Capitolo 23. Damon

Presente

Le porte dell’ascensore si aprirono e io salii nell’attico che Michael aveva in città. Girai l’angolo ed entrai nell’appartamento.

Camminando nel grande salone, vidi Michael, Kai e Will seduti su sedie e divani. Rika, invece, era in piedi vicino alla parete di portefinestre, aperte per lasciar entrare una mite brezza serale ormai rara.

Michael aveva dato al portiere il permesso di farmi salire, quindi doveva essere abbastanza incuriosito da assecondarmi, ed ero contento che la maggior parte del gruppo fosse presente.

Lanciai sul tavolo di fronte a Michael il ritaglio di giornale con cui avevo fatto un aeroplanino, guardandolo mentre lo prendeva ostentando poco entusiasmo.

Pensava di avere la prima parola. E invece no. Stavo conducendo io quella conversazione.

Guardai Will. «Mi odi?».

Mi fissò circospetto ma non disse nulla.

Poi guardai Rika. «Tu?», chiesi.

Lei serrò la mascella, distogliendo lo sguardo.

Ma neanche lei rispose alla domanda.

Avevo ferito loro più di tutti, e se avessero potuto metterci una pietra sopra allora avrei avuto una possibilità.

«Voi non siete i miei nemici», dissi a tutti. «Non lo voglio».

«Allora cosa vuoi?», ribatté Kai.

Vidi Michael aprire l’aeroplanino per leggere l’articolo che era stato pubblicato sul «Post» il giorno prima. Parlava della «Notte del ritorno al passato» che era stata organizzata al The Cove quel fine settimana, il vecchio parco a tema di Thunder Bay ormai abbandonato da tempo.

Sapevo che erano interessati ad acquistarlo. Era giunto il momento di farlo.

«Voglio che torniamo al progetto», risposi. «Che facciamo funzionare le cose».

Volevamo Thunder Bay, e non solo un hotel. Volevamo tutto. Un intero villaggio sul mare come la nostra piccola clubhouse.

Ma Kai mi derise. «Avevamo diciotto anni. Senza una minima idea dei soldi e degli agganci che servivano».

«I soldi li abbiamo».

«No, Rika ce li ha», rispose Kai. «Noi abbiamo i nostri genitori».

«Io controllerò il trentotto percento degli hotel sulla costa orientale, dodici stazioni televisive e abbastanza terreno per creare uno Stato tutto mio se solo volessi».

«Quando tuo padre sarà morto», sottolineò Will.

Sì. Il che sarebbe successo, presto o tardi.

«Tu, Michael e Kai potete avere in tre anni la destinazione principale del resort proprio qui a Thunder Bay», spiegai, «trasformandolo nei nuovi Hamptons e attirando l’élite delle maggiori città americane».

«Non riusciremmo neanche a ottenere i permessi», mi disse Michael. «Mio padre e il tuo non hanno avuto alcun problema a convincere il sindaco che tutti i posti che creerà il resort non valgono gli affari che porterebbero via alle agenzie immobiliari e agli hotel che ci sono in città».

Inclinai la testa. «Quale sindaco?».

Tutti e quattro mi fissarono, sembrando confusi mentre cercavano di capire cosa diavolo avessi fatto esattamente per tutto quel tempo, mentre negli ultimi due mesi Crane mi aiutava a raccogliere informazioni. Winter non era l’unico motivo per fare fuori suo padre.

Kai scosse la testa. «Gesù».

«Eleggeranno qualcun altro, Damon», disse Will. «Fra tre mesi si terrà un’elezione speciale per sostituire il padre di Winter».

«Sì», sorrisi. «Lo so».

E rimasi lì, in attesa che i loro cervelli grandi come noccioline cogliessero il punto. Thunder Bay aveva bisogno di un nuovo sindaco. Uno che ci avrebbe concesso tutti i permessi di cui avevamo bisogno per iniziare a costruire su The Cove.

Avevamo alcuni possibili candidati proprio in quella stanza.

Will abbassò gli occhi, capendo cosa avessi in mente, mentre Michael si sedette, fissandomi.

«Non puoi essere serio», rise Kai.

Ma io lanciai un’occhiata a Rika, sostenendo il suo sguardo.

«Cosa?», chiese lei vedendo che la fissavo.

«Sei una brava giocatrice di scacchi», dissi inronico. «La politica è una partita a scacchi. La più grande che ci sia».

Rika scoppiò a ridere. «Non mi candiderò a sindaco per proteggere i tuoi interessi commerciali, Damon. Non voglio governare questa città».

«Perché no?».

Aprì la bocca per ribattere, ma non gli vennero le parole. Alla fine, sbottò: «Perché io?»

«Perché a Michael non potrebbe importare di meno, e noialtri siamo dei criminali».

«Ehi, siamo in America», disse Will appoggiandosi allo schienale, spaparanzato sulla sedia con un sorriso pigro. «Tutto è possibile».

«Vuoi che la stampa scavi nel tuo passato?», lo sfidai. E poi guardai Kai. «Tu?».

Internet era per sempre. Non ci saremmo mai goduti un po’ di tranquillità dato che le cose erano state recuperate e fatte esplodere online. E Kai e Will, soprattutto, non erano interessati a caricare le loro famiglie di quello stress.

«Le ragazze sono pulite», dissi. «Deve farlo Rika».

Si lasciò sfuggire una risatina patetica, ancora in cerca di un’argomentazione, e alla fine guardò Michael che non aveva ancora detto nulla.

«Michael?», lo spronò, chiedendogli aiuto. Perché adducesse qualche scusa sul perché non avrebbe dovuto farlo.

Ma lui esitò, sembrando dispiaciuto quando incontrò il suo sguardo. «In realtà non è un’idea terribile», disse. «Ci darebbe un vantaggio e faresti bene alla città. Vale la pena pensarci».

I suoi occhi divamparono, sembrando incazzata. «E che mi dite di Banks?»

«Ho grandi progetti per lei», dissi loro.

«Oh, ma davvero?», rispose Kai. «Mi piacerebbe sentire che piani hai per mia moglie».

«A tempo debito».

Scosse la testa rivolto a me, tutti in silenzio a rielaborare ciò che stavo suggerendo. Avevo già scoperto che Michael aveva dei potenziali investitori e una banca dalla sua parte per quanto riguardava i terreni e il resort, ma non stava andando avanti perché prevedeva dei problemi con l’assunzione di lavoratori e il rilascio delle concessioni. Quel problema così era risolto. Mi ero fatto il culo per avere un posto a quel tavolo.

Se solo il passato avesse potuto essere tale e rimanerci, cazzo.

Nessuno disse niente. Si scambiarono sguardi gli uni con gli altri, meditando su come sarebbero andate a finire le cose con me di mezzo.

Ma forse, dopotutto, non sarei riuscito a conquistarli. Forse il passato era troppo da mandare giù.

Ma poi Will parlò, senza guardarmi. «Dì che ti dispiace», disse.

Scusa?

Mi ci volle un po’ per capire di cosa stesse parlando.

Voleva delle scuse. Per tutto.

Abbassai gli occhi, accigliato.

Voleva che mi facessi piccolo? Come se non avessimo commesso tutti dei fottutissimi errori, e non avessi già dimostrato di volerlo e di essere pronto? Che non l’avrei più fatto?

Le parole erano solo stronzate. Non significavano nulla.

La sera prima avevo fatto a Winter un maledetto monologo, e da allora non una sola parola da lei. Contavano i fatti, non le parole.

Ma loro continuarono a fissarmi, aspettando tutti che lo dicessi. Come se dicendolo si sarebbe sistemato tutto. Si sarebbe sistemato?

Li volevo indietro, però, e mentre mio padre mi aveva insegnato che gli uomini potenti non si scusavano mai, forse – solo per questa volta – potevo pronunciare quelle parole. Dopotutto avevo fatto una cazzata, e in realtà ero abbastanza fortunato che non mi avessero staccato la testa.

Ingoiai il boccone amaro. «Mi dispiace».

Mi guardarono tutti, esterrefatti, a lungo, e il mio stomaco era annodato così stretto che avrei colpito qualcuno se le mie parole fossero rimaste sospese in aria ancora per un po’.

E poi Michael si alzò dal suo posto e si infilò la giacca. «Contatta Mike Bower e digli che vogliamo parlargli», mi disse, e poi si avvicinò per salutare Rika con un bacio.

Accennai un sorriso. Bower dirigeva il consiglio comunale. Avremmo dovuto parlare con lui per far candidare Rika a sindaco.

Will e Kai si alzarono in piedi dopo di lui, raccogliendo le loro cose e incamminandosi insieme.

«E domani ci vediamo al The Cove con lo studio di architetti», mi informò Michael mentre mi passava davanti. «Alle dieci».

Annuii, accettando il suo invito a partecipare. Immediatamente sollevato.

I ragazzi se ne andarono – non sapevo dove – ma Rika e io restammo lì per un momento, in silenzio. Sapevo che c’erano delle cose che voleva dire — forse che era arrabbiata per quello che era appena successo e per essere stata spinta verso un nuovo ruolo con una marea di responsabilità che non aveva chiesto — ma prese il suo zainetto di pelle e se lo mise in spalla, passandomi accanto.

La lasciai andare, restando immobile, ma poi sentii i suoi passi fermarsi e la sua voce dietro di me.

«Michael e Kai sono più intelligenti di te, lo sai?», disse. «Perché se c’è una cosa che sanno della vendetta, Damon, è che non sarà mai piacevole quanto il suo amore».

Strinsi i denti per coprire il dolore che mi attanagliava lo stomaco, ma lo sentii comunque.

Fottiti, Rika.

«Ma penso che tu lo sappia già, vero?».

Fottiti.

«Lei ti renderà più forte. E noi abbiamo bisogno che tu sia forte».

Chiusi gli occhi, non volendo sentire la merda che avevo provato a diciannove anni, quando avevo permesso che… la desiderassi.

Quando avevo lasciato che mi innamorassi di lei.

Quando avevo abbassato la guardia e avevo creduto che ciò che stava accadendo tra noi fosse più forte di qualsiasi cosa, e che ragazzi come me avrebbero potuto avere una vita completamente diversa.

Ma Dio, Rika aveva ragione. Sapevo che aveva ragione.

Nulla nella mia vita mi aveva mai fatto sentire meglio che rendere felice Winter.

Le avevo rivelato tutto la sera prima. Volevo che capisse.

«Dovresti lasciarla sola», mi disse Rika, e la sua voce era più vicina ora, come se si fosse voltata verso di me. «Lasciala stare tranquilla e al sicuro, e dalle un po’ di spazio per respirare».

Non stavo chiedendo la tua opinione.

La sentii avvicinarsi alle mie spalle. «E nel frattempo, sii adulto. Mettiti al lavoro su qualcosa e mostrale che puoi sopravvivere senza di lei. Senza il suo rispetto, non hai alcuna possibilità».

«Nessuna possibilità per cosa?»

«Nessuna possibilità di non diventare i tuoi fottuti genitori», rispose.

Una pallina da baseball mi si incastrò in gola.

Aveva ragione lei? Era quella la direzione che stavo prendendo? Avrei mai chiuso con Winter? Volevo un’altra donna?

No.

E se l’avessi messa incinta? I miei figli mi avrebbero odiato per averla ferita? Era solo un cazzo di ciclo senza fine, perché non avrei accettato il fatto che Rika avesse ragione. E Michael e Kai sapevano cosa mi rifiutavo di vedere?

La volevo.

Ero scoppiato la sera prima, perché non volevo quello. Volevo solo quella bambina che mi stava sedeva in grembo e che guidava la mia macchina.

L’avevo resa felice. Io.

E invece di attenermi al piano e farle odiare il fatto che mi desiderasse, odiavo che la desiderassi ancora.

Nessuna di quelle era una bugia, tranne il mio nome.

Era reale, e lo volevo di nuovo.

La amavo fottutamente.

Dannazione.

Mi girai e superai Rika, diretto verso l’ascensore, ma sentii di nuovo la sua voce alle mie spalle.

«E, Damon?», mi chiamò.

Mi fermai.

«Quando e se cambierà idea, portala da qualche parte, solo voi due».

Che cosa?

«Si chiama appuntamento. È quando fate qualcosa che le piace e che la rende felice. Dovrete tenere i vestiti addosso per questo».

Oh, divertente. Scossi la testa, lasciando l’appartamento ed entrando nell’ascensore.

Premetti il pulsante per l’apertura delle porte. «Un maledetto appuntamento», borbottai.