20

Harpur ricevette un invito a bere qualcosa a casa di Mark Lane. L’invito fu fatto mediante breve telefonata in ufficio. Il Capo aveva borbottato: «Preferirei che di questo incontro non si sapesse in giro, Colin».

La telefonata aveva allarmato Harpur. Temeva che Lane fosse lanciato al galoppo verso un altro esaurimento: una disintegrazione a livello personale che facesse da pendant con quello che Iles aveva definito il «progressivo svuotamento ed esaurimento» di concetti come regole, governo, sistema. Forse il peggioramento di Lane – favorito, ovviamente, dall’A.C.C. – era conseguenza di quest’altro tracollo più ampio. Ultimamente, per un po’, il Capo aveva creduto di poter contrastare lo scivolamento globale verso l’anarchia: si era fatto improvvisamente risoluto, sicuro di sé. C’era un piano: infiltrarsi. Al principio vi si era opposto, poi aveva cambiato idea. Poteva funzionare come poteva non funzionare. Ma perlomeno aveva dimostrato di essere consapevole della necessità di agire, ed era ancora deciso a combattere. E a quel punto era arrivato Iles con le sue rivelazioni in merito al tradimento. Rivelazioni che potevano distruggere tutto quanto. Se ci si metteva di buzzo buono, Iles poteva sempre portare Lane alla disperazione in tempi rapidi.

E così il Capo si era ritirato in se stesso. Veniva ancora in Centrale ma raramente lo si vedeva in giro. Stava chiuso nei suoi uffici, anziché gironzolare amabilmente per le stanze onde intavolare discussioni informali. Le volte che ad Harpur capitava di intravederlo, Lane gli sembrava paurosamente sofferente e confuso, come uno che ha visto l’inferno, e al quale potrebbe toccare di non vedere altro d’ora innanzi. Oppure capitava di incontrarlo per caso in ascensore, e Lane per un momento sollevava la faccia in una smorfia di fiero ottimismo. Così era peggio ancora della solita tristezza: era un tic da condottiero. Aveva sempre camminato per i corridoi strascicando i piedi, spesso ricoperti dalle sole calze, ma adesso, se si avventurava fuori dalle sue stanze, li strascicava con una lentezza raccapricciante, prossima alla totale prostrazione. Dormiva? Mangiava? Erano i sintomi che Harpur ricordava dall’ultimo affondamento del Capo. Iles aveva notato tutto quanto, ovviamente. «Una tragedia, Col. E in fondo è un classico: l’archetipico dabbenuomo che dalla stessa sua bontà viene portato fuori strada e obnubilato; al quale la stessa sua bontà frutta una promozione ben al di sopra del proprio artigianale livello. Quando vedo Lane, penso sempre a San Pietro».

La telefonata di Lane era arrivata mentre Iles si trovava nella stanza di Harpur, dove aveva commentato le scarpe nere con le stringhe che s’era fatto fare su misura per poi saltare di palo in frasca e suggerire che W. P. Jantice venisse condotto da qualche parte da lui e da Harpur, quella sera stessa oppure quella successiva, e picchiato quasi a morte finché non avesse raccontato tutto quanto, indi picchiato a morte. «Conosco una sponda dove fiorisce il timo, Colin, e dove può gridare finché vuole, tanto non lo sentirà nessuno».

Harpur disse: «Non abbiamo niente di certo a suo carico, signore. Non sono in grado di provare che si sia venduto e non sono in grado di provare che si trovasse in quel viottolo».

«Il suo nome mi è stato fatto da fonte attendibile».

«Se lo dice lei».

Iles era in alta uniforme in vista di una qualche cerimonia, e stava seduto con le gambe allungate davanti a sé, di modo che Harpur potesse apprezzare le scarpe da varie angolature. «Immagini come dev’essere fare l’amore con una ragazza con tutte quelle qualità una sera, e ritrovarsela ammazzata nello stesso identico punto del tappeto la sera dopo, Harpur».

«Io non...».

«Ci si sente chiamati in causa. Lei la conosceva bene? Scusi la domanda. Mi domando se lei frequenti qualcuno in particolare di questi tempi, Col».

«Hanno trovato la 9 millimetri che ha fatto il danno».

«Veramente?».

«Sotto un cespuglio, mi pare».

«Adesso lei mi dirà che è per questo, che non l’hanno trovata immediatamente» ribatté Iles.

«Per forza».

«Sì, per forza». L’ottima stoffa dell’uniforme blu scuro di Iles pareva come sempre evidenziare la ferocia da bestia selvaggia della faccia che stava sotto i capelli grigi tagliati corti, e la sua eterna solitudine. Quella mise era un risibile tentativo di farlo sembrare civile e socievole. Fu allora che il telefono di Harpur squillò, e lui rispose mentre Iles giocherellava con la propria epidermide per mostrarsi indifferente. Quando Harpur mise giù il ricevitore, l’A.C.C. disse: «Lane?».

«Garland. Dice che non c’erano impronte, sulla pistola».

«Lane» ribatté Iles. «Qualche maldestra congiura».

«Bisogna far vedere la pistola a Shale. Magari potrebbe ricollegarla a qualcuno».

«Lei e Lane e la signora Lane avete formato una bella conventicola, Harpur?». Iles si era messo a strillare. La porta era parzialmente aperta, e Harpur attraversò velocemente la stanza per andarla a chiudere. Manovra necessaria in occasione degli accessi d’ira di Iles. «Avvilente, Harpur. E vano. Un vero tradimento. Ma lei lo ha già fatto in passato».

«Non credo che l’arma sia stata acquistata da queste parti» disse Harpur. «Una Star automatica. Spagnola. Tutti i rivenditori locali lavorano con la roba dell’Est europeo, di questi tempi».

La voce di Iles retrocesse verso un tono normale. A questo volume l’aggressività dell’A.C.C. poteva essere pure peggiore, più meditata. «Lane vorrà insistere con la storia di infiltrarsi, non è così, Col? Ne va della sua anima e del suo cervello. Forse della sua sanità mentale. Il cervello è pochino e la sanità mentale è a intermittenza, ma la sua anima di cattolico è del modello standard, e possibilmente di un certo valore: per lui, beninteso. Avrà visto com’è ridotto. Io lo compatisco Lane, mi creda, ’sto rottame tutto tremolante che non è altro. Se si rimangia il suo progettino, nel piatto non gli rimane più niente. La signora Lane vorrà il suo aiuto, Harpur, per salvare il marito. E d’altra parte lei ha proprio l’aria dell’uomo che in casa sa fare un po’ di tutto, Col. E la signora suo marito lo ama, lo ama a prescindere. E perché non dovrebbe? Con quella faccia da barca a remi e quel fisico tipo credenza della nonna, ma chi altro deve trovare? Insomma, vi farete questa bella causerie, a casa loro, per riservatezza?».

«Potrei pregare Francis Garland di andare a trovare Leyton e Amy Harbinger, allo Hobart. Magari le forniture d’oltrecortina scarseggiano, e si sono messi a vendere le Star».

Iles tirò fuori un sottile taccuino foderato in pelle e un portamine d’oro. Prese nota o fece finta di. «M’è parso che Shale dimostrasse una certa dignità, l’altra sera, vuoi col cadavere vuoi con i quadri alle pareti. E in TV non si è reso ridicolo. Per me è lui, l’interlocutore di una politica di scambio. Lane ha deciso di tagliarmi fuori, alla fin fine, nevvero, Col? E lei si ritrova un’altra volta nel mezzo, ed io capisco il suo punto di vista, che è quello di un lazzarone in malafede. Shale va protetto».

«Da noi?».

«Se dobbiamo investirci sopra».

«Ma probabilmente non dobbiamo».

«Quella gente è ancora in circolazione. I due appiedati di Sphere Street, intendo. O più di due, se fanno parte di un’équipe di invasori».

«Sì».

Iles disse: «È stata negligenza, lasciare quella pistola sul posto, anche se ripulita». Si alzò e si avvicinò alla scrivania di Harpur. Diede una scorsa al cestello delle pratiche da evadere. «Ovviamente, si potrebbe pure darla vinta al piccolo Mark, e lasciare che faccia infiltrare W. P. Jantice. Dopo di che facciamo sapere a Shale che il summenzionato fa il doppio gioco. Così Manse manda qualcuno e ti saluto W. P. Però in questo modo mi perderei quella sensazione della carne che affonda nella carne, dello stivale che affonda nella tempia, dico bene, Col? Per quello ci vorrebbe qualcosa di più pesante di queste qui». Si accarezzò una delle scarpe.

«Dobbiamo cercare di...».

«Sembra un secolo dall’ultima volta che ho visto Hazel, sa. Mi farò vivo quanto prima. E Jill, ovviamente. Immagino che sentano la mia mancanza».

«Come sta Sarah, signore, e la bambina?».

«Siamo una famiglia incredibilmente unita, Col: ognuno si preoccupa degli altri».

«Così avevo sentito dire».

*

Come Shale, il Capo abitava in un’ex canonica. Questa qui era quasi un castello, con tanto di maneggio e di stalle, e un paio di cavalli per i figli di Lane. In macchina, quella sera, Harpur realizzò di colpo che ci avrebbe trovato pure W. P. Jantice. Questa era una riunione per far partire il progetto di Lane, e al diavolo i rischi e i pericoli. Questo spiegava la segretezza. Lane aveva deciso di tagliar fuori l’A.C.C., dopo tutto. Il legame rivendicato da Iles con l’amica assassinata di un grossista di droga probabilmente aveva nauseato il Capo, aveva reso Iles per sempre inaccettabile ai suoi occhi. Forse Lane intendeva fare egli stesso da supervisore dell’operazione. Iles forse aveva anche ragione a dire che la persona stessa ed il ruolo del Capo erano ormai legati a doppio filo al piano dell’infiltrato. Lane doveva andare avanti oppure scivolare inesorabilmente verso la totale sconfitta e il tracollo irreversibile. C’era stata una tremenda, tranquilla frenesia nel modo in cui Lane aveva formulato l’invito. Era un ordine e allo stesso tempo una richiesta di lealtà e di amicizia. Harpur avrebbe voluto rispondere positivamente, però non era più tanto sicuro che Lane fosse adatto al comando. Era diventato fragile e ossessivo. Iles avrebbe detto ancora più fragile e ancora più ossessivo. Quella poteva essere una serata penosa.

La signora Lane gli venne incontro nel vialetto per dargli il benvenuto. Harpur provò una certa sorpresa, nel vederla. Se era un incontro confidenziale, lei non doveva essere coinvolta, non doveva nemmeno trovarsi nei paraggi. Harpur non aveva immaginato di trovarla in casa. La signora gli parlò prima ancora che lui avesse il tempo di spegnere il motore dell’auto: «Mark deve dimettersi, Colin. Immediatamente».

«C’è qualcun altro, stasera?».

«Chi?».

«Qualcuno della Centrale?». Scese dalla vecchia Sierra.

«Lei è il solo con il quale possiamo consultarci. Capo dice che non farà nulla se prima non parla con lei. Ci è sembrato preferibile vederci qui». Aveva un viso allungato e ben fatto: come una barca a remi ben fatta, avrebbe detto Iles. Adesso era molto agitata, gli occhi avidi delle reazioni di Harpur. C’era grande intensità in lei, forse troppa per Capo. «Lui si fida di lei, Colin» disse. «Vi conoscete da tanto di quel tempo».

Sissignore: dal tempo in cui Lane era un grande investigatore; prima che l’alto incarico finisse per ridimensionarlo e corroderlo. L’alto incarico più Iles.

Sally Lane disse: «È un po’ giovane per andare in pensione, certo: i nostri figli vanno ancora a scuola. Ma c’è di mezzo la sua salute. Sarebbe una motivazione più che valida. In tanti hanno chiesto il pensionamento anticipato a causa dello stress. Ci sono altri lavori. Non abbiamo bisogno di stare in un posto enorme come questo qui. Per favore, per favore, gli dica di lasciare l’incarico, Colin. Lui non ce la fa, sa che non ce la fa, ma rifiuta di ammetterlo. È una terribile impasse, ed è la strada che porta di sicuro alla catastrofe. È spaventosamente chiaro, e lo sarebbe anche senza gli illuminanti trascorsi. Non vuole arrendersi ad Iles». Quest’ultima frase la pronunziò con un misto di orgoglio e di collera. Lei non voleva che il marito si arrendesse, e allo stesso tempo lo voleva. Parlava velocemente, forse aspettandosi che Lane facesse capolino da un momento all’altro.

«Persuada Capo che questa è un’assurda semplificazione del problema. Gli dica che non si tratta di una lotta per la supremazia tra lui e quel talentuoso zoticone».

«Si tratta anche di questo».

«Senz’altro. Ma lei deve convincerlo che non è così. Per questo ho dato il mio assenso a questa sua visita a domicilio, Colin. Deve farlo persuaso che può ritirarsi dalla mischia dignitosamente. So che non è così, che lui è sconquassato, distrutto, ma lei deve convincerlo del contrario. D’altro canto non può nemmeno restare al suo posto, dignitosamente. Mark ha perso, Colin. Ma vorrei che questa sconfitta gli lasciasse un po’ di salute e di anni da vivere. Bisogna che qualcuno gli dica che deve mangiare questa minestra: bisogna che glielo dica lei. Io gliel’ho già detto, ovviamente. E non funziona». Aveva iniziato a piangere, ma senza che questo modificasse né la sua voce né la sua determinazione. Lasciava scorrere le lacrime, senza tentare di nasconderle o di asciugarle.

Harpur disse: «Non sono...».

Il tono di voce della signora si fece quello di una domanda di grazia. «Lei non deve temere di restare sotto Iles. Non più di adesso. A fare il Capo non chiamano assistenti o vice dello stesso territorio, dico bene? Ma forse lei è un fedelissimo di Iles. Non siamo mai stati sicuri riguardo a lei, Capo ed io».

Harpur non era sicuro nemmeno lui. Lane spuntò sulla soglia di casa e salutò con un gesto della mano. Non pareva migliorato: la mano era molle e pesante. Aveva addosso dei vestiti sportivi raccapriccianti e pareva il paziente di un ospedale psichiatrico cui solo di recente è stato dato il permesso di uscire da solo in giardino. Harpur ricambiò il saluto. «Per favore» mormorò la signora.

La conversazione ebbe luogo in quello che Lane chiamava il soggiorno. Chiamarlo “salotto” gli sarebbe parso pretenzioso. Appese a una parete c’erano le fotografie in cornice di quelli che Harpur immaginava fossero parenti di Lane, la maggior parte dei quali sorridevano disinvolti, come se la felicità fosse facile da raggiungere e da preservare, bastava comportarsi onestamente. Sulle altre pareti c’erano pallidi acquarelli di scene di vita campestre. “La Galleria degli Orrendi” era la definizione data da Iles a quella stanza. Lane disse subito: «In un modo o nell’altro mi si chiede di rinunciare a tutto». Aveva preceduto nella grande stanza Harpur e Sally Lane, e pronunziò quelle parole dando le spalle a entrambi, lo sguardo rivolto al caminetto.

«Non facciamo teatro, Mark» ribatté la signora.

Forse aveva ragione lei: la voce del Capo non faceva per il teatro. Non avrebbe raggiunto che le prime file. Lane non si voltò, come se non volesse affrontare il loro sguardo. «Se vado via... be’, sarebbe una vera e propria de-Capitazione». Cristo, doveva essere la prima volta che Harpur gli sentiva fare una battuta. C’era voluta la tragedia. «Se rimango, sarebbe per attuare una politica che trovo detestabile e pericolosa, nella quale i miei poteri e quelli della mia gente si andrebbero assottigliando sempre più, fino a diventare insignificanti. Diventeremmo qualcosa di simbolico e basta. Sì, lo so, Iles direbbe che i nostri poteri sono insignificanti già adesso... che quelli come Shale, con i loro soldi e il loro peso, governano di fatto certi quartieri, e che il loro potere andrà ad aumentare, come già succede a livello nazionale, a livello mondiale. Ma dovremmo forse legittimare questo fatto? Accettarlo? Approvarlo tacitamente? È questo, che propone lui? Posso mai firmare questa dichiarazione di resa?».

A quel punto finalmente si voltò, con la faccia di nuovo orribilmente caduta di lato, la pelle punteggiata di sudore. Fece un altro cenno con la mano, stavolta per indicare le poltrone. Quando la signora Lane ed Harpur si furono seduti, si accomodò anche lui.

«La seconda alternativa è senz’altro intollerabile, Mark» disse la signora Lane. Adesso non piangeva più. «Non è nel tuo carattere allearti con il diavolo. Sono lieta di poterlo dire. So che Colin sarà d’accordo».

Harpur era sgomento. Lo snervava trovare Lane in condizioni addirittura peggiori di quel che ci si sarebbe potuti aspettare. Per un secondo, allora, rimpianse di non esser stato sul serio convocato lì per prepararsi ad infiltrare una qualche organizzazione criminale: anche se il prescelto fosse stato W. P. Jantice, con tutte le incognite e le complicazioni del caso. Harpur bramava un segno qualsiasi di combattività. E invece Lane riusciva a parlare soltanto di una forma di capitolazione o dell’altra. A sgomentare Harpur, oltretutto, era il fatto che Sally Lane fosse a conoscenza di un bel po’ di cose. Certo, il discorso era rimasto sulle generali, però era chiaro che Lane aveva discusso con lei della proposta di alleanza. Chissà che non avessero discusso pure dell’ipotesi dell’infiltrato. Harpur era stato convocato lì in nome della segretezza, e gli toccava constatare che Lane non aveva segreti per la moglie. Iles aveva sempre sostenuto che la signora Lane tutto sapesse e tutto dirigesse per il tramite del Capo.

La signora preparò ad Harpur il solito drink, gin e sidro in un boccale da mezza pinta. I Lane bevvero vino bianco. C’erano vol-au-vent e biscotti al formaggio. Harpur avrebbe preferito di no. Non sembrava il caso di recitare la serata mondana mentre Lane decideva quale genere di tracollo scegliere. Osservò la camicia a scacchi pesante e i pantaloni di velluto a coste marrone del Capo: pareva sbagliato anche l’abbigliamento. Gli dava quell’aria da mezzo pazzo che Harpur aveva già notato, però era un pazzo innocuo, tutt’altro che scatenato.

«Abbiamo visto Shale in televisione» disse Sally Lane. «Parlava come se il patto fosse già operante. L’intervistatrice lo incalzava, ma lui pareva si sentisse al di sopra di tutto, tranquillo. Colin, io debbo chiederle se per caso Capo non sia stato scavalcato. Dobbiamo chiederci se ogni resistenza da parte sua non sarebbe altro che tardiva... se l’unica soluzione onorevole non sia la ritirata. Io ne sono convinta».

Lane disse: «No, no, io non posso...».

«Voglio essere chiara con lei, Colin» disse Sally Lane. Gli sedeva di fronte, sempre con la faccia che le brillava per le lacrime, pur avendo smesso di piangere. «Capo aveva questo piano. Era rischioso, ma altrove ha avuto successo. Infiltrarsi. Oggi come oggi è quasi un fatto di routine, come lei sa. Ma il piano è stato mandato a monte da Iles prima che si potesse persino iniziare. Mandato a monte da certe informazioni che Iles sostiene di aver ricevuto da un’amica di Mansel Shale sulla quale lui, Iles, eserciterebbe un certo fascino e quant’altro. Le informazioni in questione riguardano un sottoposto del Capo che farebbe il doppio gioco, il quale non esiterebbe a tradire un eventuale detective infiltrato nella banda, provocandone la morte». La signora Lane non aveva nemmeno toccato il vino che stava nel proprio bicchiere. Voleva mantenere la testa lucida e la voce imperturbabile. «E poi, prima che queste informazioni possano essere confermate da qualcuno che non sia Iles, ecco che la donna viene uccisa, messa a tacere. Sempre ammesso che avesse sul serio detto alcunché. Colin, ma noi possiamo onestamente credere che Iles, introdottosi in casa d’altri, avrebbe avuto sfacciataggine, fortuna e fascino irresistibile tali da conquistare all’istante la fiducia di quella donna, carpirne i segreti e scoparsela pure, nel salotto dell’ex partner di lei?».

Sì, nel caso di Iles poteva pure essere. Il luogo era irrilevante. La parola sconveniente in bocca a Sally Lane colpì Harpur quasi altrettanto delle sue argomentazioni. «Intende dire che Iles e Shale si sono messi d’accordo per attribuire falsamente quelle informazioni a Patricia Devonald? Che Iles è in combutta con Shale?».

«Pur di ottenere il suo scopo» ribatté Sally Lane.

«Cioè Iles si sarebbe venduto» borbottò Harpur. «E Iles o lo stesso Shale avrebbero ucciso Patricia Devonald?».

«Iles avrebbe semplicemente dato inizio a quella collaborazione che auspica per l’intera polizia territoriale. In base al principio de facto: i baroni hanno potere, perciò prendiamone atto e comportiamoci di conseguenza».

Lane, stravaccato in poltrona, disse: «E tu vorresti che io andassi via, Sally, se le cose stanno come dici?».

«Ma noi sappiamo che le cose stanno così, non è vero?» ribatté lei. «Non è vero, Colin?».

Harpur disse: «Lei corre troppo e salta troppo facilmente alle conclusioni».

«Ve lo chiedo di nuovo, lo chiedo a tutti e due, come potrei voltare le spalle a una situazione del genere, ritirarmi a coltivare l’orticello?» fece Lane.

La signora Lane si alzò e andò ad affiancare il marito seduto in poltrona. Gli mise una mano su una spalla. Lacrimava un’altra volta. Il Capo mise una mano su quella della moglie. Lei gli parlò con dolcezza: «Tesoro, tu stai male, sei stanco. Hai combattuto, ma adesso non sei più nelle condizioni di opporti a questa gente. La tua autorità è vilmente minata da come minimo uno dei tuoi colleghi. Si approfittano tutti quanti della tua bontà e della tua salute malferma. Se ti dimetti, non vorrà dire che abbandoni il distretto e la tua gente alla mercé dei baroni. Al tuo posto arriverà qualcun altro, più giovane e più in salute, che possa trovare il modo di annientare Shale e Panico Ralphy e Vine e Stanfield».

Lane sembrava ancora più malato. «Debbo passare la mano? Sally, e tu vorresti un uomo che sventola bandiera bianca a questo modo?» domandò.

Lei ci pensò sopra. Poi parlò con dolcezza ancora maggiore: «Ne usciresti ridimensionato, è vero».

«Ne uscirei annichilito».

Gesù, Harpur voleva scappare da questa casa. Qui si dissezionava un uomo, ad opera della moglie e di se stesso. Non c’era bisogno di spettatori.

Lei disse: «Colin, lei avrà notato che spesso io lo chiamo Capo. Non il Capo, ma Capo e basta. È un’abitudine, una forma di omaggio. Sono certa che la gente lo trova strambo, buffo».

Harpur disse: «Niente affatto, signora Lane. Non ricordo che nessuno me l’abbia mai fatto notare. Si vede che lei lo fa suonare naturale». Iles di tanto in tanto alle feste si esibiva in una scenetta ambientata nella camera da letto di casa Lane, in cui interpretava un’ansimante Sally Lane: «Oh, Capo! Capo! Oh, oh, okay, Capo: adesso puoi anche venire».

Lei disse: «Ne usciresti ridimensionato, Capo, è vero. Noi siamo abituati a parlarci con franchezza. Io potrei continuare a chiamarti Capo, ma l’appellativo suonerebbe tragicamente vuoto. Però dobbiamo accettarlo, Mark. Io sono pronta ad accettarlo pur di averti con me e con i ragazzi, vivo».

Rimasero entrambi in silenzio. Erano come in posa per un quadretto familiare, ma nessuno dei due sorrideva. La mano di lei, sempre in piedi accanto alla poltrona, rimase sulle spalle di lui, coperta dalla mano di lui.

Harpur disse: «No. Non si arrenda, Capo. La prego. Ci infiltreremo».