2.
Il didascalo e il poeta

1.

«Le plus fréquentement Aristophane ne mettait pas personnellement en scène ses pièces»1. E noi sappiamo, grazie ad un prezioso scolio del dotto bizantino Areta all’Apologia platonica, che alcuni comici non eccelsi, contemporanei e ovviamente rivali di Aristofane, lo sbeffeggiavano, nelle loro commedie, appunto per questa sistematica delega della regia ad altri. Gli rinfacciavano di aver «trascorso la vita lavorando per altri»2. Questo dato è confermato dalle notizie racchiuse nelle hypotheseis delle superstiti commedie. Ma gli studiosi d’epoca ellenistico-romana disponevano dell’intera produzione di Aristofane, talvolta – come nel caso delle Nuvole – in più redazioni, e confermavano che tale appunto era la tendenza di Aristofane: a delegare la «regia» ad altri commediografi di sua fiducia. Addirittura scegliendo il regista in base al tipo di commedia3.

Riflettendo sul ben conosciuto e ben documentato caso delle Nuvole (Dionisie del 423), Boudreaux formulava anche un’altra considerazione: dopo l’insuccesso, Aristofane – come è attestato dall’importante hypothesis VII4 (e dagli scolii) – rimaneggiò il testo, tra l’altro riscrisse la parabasi5, ma anche introdusse l’agone tra discorso giusto e discorso ingiusto nonché la scena finale; entrambe le redazioni giunsero agli Alessandrini (il raffronto puntuale tra le due redazioni, fornito dalla hypothesis VII, proverrà da hypomnemata alessandrini); un fatto del genere, notava Boudreaux, si spiega solo pensando ad una diffusione libraria già al tempo e per opera dell’autore.

Diffusione libraria e delega della regia ad altri sono fenomeni in stretta relazione tra loro. La circolazione – certo limitata! – in forma libraria agevolava il riconoscimento del ‘vero’ autore. E testimoniava anche della volontà dell’autore di sortire un effetto durevole con la propria opera oltre e al di là dell’eventuale (effimero) successo al momento della rappresentazione. E, come diremo, fu proprio la sopravvivenza di quei «libri» che consentì, quasi un secolo dopo, ad Aristotele di costruire il suo trattato Sui vincitori (ovvero Sulle didascalie) che dava, nei limiti del possibile, conto sia del regista (registrato nei documenti ufficiali) sia del ‘vero’ autore.

Aristofane si impegna in prima persona nella regia per la prima volta coi Cavalieri (424) in condizioni eccezionali e con aiuti d’eccezione6 e daccapo nel 421 con la Pace ugualmente in una situazione molto favorevole. Di norma, fa soprattutto il lavoro concettuale: concepire la trama e scrivere i testi. Sul piano più propriamente teatrale quella è la parte ‘minore’ del lavoro. Tutto il resto, cioè il ‘grosso’ del lavoro, è quello registico: preparazione assidua, per settimane, del coro e degli attori, scenografia, costumi, maschere etc. Quanto tutto ciò sia faticoso e frutto di apprendistato lo spiega Aristofane stesso nella parabasi dei Cavalieri (541-545).

L’impegno registico presenta anche altri aspetti: gli attori debbono imparare a memoria la parte e imparare la successione delle battute (come coordinarsi). Ed è molto faticoso e certo prende tempo. Poi c’è la musica: la parodo (e forse altre parti corali) erano accompagnate da musica. Altro lavoro, altre cure per il didascalo7.

Per lo più egli se ne astiene, mentre si propone (ed è richiesto) per i contenuti. E questo gli consente una produttività superiore a quella di tutti gli altri autori dell’archaia, compreso il longevo e prestigioso Cratino8. La preparazione degli attori – che imparano a memoria centinaia di versi e debbono imparare non solo la propria parte ma come e quando interloquire con gli altri (di cui ugualmente debbono sapere ciò che reciteranno) – richiede tempo. E questo tempo va tenuto in considerazione quando ci si pone la questione: quando il commediografo si è messo a scrivere? Quanto tempo prima del debutto? E quanto tempo gli è servito per comporre? E quante volte ha dovuto interferire, con novità, nella preparazione (in corso) degli attori?

Anche altri delegavano. Nel caso di Eupoli, autore in tutto di 14 commedie e morto precocemente, si sa solo dell’Autolico. Ma spicca il caso di Platone comico del quale Eratostene sapeva che per un non breve periodo delegò la regia ad altri («finché delegò la regia ad altri ebbe successo...»)9. È degno di nota che, dei tre grandi tragediografi, ciò risulti soltanto per Euripide: nel caso dell’Andromaca10 e nel caso della tetralogia, il cui dramma satiresco era il Sisifo noto alla tradizione erudita ora come di Euripide ora come di Crizia11. Ed è noto, comunque si voglia interpretare il dato12, che in quel che ci resta delle didascalie recuperate e ricostruite da Aristotele, soltanto per Aristofane appare l’indicazione della regia affidata ad altri.

Nei limiti in cui ha senso azzardare bilanci quando la documentazione è così parziale, si può osservare che gli autori per i quali la pratica di delegare la regia è attestata (e in modo non effimero) sono anche tra i più impegnati sul versante politico. Forse perché è il rapporto con i gruppi politici la loro priorità. Platone comico ha quasi un primato di commedie intitolate a capi democratici da bersagliare (Pisandro, Iperbolo, Cleofonte).

Con la cosiddetta ‘commedia di mezzo’ cambia tutto, a cominciare dal contesto politico-sociale dell’Atene delle nuove mura (‘dono’ persiano) e del nascente ‘secondo impero’, della politica professionalizzata e dell’acuirsi dei conflitti sociali. Parlano i numeri: la tradizione conosceva di Antifane, che aveva esordito nel 385, oltre 300 titoli di commedie: quasi quanto l’intera produzione dell’archaia. E di lui si sapeva che cedeva talvolta la regia ad un certo Stefano. E come dargli torto?

2.

Chi «chiede il coro» è il regista (didascalo). «Didascalo», maestro, è parola di notevole peso sia sociale, che artistico. Negli Uccelli (v. 912), «il poeta» dice: «Noi didascaloi siamo i servi delle Muse (ἐσμὲν οἱ διδάσκαλοι)». Friedrich Leo osservò, in modo inoppugnabile, che quando Aristofane nei Cavalieri dice «finora non ho mai chiesto il coro» (v. 513), ci fa sapere che per Banchettanti, Babilonesi, Acarnesi il coro l’ha chiesto Callistrato. Callistrato si è presentato per αἰτεῖν τὸν χορόν in quanto autore13.

Aristofane ha deciso finalmente di «chiedere il coro» in prima persona nell’estate 425 in vista delle Lenee (gennaio 424) in condizioni eccezionali sul piano politico: inasprimento della lotta contro Cleone dei gruppi politici a lui ostili, schieramento esplicito dei cavalieri («mille uomini valorosi» pronti a lottare contro Cleone: Cavalieri, 225), coregia non a cura di un singolo14. E ottiene il primo posto.

Sull’onda del successo si presenta alle Dionisie dell’anno dopo, daccapo in prima persona, ed è il disastro: non arriva neanche terzo («fu respinto» dice una hypothesis). Dopo di che ripiega daccapo sulle Lenee e sul supporto decisivo di un vero regista: Vespe (422: Filonide). E Filonide presenta anche il Proagone. Morto Cleo­ne ‘si scatena’ e coglie il frutto della sua ‘militanza’: si presenta alle Dionisie, è regista in prima persona e arriva secondo («vince come secondo»).

Degli anni 420-415 non sappiamo molto. Nell’aprile 414 Aristofane reagisce alla bufera politica che ha investito la città (ermocopidi, profanazione dei misteri, processi, fughe, delazioni, Alcibiade condannato in contumacia e ormai attivo come nemico, a Sparta) con la commedia apparentemente di ‘evasione’ (Uccelli): una metaforica fuga dalla politica. Affronta ancora una volta le Dionisie, ma si affida a Callistrato. È lui che «si classifica secondo», come esplicitamente dice la hypothesis I15.

Poco prima, alle Lenee (fine gennaio 414) aveva presentato Amfiarao, regista Filonide: forse la metafora era di un vecchio superstizioso (il popolo ateniese) che si reca al santuario di Amfiarao sul confine beotico e ottiene la cura per la guarigione. Mesi dopo la situazione ateniese è molto più grave e la soluzione non è il risanamento, ma l’evasione (Uccelli).

Nel 411 (Lenee?) è Callistrato che presenta la Lisistrata (per le Tesmoforianti non si sa nulla).

Nel 405 (Lenee) è Filonide che presenta le Rane. Anche in questi due casi cruciali – di intervento politico sull’attualità più delicata (avvisaglie di sovvertimento politico, ‘spallata’ in pro degli atimoi) – manda avanti i soliti suoi fidatissimi compagni ‘d’arte’.

Registi di Aristofane:

Callistrato: Banchettanti, Babilonesi, Acarnesi, Uccelli, Lisistrata

Filonide: Vespe (e Proagone!), Amfiarao, Rane

Quanto Aristofane fa dire al corifeo, nella parabasi delle Vespe, a proposito di sé medesimo e dell’insuccesso delle Nuvole (da lui presentate ‘in proprio’) fa capire che «Callistrato e Filonide apparivano davanti al pubblico come incaricati del poeta»16.

Certamente nella ‘società artistico-artigianale’ degli autori di teatro e dei colti appassionati di teatro (come fu, sin da giovanissimo, Platone), il vero autore era noto (e variamente apprezzato). La circolazione delle notizie e la frequentazione reciproca sono i fattori di cui tener conto per orientarsi nella questione autore/regista nell’Atene del tardo V secolo. Tanto più nel caso di autori che si sapeva preferivano delegare la regia ad altri, come appunto Aristofane. Altra questione è quanto ciò fosse noto (e interessasse) al pubblico e quanto esso poi ne serbasse memoria da un anno all’altro. In ogni caso, il testo scritto che circolava tra i sodali-rivali e anche oltre chiariva ogni cosa. Ma sul piano ufficiale, e politico-cittadino, vale ciò che Leo mette in rilievo: è Callistrato, è Filonide che chiede il coro; e perciò sono loro che vengono accettati (o rifiutati) e poi ‘classificati’; ed il loro nome viene registrato in atti (se ci furono) più o meno ufficiali. La suggestione prospettata da Leo allora ventisettenne, che cioè gli arconti – essendo «ricchi e perciò colti» – capissero subito che la commedia presentata da un Callistrato in realtà era di Aristofane17 sembra del tutto ingenua oltre che inverosimile e fondata su categorie e presupposti generici.

3.

Quando si affronta questo problema bisogna saper distinguere tra ciò che si leggeva nel trattato di Aristotele Sui vincitori e ciò che si leggeva nella documentazione ‘ufficiale’ cui egli e i suoi attinsero. Che Aristotele abbia adottato, per esprimere la distinzione e collaborazione tra autore e regista (didascalo), la formula «commedia di Tizio messa in scena attraverso (per opera di) Caio» (esempio: Ἀριστοφάνους Ἀχαρνῆς διὰ Καλλιστράτου) sembra confermato dalla presenza di tale espressione in una pluralità di fonti oltre che in varie hypotheseis alle commedie di Aristofane18: per esempio in Ateneo (V, 216D) a proposito di Eupoli e Demostrato, nel Lessico di Fozio (p. 499, 1 Theodoridis) a proposito dei Babilonesi di Aristofane, nei Prolegomena de comoedia III (p. XV Dübner = p. 9 Koster) a proposito dell’esordio di Aristofane (Banchettanti).

Ma questo non significa affatto che una formula di quel genere figurasse già nella documentazione alla cui ricerca Aristotele si era messo e che mise a frutto. Essa, del resto, non ricorre mai nella non esigua documentazione epigrafica relativa ai risultati degli agoni teatrali, che pur ci è giunta19.

Ulteriore, e più oscuro, problema è dove e a che genere di documenti Aristotele e i suoi collaboratori attinsero. Leo, nell’articolo già ricordato, parlava di «Acta der Archonten» (p. 403). Settant’anni dopo, Felix Jacoby, nel suo studio epocale sulle storie (o cronache) locali dell’Attica, accenna per incidens alla possibilità che in un deposito documentario presso gli arconti si trovassero «le Διδασκαλίαι»20. A rigore parrebbe – in assenza di qualunque riferimento nelle fonti – una petizione di principio: siccome si registravano i risultati degli agoni è possibile che tale registrazione venisse depositata presso i magistrati che «concedevano il coro». Ovviamente non sappiamo in che modo e con quali formule e dando conto di quali dettagli (per quanto attiene, ad esempio, ai coreghi, personaggi sempre ragguardevoli e molto ‘vanitosi’, ovvero agli attori21 etc.) ciò avvenisse.

La prudenza si impone in questo campo. Nello stesso contesto, Jacoby dà spazio alla visione molto riduttiva di Ulrich Kahrstedt in merito alla nascita e alla consistenza di «archivi» ufficiali in Atene prima della guerra civile (404/403) e del conseguente ‘riordino’ legislativo: carenza effettivamente riscontrabile addirittura in ambiti vitali come gli ordinamenti ‘costituzionali’ (nei quali ugualmente Aristotele aveva cercato di orientarsi quando costruì la prima parte – storia costituzionale – della Costituzione degli Ateniesi).

4.

Un secolo fa, nel solo saggio complessivo sulle fasi iniziali del testo di Aristofane, Pierre Boudreaux si poneva la domanda: «il nome del vero autore [al di là del regista] fu noto al pubblico soltanto quando la commedia circolava in forma di libro?»22. Ben consapevole che difficilmente negli atti ufficiali ci potessero essere due nomi, si dava una risposta di buon senso: «La grande Atene era in realtà una città abbastanza piccola23; si parlava nell’agorà e nelle boutiques; inoltre il teatro appassionava moltissimi, le rappresentazioni erano un evento solenne e davvero pubblico: perciò è molto probabile che indiscrezioni circolassero intorno al vero autore delle pièces messe in scena da Filonide o Callistrato». In verità la indubbia forza di questa osservazione un po’ si attenua se si tien conto che non si metteva in scena quell’unica commedia – sul cui vero autore magari strologare –, ma il pubblico era inondato per l’intera giornata di tragedie, drammi satireschi, commedie, ditirambi (opere di molti autori), e comunque – per tenersi al caso Aristofane – anche Callistrato e Filonide erano commediografi in proprio. Un rapporto diretto (di una parte!) del pubblico coi commediografi va però certamente tenuto presente quando ci si interroga su questo problema: lo dimostra la celebre battuta del libello Sul sistema politico ateniese24, secondo cui «il demo» – cioè elementi attivi di esso, è da pensare – va dai comici per suggerire loro chi attaccare.

5.

La pratica di dare la regia ad altri è messa in particolare rilievo – nel trattatello Sulla commedia (III, p. 9 Koster) – a proposito di Aristofane.

Per Aristofane dare la regia ad altri significava sottrarsi al duro lavoro di settimane (e più) necessario a messinscena e istruzione di attori e coro; un enorme risparmio di tempo e di energie che ha favorito l’intensissima sua produttività. Questo concentrarsi (soprattutto) sulla scrittura fa più che mai di Aristofane uno scrittore politico (sui generis): la sua grande bravura e creatività giovano ai gruppi coi quali è in contatto. Perciò rinuncia volentieri alla faticosa distrazione della regia. Gli preme di più che i suoi interventi sapientemente inquadrati in intrecci esilaranti circolino. Lavora a tempo pieno per una ‘parte’ e, ancor più, per una ‘causa’.

Vien fuori un quadro dell’Atene dei leggenti-scriventi in cui dialoghi etico-politici (Tucidide, Dialogo melio-ateniese), dialoghi polemico-politici (Crizia, Politeiai: anche in versi!), dialoghi filosofici (Socrate con ostentata rinuncia alla scrittura, Platone giovane che già si cimenta in quest’attività ma scrive e ‘pubblica’), dialoghi scenico-drammaturgici (tragedie, commedie) circolano e danno frutti anche polemici. Non sarà casuale che Platone, i suoi scolari, Aristotele e i suoi scolari abbiano scelto come ovvia forma, per le opere che mettevano in circolazione, il dialogo. (E che di Platone sia solitamente attestata una prima fase mimico-comica.) La esuberante, straripante, produzione aristofanea – di gran lunga superiore alla capacità di ricezione della scena – si inquadra bene in questa realtà ateniese.

Solo se la si intende così, si comprende come la produzione scrittoria-artistica ateniese abbia potuto essersi conservata per quasi un secolo e mezzo, tra l’apogeo di Pericle e la fondazione della Biblioteca alessandrina, giungendo così ad essere ‘travasata’ nella Grande Biblioteca.

1 P. Boudreaux, Le texte d’Aristophane et ses commentateurs, ouvrage revu et publié après la mort de l’auteur par G. Méautis, de Boccard, Paris 1919, p. 4.

2 Scolio a Platone, Apologia, 19C (Scholia Graeca in Platonem, p. 421 Greene).

3 De Comoedia, III, p. 9 Koster.

4 Ed. Coulon = I Dover.

5 Come farà per la replica delle Rane (405). Cfr. infra, Parte V, capitoli 11 e 12.

6 Come diremo nel capitolo seguente.

7 Negli Uccelli c’è molta musica. (Euripide fu, per tutti, ‘modello’ di modernità.)

8 Di cui l’erudizione antica conosceva 21 commedie (ma noi abbiamo 27 titoli), di fronte alle 44 o forse 47 (o 54) di Aristofane.

9 P.Oxy. 2737, col. II (II d.C., da leggere soprattutto nell’edizione Lobel [1968, pp. 39-45] con la nota di Eduard Fraenkel).

10 Callimaco, fr. 451 Pfeiffer (= Scolio ad Andromaca, 445).

11 VS, 88 B 25.

12 Su ciò vedi, più oltre, l’Appendice I, Per una storia dei materiali e dei documenti sulla drammaturgia.

13 Bemerkungen zur attischen Komödie, «RhM» NF 33, 1878, pp. 400-401.

14 Su ciò vedi infra, il capitolo seguente.

15 Anche questa formulazione (διὰ Καλλιστράτου, ὃς ἦν δεύτερος τοῖς Ὄρνισι) conferma che è il didascalo che, a tutti gli effetti, appare come autore e figura nel «verdetto» finale.

16 Leo, Bemerkungen zur attischen Komödie cit., p. 401: «Beauftragte des Dichters».

17 Ivi, p. 403.

18 Ma per i tragici tale formula non appare.

19 Una edizione tendenzialmente completa ne apprestò H.J. Mette nel 1977 (Urkunden dramatischer Aufführungen in Griechenland, de Gruyter, Berlin).

20 Atthis. The Local Chronicles of Ancient Athens, University Press, Oxford 1949, p. 384, n. 27.

21 Ai quali invero fanno riferimento ogni tanto le superstiti hypotheseis.

22 Boudreaux, Le texte d’Aristophane et ses commentateurs cit., p. 5.

23 Tucidide a rigore dice il contrario: «era troppo grande perché ci si conoscesse e perciò in tempi di complotti tutti sospettavano di tutti» (VIII, 66, 3-5).

24 [Senofonte], Sul sistema politico ateniese, II, 18.