V

All’osteria Pà Cech, a quell’ora del primo pomeriggio, non c’erano molte persone.

I due poliziotti si sedettero a un tavolo vicino all’ingresso. Albino appoggiò sulla sedia impagliata libera il suo cappello, con visiera sporgente e corona piatta marrone ruggine, e spostò in avanti il manganello e la rivoltella dalla cintura per stare più comodo.

«Tutto a posto?».

«Sì, grazie. Quando mi siedo, devo sempre sistemarmi alcune parti della divisa».

Gli occhi dei pochi avventori erano sui tutori della legge. Il gendarme era riconoscibile per la sua sfolgorante montura, il delegato era noto e nel rione tutti lo conoscevano.

Una donna, che stava bevendo e chiacchierando con un uomo in un tavolino appartato, s’irrigidì. Un’altra signora, accomodata su una panchina laterale del grosso camino nero e tutta intenta ad attizzare il fuoco che bruciava lento, ebbe la stessa reazione. Le due si guardarono e, dopo una breve esitazione, lasciarono alla chetichella il locale attraverso una porticina che dava sul retro.

Il delegato aveva notato la scena con la coda dell’occhio, ma non se ne curò.

«Buongiorno a voi, signori tutori dell’ordine pubblico» fece l’oste avvicinandosi al tavolo.

«Anche a te, caro Cech. Ti presento il mio giovane collega, il gendarme Frapolli».

Albino, nel sentirsi chiamare collega dal suo superiore, ebbe un moto d’orgoglio che l’impettì, passò il palmo della mano sull’acconciatura a spazzola e salutò l’oste con un lieve cenno del capo.

«Siamo affamati! Cosa ci porti?».

«A quest’ora vi posso dare dei formaggini, del salame e un bel piatto di minestrone caldo».

«Va benissimo. Portaci anche un quinto di barbera e una gazzosa».

Il Beretta riempì il suo bicchiere di vino, ne mise un goccetto nel bicchiere del gendarme e lo mischiò con un po’ di gazzosa. Albino guardava imperterrito; un po’ di vino mischiato con quell’acqua dolce aromatizzata, versato da un ufficiale, non poteva essere una grave negligenza.

I due mangiarono con appetito fino a sazietà. A fine pranzo, il delegato si fece portare una ciambella all’anice del Gin Bianchi, la frantumò in due e la intinse nel vino rosso a mo’ di zuppetta. Una metà ancora sgocciolante la offrì al Frapolli e una se la gustò.

Un uomo sciupato, che dormiva seduto su una panchina di legno con la testa appoggiata al muro, si svegliò di soprassalto. Con una faccia che pareva appena ripescata dal lago e i capelli in subbuglio, iniziò a guardarsi attorno con gli occhi socchiusi, pareva che scrutasse l’orizzonte. Aveva le labbra tumide, arrossate, così com’era rossa la pelle del suo naso e delle guance. Fermò di colpo lo sguardo sul gendarme, spalancò gli occhi, che ora erano bovini, e barcollante si avvicinò al giovane.

«Il est temps d’arrêter les pleurs!» disse al Frapolli.

Albino, con la ciambella fra i denti, lo osservava attonito con la bocca semiaperta. Il delegato se la rideva.

«Il est temps d’arrêter les pleurs!» ripeté lo stravagante personaggio. «Volete cacciarci, ma noi non ce ne andremo: faremo barricate e resisteremo fino alla fine. Fino alla fine». E così dicendo si mise sull’attenti e intonò il ritornello della Marsigliese:

Aux armes, citoyens,

formez vos bataillons,

marchons, marchons!

Qu’un sang impur

abreuve nos sillons!

Intervenne il Cech. «Dai Bélier, fai il bravo, non disturbare i tutori della legge». E con garbo lo accompagnò alla porta.

«Il est temps d’arrêter les pleurs!» disse anche al Cech mentre, barcollando, usciva in strada e lanciava un ulteriore monito: «All’ignoranza rispondo col silenzio: Allons enfants de la Patrie...».

Albino puntò gli occhi spalancati su quel tipo, come se avesse appena visto il fantasma di Marat o peggio ancora di Robespierre, finché, attraverso una finestra, non lo vide scomparire tra gli angoli delle vie.

«I primi moti rivoluzionari del Sassello» disse il Beretta ridacchiando.

L’oste guardò i due poliziotti, allargò le braccia e alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa.

«Vieni, Cech, ti dobbiamo parlare».

«Un attimo, signori» fece questi, mentre da dietro il bancone prendeva una bottiglia e tre bicchierini. Con fare risoluto li appoggiò sul tavolo del suo interlocutore e li riempì.

«È ratafià, di quello buono».

«No, grazie!» rifiutò il Frapolli. L’oste lo guardò accigliato, pareva offeso.

«Non beve in servizio» intervenne il delegato, mentre con un sorso trangugiò il suo.

«Allora, Cech, brutte nuove al Sassello. In un cortiletto qui vicino è stato trovato il cadavere di una giovane donna. La poveretta era sul selciato e priva d’indumenti».

«Le voci corrono...».

«Le voci ci hanno detto che magari era una tua consolatrice di sventure». Era così che il Beretta chiamava le prostitute, non tanto perché non osava usare uno degli infiniti nomi che esistevano, ma perché credeva in quei due termini e gli attribuiva un valore sociale.

«Qui non manca nessuno, signor delegato. E poi, da quel che si dice, la ragazza morta pareva un angelo e qui di angeli è un pezzo che non ne arrivano».

Frapolli ascoltava in silenzio quello strambo discorso, fatto per allusioni e metafore. Quel che diceva l’oste era vero, la ragazza sembrava davvero un angelo e a bazzicare in quel posto non ce la vedeva proprio.

«Insomma, questa ragazza non la conosce nessuno, non l’ha mai vista nessuno. Possibile?». fece stizzito il Beretta. «Allora, Frapolli, scriveremo sul verbale che un angelo, mentre faceva un volo di ricognizione sopra Lugano, è caduto dal cielo e ha battuto la testa su un gradino di granito nel quartiere Sassello».

Il gendarme e l’oste, intimoriti dallo sfogo appena udito, non fiatavano. Vi fu una lunga pausa e un momento d’insofferenza saturò l’atmosfera.

«Non se la prenda, capo» fece il Cech accomodante. «Ora chiamo la Sterlina e vediamo cosa sa. E poi ci sarebbe il Magliana, che affitta delle camere su in via Tassino. Dicono che lì ci sono sempre ragazze nuove, giovani, venute da fuori, da Milano».

«Va bene! Chiama la Sterlina, magari lei sa qualcosa che gli altri non sanno».