XXXI
Estate 1936
Sopra la vetta del monte San Salvatore si scatenò il più grande spettacolo pirotecnico di tutti i tempi.
Fulmini, saette e lampi comparvero tutti assieme in un grandioso numero di effetti strabilianti, così vigorosi da illuminare a giorno la montagna. Tra sfolgoranti baleni e turbinii di vento arrivarono dei potenti tuoni che sembravano esplosioni micidiali e che, giungendo all’improvviso, di soprassalto, fermavano il cuore. Sembrava che il cielo nero si sarebbe squarciato da un momento all’altro aprendosi in due e, tra cumuli foschi e nuvolaglia sparsa, illuminato dai lampi, sarebbe comparso il Creatore a chieder conto a tutti.
Albino sbirciava da una finestra dell’ufficio tutta annacquata e, attraverso il vetro sfocato dagli spruzzi, guardava la pioggia obliqua scendere a catinelle. Ne aveva visti di temporali, ma come quello non se ne ricordava. Fece una leggera strizza con le spalle e tornò al suo posto.
I due commercianti d’oltralpe, che erano allo sportello della gendarmeria, sembravano preoccupati per la loro sorte: il temporale li intimoriva. Il caporale Viscardi, mentre preparava le loro carte, si accorse del palpabile disagio dei suoi interlocutori e li rassicurò. «Sono i nostri temporali. L’aria calda sale in fretta da questo catino che come pareti ha le montagne e come fondo il lago, e in men che non si dica arriva il pandemonio. Non succede niente, fra un po’ smette».
Con il brutto tempo tutti gli agenti erano in allerta, così come i pompieri e gli operai del Comune. In gendarmeria, oltre al caporale Viscardi e al Frapolli, vi era l’appuntato Bernasconi, prossimo alla pensione. Gli altri erano di pattuglia a controllare le acque del fiume e del lago, e pronti a dare l’allarme se ce ne fosse stato bisogno. Doveva uscire anche Albino, ma fu costretto a rimanere tra le quattro mura perché il delegato doveva parlargli.
Dal mese di ottobre del ‘35 le collaborazioni con il Beretta erano aumentate. Spesso lo chiamava e assieme andavano per inchieste e constatazioni, per lo più furti e incidenti. Altri casi complicati e coinvolgenti, come quello di Eleonora Alfieri-Ferri, non ve ne furono.
Quel 10 agosto del 1936 Albino avrebbe guardato volentieri le stelle cadenti. Magari come faceva da piccolo nel prato dietro casa, sdraiato sull’erba e con il naso all’insù a giocare con la fantasia e a immaginare desideri da mille e una notte. Il temporale estivo però si era intromesso, tarpando le ali a tutti i sognatori desiderosi di una notte stellata.
Smise di fantasticare e si concentrò sulla macchina da scrivere, una vecchia Olivetti M20, con il tasto “s” smussato. Indice dopo indice, a un ritmo da marcia funebre, stava redigendo il rapporto della macabra constatazione fatta il giorno prima. In via Sassello n. 5, una vecchietta di nome Baccani Aurelia, di settantaquattro anni, era caduta nel focolare bruciando. Il Frapolli, mentre scriveva, aveva nella mente quella terrificante visione. La constatazione della disgrazia, fatta con il giudice di pace Balmelli e il dottor Riva, non lasciava dubbi: si trattava di un brutto incidente.
Avvolto da uno spolverino con il bavero rialzato e un cappellaccio calato sugli occhi, inzuppato come uno straccio da pavimento, il Beretta spalancò la porta della gendarmeria con la violenza pari ai turbinii generati dal temporale. Le poche persone del locale sobbalzarono per l’inaspettato evento. Si sgrullò la pioggia di dosso, con la stessa vivacità di un cane bagnato, innaffiando chi gli stava vicino e facendo attorno a sé il vuoto. Sgusciò da sotto la giacca una cartella di cartone, la strinse tra le labbra facendo una smorfia ridicola e con una manovra d’avvinghiamento, badando a non bagnarla, si tolse il soprabito e il cappello fradici e gocciolanti, e li appese all’attaccapanni.
«Per la miseria! Che tempaccio, il Cassarate fa paura e se va avanti così, esce il lago».
«Buongiorno, signor delegato» fecero in sincrono i presenti che lo conoscevano, mentre gli altri si limitarono a un cenno con il capo.
«Buongiorno anche a voi... avete sentito la notizia di ieri? Quel fenomeno di Jesse Owens ha vinto anche la staffetta 4x100. Accidenti che tipo quello, dopo i 100 metri, il salto in lungo e i 200 metri, ha vinto anche quest’ultima gara. Che fenomeno. Un vero asso».
«Oggi dovrebbe gareggiare anche Georges Miez» fece il caporale Viscardi che, tra i presenti, era il più attento alle notizie che arrivavano da Berlino. «Secondo me regalerà una medaglia d’oro alla Svizzera».
«Speriamo» disse il Beretta, mentre serafico s’incamminava verso il suo ufficio e faceva segno al Frapolli di seguirlo.
Albino schiacciò l’ultimo tasto della macchina da scrivere e, come se quell’operazione richiedesse chissà che, mise in campo la stessa concentrazione e precisione che ha il chirurgo quando deve tagliuzzare le viscere di un uomo. Guardò per un istante – sconsolato – le tre righe scritte in un pomeriggio e deluso andò nell’ufficio del suo capo.
«Siediti, ho delle novità sul caso del Sassello».
Il Beretta si conteneva a fatica. Euforia e buonumore gli si palesavano dappertutto. Pareva che avesse un corpo estraneo sotto la pelle e che di lì a poco sarebbe uscito esplodendo come un vulcano in eruzione.
«Non ci crederai, Frapolli, ma stavolta è fatta...».
Albino si spazzolava l’irta chioma, agitandosi anche lui, coinvolto dall’esuberanza del Beretta. Credeva che il caso fosse risolto e chiuso. Sapeva che non tutte le tessere del mosaico sarebbero tornate al loro posto, faceva parte del gioco. Gliel’avevano ripetuto più volte e in varie occasioni, puntualizzando sempre che in un caso delle zone buie possono rimanere tali per sempre.
«Dì un po’, Frapolli, sei appagato da com’è finita la vicenda?».
«Dal profilo nostro – dell’indagine – direi di sì. Abbiamo preso i responsabili in una decina di giorni, chiarendo un mistero che poteva amplificarsi e distorcersi implicando chissà chi». Il gendarme palesava una certa delusione nelle espressioni, con molta probabilità dovuta al fatto che le loro ipotesi, elaborate con una logica ferrea, si erano dimostrate errate. «Dal profilo umano no. Il coinvolgimento dei familiari ha aggiunto dramma al dramma, sconvolgendo la vita di due famiglie».
Il delegato ascoltava le considerazioni del suo allievo e l’attenzione con cui le rimarcava. Lo fissò per alcuni istanti, serio, cercando sempre di mimetizzare e reprimere quell’eccitazione che gli affiorava dalla pelle.
«E se ti dicessi che non tutto è come appare?».
«Come sarebbe?» fece Albino con gli occhi oscurati dalla fronte corrucciata. «Direi che è un paradosso?».
«Sì, un paradosso della follia».
«Si spieghi meglio, non capisco...».
«Tra le varie cose che mi sono successe oggi, vi è la brutta notizia arrivata da Milano. Cesare Farina, detto Lingera, è passato a miglior vita, ucciso o deceduto di morte naturale, la cosa non è chiara».
«Un’altra brutta notizia da aggiungere alle innumerevoli che ci sono arrivate a proposito dell’omicidio al Sassello».
«Ma no! Ci sono anche quelle belle, così da equilibrare le brutte: il suo complice, il Negher, è stato arrestato».
«Per la miseria!» esclamò il Frapolli. «Quindi chiariremo il mistero del perché Eleonora è stata lasciata al Sassello in quelle condizioni? Ora capisco il suo buon umore».
«Forse».
«Mi scusi, signor delegato. Perché forse? Il Negher non parla?».
«Come al solito, la cosa non è semplice. Secondo i milanesi, il Dante Negri, detto Negher, è fuori di senno. È pazzo o impazzito. Insomma, non è attendibile».
L’euforia del giovane gendarme si tramutò in un attimo in un’amara delusione, come se avesse ricevuto un cazzotto nella pancia.
«Egli va dicendo cose» riprese il Beretta «che in procura a Milano non ritengono attendibili e per lo più frutto di fantasie. Pare che il Negher fosse già dalla nascita un tipo senza senno e perspicacia. Nessuno crede a quello che dice».
«Che peccato!» disse Albino. «Le sfortune di Eleonora non s’interrompono...».
«Comunque l’hanno interrogato sul fattaccio, chiedendogli in che modo lui e il Lingera furono coinvolti nell’occultamento del cadavere e quant’altro. Con molta probabilità dovrò andare a Milano e interrogarlo di persona».
«Mi piacerebbe accompagnarla».
«Certo, perché no! Poi facciamo un giro alla Pinacoteca di Brera a vedere Caravaggio, è molto che vorrei andarci e tu mi farai da guida».
«Sarebbe davvero bello...».
«Comunque, per ritornare al nostro caso. In attesa di sentire personalmente il Negri, mi sono fatto riassumere le sue dichiarazioni dal mio amico Maggioni. In effetti, di cose strane ne ha dette. Aggiungerei: in apparenza strane, perché sommandole alle incongruenze che ci tormentano e ai dubbi irrisolvibili, il racconto da inverosimile si sta trasformando in più che attendibile».
Il Frapolli aveva una concentrazione tale che non udiva più nemmeno i tuoni. Occhi attenti, bocca semiaperta e nessuna capacità di prendere un solo appunto: non voleva diminuire l’attenzione e magari perdere qualche sillaba di quanto diceva il suo capo.
«Credo d’aver capito come sono andate le cose» fece il Beretta.
Il viso di Albino era la curiosità personificata. La cosa lo stava prendendo parecchio, tant’è che inconsciamente aveva rallentato le funzioni muscolari, per lasciare alla mente il massimo delle energie.
«Ho rivisto gli appunti, ho chiamato il mio amico dottor Lurati, poi sono andato al catasto».
Dalla cartella di cartone marroncino, che con tanta cura aveva impedito che si bagnasse, il delegato estrasse una mappa catastale ingiallita. Fece spazio sul tavolo da riunione, vicino alla scrivania, e la distese piana.
«Riconosci la zona?».
«Be’ sì. Via Pretorio – qui siamo noi – via Serafino Balestra, viale Stefano Franscini, Molino Nuovo...».
«Questa è Villa Snorghi,» fece il delegato puntando il dito sulla mappa «l’ingresso della casa di Beatrice, la limonaia».
«I luoghi del delitto» disse Albino.
«Esatto! E questo? Cosa ti sembra?».
Il Frapolli si chinò verso l’indice del Beretta che indicava un cerchio disegnato con una linea tratteggiata. Scosse il capo. «Non saprei. Una fontana?».
«No! È più complicato, ho dovuto istruirmi sulle simbologie delle mappe. Vi è tutta una grafica per indicare gli elementi che compongono il paesaggio, con significati ben precisi. Quelli del catasto sono stati gentili e mi hanno dato le indicazioni necessarie. Caro Frapolli, quel cerchietto tratteggiato è la chiave del nostro enigma. Ne sono certo e credo di sapere come si siano svolti i fatti la sera del 30 settembre dell’anno scorso.
Tutto quello che sappiamo, fino alla decisione dei due giovani di occultare il cadavere, è verosimile. Dopo, da quando Sebastiano Snorghi ha preso in mano la faccenda, le cose non sono andate come ci sono state raccontate, ma in un altro modo: ascolta...».