Ci avviamo dunque ad affrontare la questione più delicata: che ne fu degli agoni teatrali nel tardo-inverno-primavera del 411. Riepiloghiamo i dati con l’aiuto della sintesi di Antony Andrewes (HCT, V, 1981, pp. 186-187) fondata sulla attenta lettura dei capitoli 53-54 e 65-66 dell’VIII libro di Tucidide:
1) entro fine dicembre 412 Pisandro è già ad Atene;
2) subito lui e i suoi accoliti affrontano l’assemblea, «put their policy to the assembly as soon as they arrived in Athens»;
3) «early in January [411] [...] the oligarch’s proposals would be public property»;
4) «Peisandros left Athens again soon after this meeting»;
5) «the terrorist campaign described in [VIII] 65-66 began relatively early», cioè poco dopo la partenza di Pisandro.
Ne discende che, nel 411, Lenee (febbraio) e Dionisie (aprile) furono investite in pieno dalla drammatica situazione determinata dalla «campagna terroristica» descritta in dettaglio da Tucidide (VIII, 65-66). Campagna che, tra gennaio e aprile, preparò la seconda venuta di Pisandro ad Atene ed il passaggio dei poteri da organi ‘democratici’ ormai terrorizzati ed esautorati, ai Quattrocento. Se ne deduce che Aristofane sta ancora dando l’ultima mano alla Lisistrata (se davvero l’agone di quella commedia furono le Lenee) o addirittura la sta concependo e redigendo e allestendo (se invece l’agone furono le Dionisie) nel pieno della «terrorist campaign» di quei mesi. «Campaign» che, come sappiamo1, non si esaurì in pochi giorni ma durò parecchio: lo si ricava – tra l’altro – dal riferimento tucidideo alle varie assemblee (scandite, come si sa, da intervalli regolari) svoltesi sotto il controllo, e la minaccia di rappresaglie per i dissenzienti, da parte dei congiurati2.
Sorge perciò la domanda: come poté configurarsi l’attività dei commediografi (drammaturghi esplicitamente politici) di fronte alla violenza in atto? Quale eco vi è in particolare nella Lisistrata di ciò che accadeva in quei mesi, e che Tucidide definì un vero e proprio «abbattimento della democrazia» (63, 3) attuato prima ancora che, ad aprile, Pisandro tornasse in Atene a «fare il resto»?
Un ruolo determinante, nell’interpretazione degli avvenimenti e della percezione, da parte del pubblico, di quanto stava accadendo, spetta alla assemblea affrontata e diretta da Pisandro tra fine dicembre 4123 e inizio gennaio 4114. Una assemblea dalle conseguenze rilevantissime, e di cui Tucidide dà una descrizione molto circostanziata (VIII, 53-54):
«[VIII, 53] Pisandro e i legati che lo accompagnavano, appena giunti in Atene, parlarono all’assemblea. Trattarono i punti essenziali trascegliendoli rispetto a più ampia materia5 e soprattutto spiegarono quanto segue: era possibile, alla città, fatto rientrare Alcibiade e praticando una democrazia di tipo diverso6, avere alleato il Gran Re e sconfiggere i Peloponnesiaci. [2] Molti parlarono contro, in particolare sulla questione della democrazia. E anche i nemici di Alcibiade protestavano a gran voce dicendo che sarebbe stato gravissimo se avesse avuto licenza di rientrare pur avendo violato le leggi. E ancora: gli Eumolpidi e i Kerykes7 testimoniavano – davanti al popolo – a proposito dei reati sacrali, della profanazione dei misteri, causa del suo esilio, e chiamavano a soccorso gli dei8 scongiurando di non farlo rientrare. Allora fu Pisandro stesso che salì alla tribuna e affrontò il contraddittorio e l’ostilità e controbatteva ai contraddittori, uno per uno, ponendo a ciascuno la domanda: se non si riesce a convincere il Gran Re a cambiare alleanze e a passare dalla nostra parte, quale speranza di salvezza c’è per la città? I Peloponnesiaci hanno almeno tante navi quante noi, hanno ormai più alleati di noi, il Gran Re e Tissaferne li riforniscono di denaro mentre noi non ne abbiamo più! [3] Quando i suoi contraddittori, posti di fronte a questa domanda, non sapevano cosa rispondere, allora lui parlava più chiaro, e replicava9: “Ebbene, questo10 non potremo averlo se non mettiamo la testa a posto11 e non cambiamo sistema politico in senso oligarchico per quanto attiene alle magistrature: solo così il Gran Re si fiderà di noi. Questo non è il momento di discutere e deliberare sulla costituzione ma sulla vita o la morte; poi potremo daccapo cambiare le cose, se ci piacerà. E dobbiamo far rientrare Alcibiade, l’unico, tra i politici attuali, in grado di realizzare tutto ciò”. [54] Dinanzi a queste parole, i presenti all’assemblea inizialmente reagivano molto male sulla questione dell’oligarchia (da ingoiare); ma una volta che Pisandro ebbe spiegato molto chiaramente che non c’era altra via di salvezza – temendo e al tempo stesso quasi augurandosi un qualche cambiamento12 – cedettero13. [2] E deliberarono che Pisandro, con altri dieci, operasse al meglio al fine di stabilire un accordo con Alcibiade e con Tissaferne. [3] Siccome, contestualmente, Pisandro aveva mosso accuse a Frinico, l’assemblea depose dal comando Frinico e Scironide, suo collega come stratego14, e al loro posto inviarono alle navi, come strateghi, Diomedonte e Leone. Pisandro aveva accusato Frinico di aver perso Iaso e il persiano Amorge: l’aveva fatto perché convinto che Frinico sarebbe stato di intralcio alla trattativa con Alcibiade. [4] Dopo di che visitò, una per una, tutte le associazioni segrete da tempo esistenti in città e impegnate nella manipolazione delle elezioni e dei processi; e le incitò a mettersi tutte d’accordo e a studiare insieme un piano operativo per abbattere il regime democratico; presi tutti gli altri provvedimenti sul momento, e nella situazione data, necessari perché si passasse subito all’azione15, si mette in mare, con gli altri dieci, alla volta di Tissaferne».
Da questa magnifica cronaca autoptica dell’assemblea di fine dicembre-gennaio esce confermata la diagnosi di Andrewes: sbarco, movimentata assemblea, successo di Pisandro, visita segreta alle eterie con l’ordine di passare subito all’azione, ripartenza di Pisandro alla volta di Tissaferne sono operazioni che si susseguono in sequenza molto serrata; operazioni cui terranno dietro, ben presto («relatively early»), le azioni di sistematico terrorismo descritte in VIII, 65-66, che consentirono a Pisandro di trovare – al suo rientro in Atene (aprile) – «la democrazia già liquidata» (63, 3 + 65, 2).
Se dunque si ripercorre la cronaca di quell’assemblea, è difficile negare che Pisandro, dopo un iniziale ricorso all’eufemismo, abbia parlato chiaro e brutale (53, 3: ἐς ὀλίγους μᾶλλον τὰς ἀρχὰς ποιεῖν). Naturalmente Pisandro ha mentito su tutta la linea: a) chi ha chiesto di «cambiare la democrazia» non è il Gran Re ma Alcibiade; b) né lui né i suoi amici pensavano ad un cambio temporaneo, ad un ritorno, un domani, al regime democratico; c) la vittoria – da lui sbandierata «se ci aiuta il Gran Re» – non era il vero obiettivo dei congiurati, bensì il cambio di regime.
Questo fu, comunque, il Pisandro che si vide in azione all’assemblea: chi non era al corrente del suo vero ruolo poté ritenere che, ancora una volta, egli agisse per ambizione sua e, perciò, per la prosecuzione della guerra (insomma, per seguitare a κυκᾶν, a «rimestare», come gli rinfaccia Aristofane)16. La bravura dei congiurati era consistita nel mandare allo scoperto appunto lui, uno che all’assemblea era gradito (del suo cambio di fronte pochi congiurati sapevano, e le eterie lo capirono al momento della sua partenza quando impartì loro le direttive). Ed egli seppe affrontare con consumata abilità di demagogo il difficile compito di preparare il cambio di regime parlando ‘da democratico’ ma, al tempo stesso, da ‘realista’ pensoso delle enormi difficoltà del momento: e riuscì ancora una volta a portare all’assenso un’assemblea che era pur sempre costituita dalla base politicamente attiva del regime democratico.
Nella Lisistrata – del cui ‘programma’ diremo più oltre – l’unico nome di politici fatto esplicitamente è Pisandro (vv. 490-491), là dove Lisistrata getta in faccia al probulo l’accusa: voi volete continuare la guerra «perché Pisandro possa continuare a rubar soldi e gli altri che trescano per ottenere cariche». È piuttosto evidente che – non avendo fatto altro, Pisandro, che parlare dei «soldi del Gran Re» come unico strumento per vincere la guerra, ed essendosi Pisandro presentato all’assemblea pur sempre come il noto e apprezzato ‘capo’ popolare – per Aristofane ne è uscito confermato il cliché del ribaldo che vuol far soldi soprattutto con la guerra17. È difficile che sappia già del doppio gioco di Pisandro – che comunque è tempestivamente ripartito dopo aver ancora una volta trionfato in assemblea – o degli incontri segreti avuti da lui18.
Di qui l’apparente paradosso: Aristofane mette in scena un’azione indiscutibilmente eversiva, in bilico tra la politica ‘vera’ e la fantapolitica, qualcosa di cui «sente l’odore» (come fa dire al coro dei vecchi ridicolmente democratici)19, e però lancia anche una stoccata piuttosto forte a Pisandro (che noi sappiamo essere già in quel momento strumento occulto della congiura). Ma tutto si chiarisce se si considera che il Pisandro che Aristofane attacca è quello che, nei suoi comportamenti palesi, nell’assemblea in cui è apparso con grande piglio e buoni risultati, si è manifestato ancora una volta come l’uomo che vuole la vittoria e che sa (lui molto meglio di altri!) prospettare al popolo dell’assemblea le necessarie rinunce. Aristofane lo bersaglia – non più che una stoccata! – perché gli è apparso, ancora una volta, nel suo ruolo di sempre.
Eppure, Aristofane sulla scena con quella allusiva commedia e Pisandro vanno, se ben si riflette, nella stessa direzione. Sulla scena una «dissolutrice di eserciti»20, con armi scelte per suscitare un riso ‘grosso’ reputato irresistibile, si impadronisce del potere sequestrando il tesoro della città, la riserva aurea, onde impedire la costruzione di altre navi21, e scaccia i legittimi governanti, suscitando l’allarme impotente dei ‘democratici’ (rappresentati come vecchi e alquanto rimbambiti). Che per caso questo avvenga sulla scena proprio mentre nella realtà si prepara la stessa cosa appare improbabile. Spoliticizzare la Lisistrata è davvero fatica sprecata.
Chiarito il quadro in cui vennero allestite Lisistrata e Tesmoforianti, possiamo tornare alla domanda da cui siamo partiti: cosa si può pensare che sia accaduto agli agoni teatrali normalmente previsti per febbraio22 e aprile in una situazione del genere?
La questione Lenee e Dionisie del 411 in piena «campagna terroristica» non sfuggì a Karl Otfried Müller23; e ancor più acutamente ne scrisse Wattenbach: «in tanta factionum propriis commodis intentarum copia» Aristofane non sapeva orientarsi («neque quem ceteris praeferret, neque unde maius periculum timeret, invenit») «ideo parabasin totam omisit»24. Poco prima aveva osservato che Lisistrata «andò in scena (se si segue la cronologia proposta da Müller) sub ipsum Pisandri Athenis adventum, vel paulo ante»25.
Wattenbach coglieva la estrema anomalia della parabasi della Lisistrata26, non solo consistente nello scontro tra i due semicori (i vecchi democratici e le vecchie golpiste), ma che fa parte integrante dell’avanzamento dell’azione.
Nel corso dello scontro tra i due semicori, i vecchi lanciano subito l’allarme sugli effetti e sugli obiettivi del colpo di Stato in atto: «è in pericolo il mio salario [il μισθός], mio sostentamento [ἔνθεν ἔζων ἐγώ]» (vv. 624-625). Van Leeuwen ha visto bene i termini della questione: «Chorus insoliti quid habet; nam in duas partes per totam fere fabulam diremtus manet neque ad spectatores se convertit»27. Soggiunge: «È un indizio temporis mutati».
In realtà, il nesso della Lisistrata con le convulsioni politiche è strutturale. Lisistrata è impregnata, da un capo all’altro, di una politica che rispecchia l’attualità; scarsi o nulli gli attacchi alle persone; solo accenni agli strateghi di Samo e a Pisandro (così ottempera alle limitazioni in atto) ma soprattutto va nella stessa direzione del movimento in atto, con una precisione programmatica impressionante28.
Pisandro era apparso nell’assemblea, per caldeggiare concessioni sul piano politico (e lasciava intendere: temporanee) in cambio del denaro dal Gran Re per vincere la guerra. Aristofane è con quelli che non vogliono proseguire la guerra, e vede in Pisandro soprattutto un mangia soldi (magari del Gran Re). Ma lo slogan «niente più μισθός», che era stato messo in giro sin da subito, ad Aristofane piace (vv. 624-625). È questo l’elemento che intende favorire e per il quale si è mosso, percependo le iniziative affioranti nell’aria e ritenendo di coglierne il senso (magari in opposizione all’impenitente demagogo Pisandro!).
È difficile pensare che Aristofane si muovesse uti singulus, come moralista solitario. È in collegamento con ambienti che sono da tempo in agitazione. Di qui l’audacia di mettere in scena il sequestro del tesoro della dea (misura ancora più golpistica della sospensione del salario dicastico).
La parabasi è il pezzo che si elabora e definisce per ultimo perché dev’essere il più aggiornato con l’attualità. E la questione dell’attacco al μισθός è proprio dell’attualità più bruciante. Perciò fu posta in apertura della strofe recitata dai «vecchi».
A nessuno mai, dal tempo di Efialte, era venuto in mente di osare di toccare il μισθός eliastico. Perciò quel riferimento così forte («c’è odore di Ippia», infatti tentano l’abrogazione del salario eliastico) è di per sé un macroscopico indizio, una allusione alla parola d’ordine che era stata ‘predisposta’29 molto presto e che ora straripava.
1 Cfr. supra, cap. 3, Elogio del piuccheperfetto.
2 Tucidide, VIII, 66, 1-2.
3 G. Busolt, Griechische Geschichte bis zur Schlacht bei Chaeroneia, III.2, Perthes, Gotha 1904, p. 1470.
4 Andrewes, HCT, V, 1981, p. 186.
5 Come fa Tucidide a sapere anche questo, che cioè procedettero ad una selezione rispetto alla materia che avevano preparato? Qualche moderno ha cercato di cambiare anche qui il testo.
6 Abile, come sempre, Pisandro: non dice di cambiare regime, ma che sarebbe opportuna una «democrazia diversa». Bene nota Andrewes che questa sottigliezza mirante a ottenere il risultato in modo meno traumatico fu poi usuale nel IV secolo (Isocrate, Areopagitico, 16 e ss.).
7 Famiglie per tradizione addette alla ‘tutela’ dei misteri: collegi sacerdotali potenti e sommamente ostili ad Alcibiade.
8 ἐπιθειαζόντων: è qui evidente l’ironia tucididea per tale richiesta di soccorso.
9 Notare il ricorso, qui, da parte di Tucidide, all’oratio recta, alle parole esatte di Pisandro.
10 L’aiuto finanziario del Gran Re.
11 Εἰ μὴ πολιτεύσομέν τε σωφρονέστερον. Questo è linguaggio di matrice oligarchica; σωφροσύνη = regime dei pochi. Alcibiade a Sparta aveva definito la democrazia «una follia universalmente riconosciuta come tale» (Tucidide, VI, 89, 6): ἄνοια ὁμολογουμένη. E analogamente il cosiddetto pseudo-Senofonte, cioè Crizia, dice, come cosa ovvia, che in democrazia siedono nella Boulé e deliberano in assemblea «i pazzi» (μαινομένους ἀνθρώπους: [Senofonte], Sul sistema politico ateniese, I, 9). Σωφροσύνη come sinonimo di governo oligarchico lo dice Tucidide, parlando in prima persona, quando racconta – poco dopo – la defezione di Taso (VIII, 64, 5: σωφροσύνην λαβοῦσαι). E nel Gorgia platonico è Socrate stesso che fa proprio un tale lessico (519a). Dunque qui Pisandro gioca il tutto per tutto, getta la maschera (non dice più «un altro tipo di democrazia»), chiama le cose con il loro nome perché ha saputo mettere i contraddittori di spalle al muro.
12 Della densità concettuale di questa notazione psicologica di Tucidide s’è già detto (e anche dell’errore, piuttosto frequente, di non capire che δείσας ed ἐπελπίζων vanno insieme). I moderni hanno spesso cercato un soggetto sottinteso di ὡς μεταβαλεῖται: bene Steup che definì l’espressione «unpersönliches Passivum» (VIII, 19223, ad loc.). La psicologia delle masse è uno dei grandi temi dell’opera tucididea.
13 «Cedettero» (ἐνέδωκεν) è il verbo adatto a significare gli effetti di quei due sentimenti opposti di fronte all’aut aut «oligarchia o disastro». Tutta la fase decisiva dell’assemblea si giocò a carte scoperte.
14 Erano i due strateghi inviati a Samo con 1000 opliti e 48 navi nonché 1500 Argivi (Tucidide, VIII, 25, 1).
15 ὥστε μηκέτι διαμέλλεσθαι «neutrales Passiv» (Steup, VIII, 19223, ad loc.).
16 Lisistrata, 490-491.
17 È l’accusa tipica rivolta ai capi popolari: Cavalieri, 834; Nuvole, 591; 1065; Vespe, 669.
18 In questo senso può intendersi la soluzione suggerita da Andrewes alcune pagine più in là (HCT, V, 1981, p. 189): «The impression made on Aristophanes, and therefore on the public generally, was different from that which Thucydides conveys in 53-54». Che il pubblico avesse capito dove si andava a parare (χαλεπῶς ἔφερε τὸ περὶ τῆς ὀλιγαρχίας) è indiscutibile. Anche Aristofane è ovvio che l’abbia capito; ma per lui Pisandro era pur sempre – come del resto continuava ad apparire – un ‘capo popolare’ (e perciò, agli occhi di Aristofane, un pessimo soggetto avido di soldi di cui diffidare), uno che vuole a tutti i costi continuare la guerra, anche con i soldi del Gran Re. Illuminante, sul verso 490 della Lisistrata, il commento di Busolt, Griechische Geschichte cit., III.2, p. 1471, nota 1, che definisce la descrizione tucididea dell’assemblea di gennaio «un buon commento al cenno aristofaneo a Pisandro».
19 Lisistrata, 619.
20 Nome piuttosto forte in piena guerra, anzi nel momento più critico della guerra.
21 Lisistrata, 173-179.
22 Nel 411 Gamelione capitò in febbraio (B.D. Meritt, The Athenian Year, University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1961, p. 218).
23 Geschichte der griechischen Literatur bis auf das Zeitalter Alexanders [1841], II, trad. fr., Durand, Paris 1865, pp. 424-425.
24 De Quadringentorum Athenis factione, Diss. Berlin 1842, p. 30. La Geschichte di Karl Otfried Müller era appena uscita (1841).
25 De Quadringentorum Athenis factione cit., p. 29. Müller non aveva parlato di «omissione della parabasi».
26 Il metro è quello delle parabasi. La scena è vuota. Il coro prende posizione come quando il corifeo recita la parabasi (e gli attori si sono allontanati dalla scena); ma non affronta temi defilati dal plot, a nome del poeta; al contrario, «in questo caso è ben viva la conflittualità tra i due cori e nessuno può arrogarsi il diritto di parlare a nome del poeta» (Lisistrata, a cura di G. Paduano, Bur, Milano 1981, p. 127, nota 59).
27 Aristophanis Lysistrata, edidit J. van Leeuwen, Sijthoff, Leiden 1903, p. IX.
28 Sulla politicità della Lisistrata van Leeuwen osserva: «Sensit comicus – et quis non sentiebat Athenis! – si unquam, nunc esse tempus quo patriam prudentibus consiliis adiuvari oporteret» (Aristophanis Lysistrata cit., pp. VI-VII).
29 Tucidide, VIII, 65, 3: προείργαστο.