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Il Capo convocò Harpur e Iles nel proprio ufficio. Questo era insolito, per Lane. Di norma, preferiva passare dalla stanza di qualcun altro e lasciare che si sviluppasse una discussione, come se non l’avesse programmata. Il Capo disprezzava le formalità. Si vestiva con poca cura e poca spesa e spesso si aggirava per la Centrale senza le scarpe. L’esser trasandato era la sua risposta a quelli che pensavano che i capi delle varie forze di polizia territoriali dovessero essere generali di brigata in pensione. Ma Iles vedeva «la triste brama di apparire ordinario e perciò accettabile» nella sciatteria di Lane, «questo men-che-ordinario inaccettabile cretino».

Oggi il Capo aveva una bella cera. C’era vivacità nella sua voce e nella sua postura, un fremito di convinzione. Sembrava che avesse superato un periodo di mancanza di fiducia in se stesso. In questo momento avrebbe potuto convincere una commissione d’esame che lui era in grado di comandare. Harpur provò paura in sua vece. Lane disse: «Desmond, Colin: ho deciso di andare avanti col mio progetto di infiltrare un nostro agente all’interno di una delle gang».

Questo era un cambiamento. Al principio, il Capo aveva lasciato intendere che Iles non dovesse sapere di questa operazione. Lane disse: «Non c’è bisogno di raccontarmi dei rischi che corriamo, credetemi, ed è imperativo che le cose si svolgano rigidamente entro le linee guida. A causa dei pericoli che l’operazione comporta, voglio che un funzionario d’alto grado faccia da Controllore del nostro infiltrato. Parlo di lei, Colin. Lei svolgerà questo compito in maniera eccellente. E poi è importante che vi sia un ulteriore livello di responsabilità. La prego di occuparsene lei, Desmond. Vorrei che lei assumesse il ruolo di quello che si chiamerebbe Supervisore, se si trattasse di un normale confidente. Tutta questa cosa va condotta in maniera immacolata. Non c’è bisogno di ricordarvi che una volta abbiamo perduto un agente infiltrato».

«No, non ce n’è bisogno» replicò Iles. Erano seduti intorno al lungo tavolo delle riunioni nella suite di Lane, e Iles teneva gli occhi bassi, forse per una volta sconfitto dal Capo. Lane gli aveva affidato un ruolo principale all’interno del suo progetto, probabilmente per affossare qualsiasi progetto alternativo che l’A.C.C. potesse accarezzare. Questa poteva essere la ragione dell’ottimo umore del Capo. Sissignore, Harpur provava paura in sua vece.

«Ho scambiato dei pareri con vari funzionari a capo di altre forze territoriali» disse Lane. «È convincimento universale che infiltrarsi all’interno delle gang di trafficanti non soltanto sia una politica assai funzionale, ma che possibilmente sia l’unica politica praticabile, stante la crescente difficoltà nel raccogliere prove efficaci con altri mezzi».

Iles era in agitazione. Sollevò lo sguardo oltre la testa di Lane, verso la finestra, il volto inespressivo. Come se volesse scappare in un mondo meno angusto, più intelligente, un mondo capace di deliziarsi dei pregi di Desmond Iles.

Il Capo disse: «Non vedo alternative. Abbiamo ricorrenti episodi di estrema gravità, e nessuna condanna. Nessun arresto. Ho preso atto del suggerimento da parte dell’A.C.C., in base al quale noi dovremmo mettere in piedi una specie di “concordato preventivo” ufficioso, segreto, con i signori del crimine più equilibrati e più potenti. Desmond, lei dice che patti del genere sono già in vigore, consapevolmente o de facto, in certi distretti di polizia, in questo paese come all’estero. Non ho trovato conferma di ciò tra i funzionari-capo con i quali ho parlato».

Iles disse: «Potrebbero non volerlo ammettere per pudicizia, signore. Questi concordati sono soltanto il tacito riconoscimento di una situazione di fatto».

Il Capo annuì diverse volte, ma non concordava affatto. Lo faceva per comunicare una sorta di stupore di fronte all’argomentazione di Iles. Oggi il Capo era in uniforme, in vista di qualche cerimonia, e Harpur trovava che gli donasse alquanto. L’azzurro della stoffa distraeva dal suo pallore, e i bottoni d’argento della giubba sembravano tenerlo insieme, dargli quasi un certo carisma. «Posso dirle a che cosa mi fa pensare la sua proposta, Desmond?» chiese Lane con gentilezza, come chi rivolga un rimprovero ad un figlio adorato. «Non so se lei abbia mai visto un film intitolato L’Onore dei Prizzi, che di tanto in tanto danno alla televisione. È una storia di mafia, comico nelle intenzioni, e parte di questa comicità deriva dal fatto che mafiosi e polizia cooperano: tra di loro esiste un concordato, come direbbe lei». Si piegò in avanti e parlò quasi ringhiando, rivolto verso Iles. «Dico, mi si chiede sul serio di accondiscendere a una tale grossolana e farsesca contaminazione?».

«Ah, mi piace immaginare lei e la signora Lane che guardate insieme film comici a tarda notte, signore» ribatté Iles. «Saper ridere insieme è una grande risorsa coniugale».

«Non vorrei che lei pensasse che io discuto di questi problemi con mia moglie» disse subito Lane. «La riservatezza innanzi tutto».

Iles sollevò una mano per segnalare che quasi ci credeva. Poi l’A.C.C. tirò fuori un taccuino e perse un po’ di tempo a scrivere il titolo del film, facendo compitare “Prizzi” ad Harpur per ben due volte.

«Credo che sappiate già chi è il mio candidato preferito al ruolo di infiltrato» disse Lane. «Mi interessa conoscere il vostro parere, tuttavia. Ho pensato a W. P. Jantice sin dall’inizio, e rimango fermo su questo nome. Voi conoscete le sue qualità, ne sono certo, su tutte la sua notevole conoscenza dell’ambiente dello spaccio. Ma sono aperto ad altri suggerimenti».

Harpur disse: «C’è una funzionaria, signore, Naomi Anstruther, che...».

«Guardate, questa cosa non esiste proprio...» disse Iles.

«Desmond?» replicò Lane con dolcezza.

«Il rischio è inaccettabile» disse Iles.

Lane annuì diverse volte, come prima, ma, come prima, non perché concordasse. Stavolta era per indicare solidarietà. I suoi occhi scuri si accalorarono di comprensione. «Lo so che sta pensando al passato» disse Lane. «La perdita di quel collega è una ferita profonda. È comprensibile, è lodevole, Desmond. Ma stavolta le cose saranno gestite diversamente, mi creda».

«Sono stato a casa di Mansel Shale, l’altro ieri sera» replicò Iles.

Lane rimase senza parole. Harpur disse: «In che senso, scusi? È andato a trovarlo? Nell’ambito delle indagini?».

«L’ho aspettato dentro casa sua. E ho ritenuto opportuno dare uno sguardo in giro, casomai decidessimo per il Piano B, Capo. Se ci dovessimo essere costretti».

Lane mormorò: «Ho capito bene? Lei ha commesso un’effrazione?».

«Shale vive in un’ex canonica, come d’altronde lei stesso, signore» rispose Iles. «Curiose, certe coincidenze. Ho pensato che, se si fosse deciso per un’alleanza, bisognasse conoscerla meglio, questa gente».

Sempre con un mormorio che veniva dai bui recessi del pozzo del proprio stupore, Lane disse: «Ma non c’è mai stata nessuna possibilità che io potessi tollerare un’alleanza. Avrebbe dovuto saperlo». Due o tre di quelle rughe rosse che spuntavano sul viso bianchiccio di Lane quando era arrabbiato o perplesso comparvero all’improvviso sulle sue guance. Il suo corpo sembrava essersi afflosciato dietro i bottoni d’argento. Oh, Dio, signore: e vada alle Seychelles per un mese.

«Quelli come Mansel Shale hanno raggiunto un livello tale da non dover più commettere reati di persona, signore» disse Iles, «se non, ovviamente, reati su di una scala la più vasta possibile, che noi non siamo in grado di contrastare. Di conseguenza, i nostri fascicoli che lo riguardano sono tutt’altro che aggiornati, in maniera perfino patetica. Mi sembrava assurdo procedere verso un concordato con un simile handicap informativo».

Lane diede un pugno sul tavolo ma continuò a sussurrare. «Non ci sarà nessun concordato e non ho mai pensato che dovesse esserci».

Iles disse: «Non ho trovato niente di pregiudizievole. Lo stile di vita di Manse parrebbe di una solidità ammirevole. Gli hanno dato la custodia dei figli, sa? Saremmo fortunati a farcelo alleato».

Il Capo disse stancamente: «Quello vende stupefacenti all’ingrosso, in nome di Dio. E c’entra pure con la morte di questa ragazzina, in qualche modo».

«È arrivata una donna, mentre stavo lì» replicò Iles.

«Lei è stato scoperto dalla donna con cui convive Shale?» domandò il Capo. Il muco gli ostruiva la voce. «La compagna del boss sorprende un Assistente Capo a fare lo scassinatore?».

«Si tratta di una ex» ribatté Iles. «Sempre buoni amici, e via discorrendo. Non so se lei abbia mai avuto la fortuna, signore. Patricia Devonald, adorabile persona, conosciutissima in città, una ragazza davvero a modo. Traboccante di amabilità. Ah, sì». Iles attese una qualche reazione di Lane. Dopo un poco l’A.C.C. riattaccò: «C’è stato qualcosa di sostanziale per un po’, tra lei e Manse – voglio dire, piena coabitazione e mutua esclusività – e adesso lei va a trovarlo, di tanto in tanto, proprio per questa sua amabilità».

«Mora, alta, sui ventotto anni?» fece Harpur.

«S’è fatta castana, coi riflessi ramati, e le dona moltissimo» rispose Iles. «Camicetta azzurra e capelli ramati, sensazionale, proprio. Amabilissima, per l’appunto. Posso dire questo: non era affatto sconcertata dal trovarmi lì dentro». Il taccuino l’aveva riposto nella tasca della giacca del doppiopetto grigio, ma adesso lo tirò fuori un’altra volta. «Ecco qui quello che ha detto, signore». Lesse molto lentamente e con voce di fanciulla, in chiave di contralto: «“Des, ma che cosa carina! Quanti di voi lavorano per Manse, allora? Oppure tu sei il sostituto di quell’altro?”». Poi ripeté quanto sopra. «Non è stato scritto al momento preciso in cui è stato detto, ovviamente. Non volevo raggelare l’atmosfera. Ma non appena se n’è andata ho buttato giù tutto quanto». Ridacchiò. «Signore onnipotente, mi sembra d’essere ritornato un agente di fresca nomina, che dà spiegazioni al banco dei testimoni, taccuino alla mano!».

Harpur disse: «“Sostituto di quell’altro”?».

«Esattamente, Col».

«Mio Dio» disse Lane.

«Sì, signore. Shale tiene uno dei nostri a libro paga».

«Mio Dio, mio Dio» disse Lane. Sollevò una mano sul volto, e sembrò che si mordesse il polso per l’angoscia. L’esaurimento nervoso era storia recente. Harpur si augurava che il Capo andasse in pensione, oppure smettesse di cercare di contrastare Iles. Che poi era lo stesso.

«Sì, ci sono delle implicazioni» disse l’A.C.C. «Chiaramente, signore, parliamo di qualcheduno che si trova nelle condizioni di captare qualcosa in merito alla nostra intenzione di infiltrare un’organizzazione criminale. Immagino si tratti di uno della Narcotici, altrimenti che se ne farebbe Mansel? Dunque, le probabilità che costui possa sentire qualcosa, accorgersi di qualcosa, sarebbero elevate. Oh, noialtri agiremmo nella massima segretezza, si capisce. Ma le cose trapelano, signore. Dopo un poco di tempo, tutto quanto trapela da questa Centrale, e noi avremmo bisogno di un sacco di tempo per organizzare le cose a dovere. E i rischi che potrebbe correre un nostro agente sarebbero gli stessi, sia che andasse a infiltrarsi nell’organizzazione di Shale, sia in una delle altre organizzazioni. Un informatore lo detestano tutti quanti, anche se infiltrato nella squadra rivale. Mansel di infiltrati non ne vorrà da nessuna parte, perché potrebbero raccattare pettegolezzi, nonché apprendere la metodologia».

«Patricia lo conosce, questo poliziotto che lavora per Shale?» domandò Harpur.

«Sa che è di sesso maschile, tutto qui» rispose Iles. «Mansel non le ha mai permesso di incrociarlo. Queste ragazze vanno e vengono, signore. Lei sa come funziona, ne sono certo. Come ho già detto, Mansel è per lo più eccezionalmente prudente ed affidabile. Patricia ha sentito parlare del nostro uomo, e questo è quanto».

«Nessun nome?» chiese Lane.

«Sì, un nome c’è» rispose Iles. «Aladino».

Il Capo indietreggiò sulla sedia, come per prendere le distanze da Iles, e disse: «Sarà vero, Desmond? Mi perdoni, ma debbo chiederglielo. Non sarà un suo tentativo di mandare a monte la mia proposta e di promuovere la sua? Le chiedo nuovamente, può mai essere vero: la ragazza, la rivelazione, Aladino?».

«Aladino sarebbe un nome in codice, signore, non sarebbe “vero” in quel senso...» fece Iles.

«Ma, questa donna...» ribatté Lane. «Sembra incredibile che lei possa penetrare illegalmente in casa d’altri e imbattersi in una donna del genere».

«Quelle erano le sue parole precise, signore».

Harpur disse. «E Shale, è rincasato?».

«Ma certamente» disse Iles. «Un pochino più tardi, però».

«E che cos’è successo?» domandò Harpur. «Patricia ha parlato con lui di queste cose in sua presenza, signore... ha parlato di lei e dell’altro poliziotto?». Suonava come un interrogatorio, ma Iles pareva disposto a subirlo.

«A quel punto lei era già andata via» rispose l’A.C.C. «Quando Shale è rientrato io stavo curiosando al primo piano. Niente di che».

Lane disse: «Andata via? Ma era venuta a trovare Shale, no?».

«Be’, penso che fosse imbarazzata, signore» disse Iles. «Aspettando Shale, abbiamo fatto quattro chiacchiere, per ingannare l’attesa. Lei probabilmente sa come vanno queste cose, Capo».

Lane disse: «Come vanno?».

«Ingannare l’attesa, dico, signore...» rispose Iles.

Lane ci pensò sopra, poi fece qualcosa di prossimo a un ringhio: «Lei ci sta raccontando... quando lei dice che questa donna è “amabile”...».

«Parliamo di una donna di elevati sentimenti che avevo già frequentato in circostanze di natura amichevole, signore. Non penserà che io possa impormi a una perfetta sconosciuta, voglio ben sperare».

«Lei si è introdotto in casa e si è portato a letto una ex amante di Shale?» mormorò Lane. Stavolta si morse le nocche.

L’A.C.C. rise. «Ah, ma no, no, signore. Sarebbe stato imperdonabile. Non nel letto».

«Dabbasso?» fece Harpur.

«Shale non sa nemmeno che lei era passata di lì, quella sera, Capo» disse Iles. «Per questo dicevo, sarà stata imbarazzata. Non credo che ne farà parola. Io ho ripulito la stanza da cima a fondo. Un bel salotto, con un tappeto non male, opere d’arte passabili, nel loro genere: un Arthur Hughes e un paio di Edward Prentis, mi pare. Patricia ha trovato la cosa assai toccante... trovarsi sotto delle opere d’arte di una certa reputazione. Ma di questo piccolo episodio non è rimasta traccia, mi creda, signore. Il Corpo di Polizia rimane senza macchia...». Iles sorrise bonario in direzione di Lane. «E chi cazzo è Shale, in ogni caso? Un uomo di merda come quello lì che cosa fa, telefona all’Ufficio Reclami della Polizia perché un pezzo di figliola è stata con un alto funzionario nel suo banalissimo salotto del cazzo? Ho i miei dubbi. Sono lieto di riferire che il successivo colloquio con il Nostro si è svolto nei termini più cordiali, ma che certamente io non ho assunto alcun impegno in vece sua, signore. Sarebbe stato travalicare i limiti del mio mandato».

«Posso crederci, Harpur?» fece Lane con un tono da lamento funebre. «Posso crederci, in parte, se non del tutto?».

Iles, che aveva riposto il taccuino nella tasca per la seconda volta, lo tirò fuori per la terza. «Ci è rimasto il tempo per un bel po’ di conversazione» disse. «Come può immaginare, signore, ho chiesto ripetutamente a Patricia ulteriori informazioni in merito al funzionario che s’è venduto. Ma ho paura che questo sia tutto: “Des, ma che cosa carina! Quanti di voi lavorano per Manse, allora? Oppure tu sei il sostituto di quell’altro?”». Adesso era il turno di Lane di stare con gli occhi fissi sul tavolo, avvilito. Sembrava che Iles avesse tirato fuori dalla tasca qualcos’altro, insieme al taccuino. Mentre il Capo teneva ancora gli occhi bassi, Iles d’improvviso lanciò con un colpetto del dito un oggetto rotondo verso Harpur, che gli sedeva di fronte. L’oggetto misterioso colpì Harpur al torace e finì sul tappeto. Harpur diede uno sguardo sotto la propria sedia e vide un bottone azzurro da vestito d’alta moda.

Terminata la riunione, Iles accompagnò Harpur fin dentro l’ufficio di quest’ultimo e si mise a sedere. «Le ha detto che Aladino è W. P. Jantice, vero, signore?» chiese Harpur.

«E si capisce, cazzo...» rispose Iles.

Harpur disse: «Io...».

«Guardi, io non ho mai condiviso del tutto l’opinione di quanti sostengono che lei manchi di discernimento, Harpur, anche se sono proprio tanti».

«Grazie, signore».

«Lei ha intuito che siccome per il Capo Jantice era sole, luna e stelle, quello doveva certamente rivelarsi un pezzo di merda, non è così?».

«Avevo la sensazione che lei non stesse raccontando tutto quanto, signore» ribatté Harpur.

«Doverosa clemenza nei confronti di Lane», disse Iles.

«Proprio quello che pensavo, conoscendola, signore».

«Avrei mai potuto fare ulteriormente a pezzi un povero vecchio rottame in uniforme, Harpur, e davanti a un subordinato, poi?» domandò Iles.

Harpur disse: «Io...».

«Sì, lei pensa che avrei potuto». Iles ponderò la faccenda per un poco. «Bah, possibilmente. Ma posso anche inciampare nel senso di umanità, di tanto in tanto. Questo relitto, il Capo, è cosa nostra, Harpur, e tocca prendersene cura, fasciargli le ferite. Questa è la solidarietà. E lei quand’è che ha conosciuto Patricia, dunque, Colin?».

«Potrebbe essere Jantice, il tizio con la SIG 6,35 millimetri?» replicò Harpur.

«E si capisce che potrebbe, cazzo...» disse Iles.