci qualche progettino per rendere possibile la cosa. Povero vecchio Alfie. Shale ne aveva avuto abbastanza, e se ne tornò a casa. C’erano le vacanze e i suoi figli erano dalla madre, nel Galles. Lui non le metteva ostacoli, nel rapporto con Laurent e Matilda, anche se non li volevano a tempo pieno, lei e il suo nuovo compagno, com’era che si chiamava. Shale sentiva la mancanza dei figli e la casa gli sembrava vuota, ma persino una vacca egoista come Sybil aveva diritto a vederli, di tanto in tanto. Quello che è giusto è giusto. Ovviamente, c’era il rischio di abusi, con un estraneo per casa, specialmente in un posto balordo come il Galles, ma certi rischi li dovevi correre, per un discorso di umanità. E lui domandava sempre ai suoi figli, quando ritornavano, se ci fossero state tenerezze eccessive. Cristo però, certo che la vita si faceva proprio buia, se dovevi preoccuparti di cose del genere, eh?

Trascorse un po’ di tempo ad esaminare i Preraffaelliti, fermo in piedi davanti a ciascun quadro per dieci minuti buoni, a guardare com’erano le pennellate e ad osservare la composizione. Quando scopri che uno come Jack Lamb non ti può vedere, devi chiederti non soltanto se per caso queste opere d’arte non siano ricercate dalla polizia, ma pure se siano autentiche o meno. Quella poteva essere la vera ragione per cui Lamb non voleva parlare dei quadri. Uno con una madre come quella poteva essere torto in più direzioni, contemporaneamente. Shale s’avvicinò moltissimo ai dipinti e impiegò un po’ di tempo a guardare per benino le firme. Alla fine decise che tutti e tre i dipinti sembravano a posto. Gli pareva proprio il genere di quadri che qualcuno che desiderasse venir chiamato Preraffaellita si sarebbe premurato di dipingere, vedi i colori, la dignità. Certo, questo qui era soltanto metà del problema, anche meno. Poteva essere ancora più pericoloso tenerli appesi lì se erano autentici che se fossero stati dei falsi, perché alla polizia interessavano quelli autentici.

Quella sera uscì da solo, per andare a trovare Stefan Bulmer. Era un ragazzo che operava a livello di strada, quello per cui NOON faceva le consegne, il suo punto di riferimento diretto. Shale ci andò in bicicletta, con la sua Humber degli anni ’30. Quella bici lui la adorava, specialmente per il carter copricatena che gli evitava di macchiarsi. Non potevi metterti le mollette ai pantaloni con il completo buono indosso, in nome di Dio, sarebbe parso curioso.

S’infilò una Beretta automatica 9 millimetri nella cintura. Un ragazzo come Bulmer poteva essere suscettibile e impetuoso al momento, la situazione poteva farsi delicata. Bulmer era uno a metà strada tra il piccolo e il medio cabotaggio, e si riforniva da Shale. Oddio, non direttamente da Shale, si capisce. Bulmer stava troppo in basso. In qualità di grossista, Shale riforniva un acquirente intermedio che a sua volta rivendeva agli spacciatori da vicoletto come Bulmer. Ma Bulmer era comunque parte dell’organizzazione. Aveva l’esclusiva per un quartiere, e quella lì era Shale che te la concedeva o meno. Stefan Bulmer perciò aveva delle responsabilità: poteva essere una buona idea quella di domandargli se la bambina gli avesse mai detto d’aver paura di qualcheduno in particolare. Un’altra idea poteva essere quella di scoprire chi avesse stabilito dettagli e orari di quell’incontro trilaterale a Sphere Street. Shale aveva bisogno di raccogliere più informazioni possibile prima di scambiare due parole con W. P. Jantice. Jantice poteva essere ancora più sfuggente di Lamb. Era un poliziotto.

Ovviamente il nome Stefan era fastidioso, ma per oggi Shale avrebbe evitato senz’altro ogni canzonatura. Quest’incontro doveva svolgersi in un’atmosfera allegra e chiacchierina. Non se la sarebbe presa con Bulmer perché faceva lavorare i bambini, anche se gli era stato detto un milione di volte di evitarlo, se voleva tenersi l’esclusiva. Il bastardo aveva fatto finta di non capire. Per questo ritrovarsi Shale sulla porta di casa poteva rendere nervoso Bulmer. Poteva pensare ad una rappresaglia. Magari vedeva il rigonfiamento dovuto alla Beretta sotto la giacca di Shale e saltava alle conclusioni. Questo era uno dei motivi per cui Shale c’era andato con la Humber. Una bici vecchio stile toglieva un po’ di senso di minaccia alla situazione.

Shale sapeva quel che avrebbe detto quel bastardo per giustificare lo sfruttamento dei ragazzini. Avrebbe detto condizioni particolari del quartiere Manse, nonché grande attività della Narcotici, Manse. E altre scuse del genere. Uscivano a fiotti, quando le cose andavano male, e non soltanto dalla bocca di Bulmer e non soltanto a proposito di Sphere Street. Dietro queste parole ci stava l’idea che questi trafficanti da marciapiede le condizioni del quartiere le conoscessero soltanto loro, e che il pezzo grosso con la Jagaur e l’ex canonica in aperta campagna e via dicendo poteva andare a farsi fottere. Ma come, Cristo: e forse che Shale non lo conosceva come le sue tasche, il territorio? Come credevano che se la fosse fatta, la Jaguar, la canonica e via discorrendo? Grazie al fatto d’averci la zucca vuota? In genere, però, li lasciava credere d’esser loro, la punta avanzata del complesso aziendale. Meglio compiacerla, questa utile, squallida piccola gente: a meno che non si facessero sciatti sul serio, e allora bisognava levarli di mezzo. Lui quel genere di violenza la odiava, però poteva capitare d’esserci costretti.

«C’è un tizio con la bicicletta che chiede di Stefan». La ragazza grassa con la tuta da lavoro marrone strillò lungo le scale spoglie senza neppure voltarsi. C’erano odori di cucina: nulla di peggio, però. La tipa lo fissò tutto il tempo, con gli occhi duri e grigi di sentinella. Forse questa gente qui aveva problemi con gli scagnozzi del padrone di casa o con l’ufficiale del pignoramento. «Non mi sembra di averlo visto, ultimamente» disse. «C’è parecchia gente in casa, perciò non sempre ti rendi conto di chi c’è e chi non c’è. Mi spiego?».

«Se n’è andato» gridò un tizio dal piano di sopra. Non c’erano mobili né tappeti nell’ingresso, e nemmeno un tavolino per lasciare il biglietto da visita.

«È sicuro che non c’è?» fece Shale di rimando.

«Cosa intende dire, è sicuro?» fece la ragazza.

«Intendo dire, è sicuro, cara?» replicò Shale.

Questo Bulmer era una specie di scappato di casa, aveva abbandonato l’università o l’esercito o qualche agenzia per fotomodelli, cose del genere. Aveva la faccia dello scappato di casa: la faccia di quello aggressivo e maldicente e che dà la colpa dei propri guai a tutti quanti gli altri. Era lui stesso poco più che un ragazzino, sui vent’anni e domiciliato in questa casa occupata abusivamente in zona Logan Gardens. Il giovane Bulmer s’era fatto strada in fretta, nel commercio. A questo punto si sarebbe immaginato che andasse a vivere per i fatti suoi, ma a certuni piaceva quella vita lì, stare tutti in compagnia e fare scambio di coppie all’infinito, senza dover uscire di casa.

Il tizio scese dabbasso: era nella prima mezza età e aveva la schiuma da barba su metà della faccia ed un rasoio di sicurezza in mano. La parte rasata era di un roseo splendente, gran bel lavoro. Aveva indosso una specie di kimono, pantaloni da equitazione e scarpe da ginnastica. I capelli grigi avevano una bellissima pettinatura. Shale pensò di chiedergli chi fosse il suo barbiere, ma probabilmente, essendo una comune, questi qui si facevano i capelli a vicenda, se io do una cosa a te tu poi dai una cosa a me e via discorrendo. Shale non aveva intenzione di mettersi a frequentare quel posto per farsi tagliare i capelli. «Stefan è andato via da più di una settimana» disse il tizio.

Subito dopo Sphere Street, perciò magari era vero. Un po’ di gente era scomparsa, dopo il fattaccio. «Dove... andava?» fece Shale.

«Lo preoccupava parecchio l’ambiente» disse il tizio.

«Le balene? Tornerà?» domandò Shale.

«Lasci pure un messaggio. C’è un tabellone di sughero in cucina».

«Non c’è bisogno...» disse Shale.

«Cosa dobbiamo dire, se ritorna, chi lo cercava?» chiese la ragazza.

«Un tizio con la bici» rispose Shale.