Mentre fuori calava la sera, nel salotto-laboratorio di Rhyme ci si apprestava a cominciare la caccia all’uomo che avevano ribattezzato Sosco 47, da «soggetto sconosciuto» e il nome della strada in cui erano avvenuti rapina e omicidi.
Rhyme osservava Sachs e Mel Cooper – il prezioso tecnico di laboratorio del NYPD – analizzare i reperti rinvenuti alla Patel Designs.
C’era anche Lon Sellitto: se ne stava in un angolo, intento a destreggiarsi al telefono con le domande dei superiori. La stampa sarebbe andata a nozze con la notizia del killer del taglierino nel Diamond District. Il che era l’ultima cosa che le autorità municipali volevano. Ma, come ad affamati animali dello zoo, ai media bisognava dare in pasto qualcosa.
In ogni caso, il problema non riguardava Rhyme, che continuò a sorvegliare i progressi di Sachs e del segaligno e – per sua stessa ammissione – nerd tecnico di laboratorio.
Anche l’agente Ron Pulaski era entrato in azione: si trovava al Diamond District a fare domande in giro, anche se con scarso successo. Aveva chiamato cinque minuti prima per riferire dei propri progressi; o meglio, della loro assenza. Armato di una lista di clienti e soci in affari di Jatin Patel, stava cercando di scoprire se fossero a conoscenza di eventuali minacce ricevute dalla vittima. E, al contempo, di stabilire se uno di loro fosse il sosco in questione. Tuttavia, nessuna delle persone interpellate da Pulaski e dagli altri agenti aveva idea di chi fossero S e VL, i due soggetti indicati sul planner di Patel.
Lo stesso copione si era ripetuto con i negozianti e i ristoratori di 47th Street e nei dintorni. «Nessuno vuole parlare con me, Lincoln» aveva detto il giovane agente. «È come se avessero paura di mostrarsi collaborativi. Quasi che il sosco sia nei paraggi, a prendere appunti.»
«Non mollare, Recluta» aveva replicato Rhyme, prima di riattaccare. In ogni caso, lui non era un sostenitore dell’utilità dei testimoni: riteneva che le loro dichiarazioni fossero decisamente inaffidabili. Più che altro, sperava che qualcuno indirizzasse Pulaski verso una prova di cui il sosco in fuga si era sbarazzato, o che aveva perso per caso.
Lanciò un’occhiata alla lavagna bianca sulla quale Sachs e Cooper stavano annotando i risultati. Avevano raccolto alcune informazioni – poche, per la verità – dalla telefonata anonima (sempre che fosse accurata): il sosco era probabilmente bianco, maschio, di altezza media. Al momento dell’aggressione aveva il volto coperto da un passamontagna nero, indossava i guanti ed era armato. Una successiva chiamata al 911 aveva aggiunto un ulteriore dettaglio: portava una ventiquattrore nera. Non era stata trovata sulla scena, perciò era possibile che l’avesse ancora con sé. A meno che non l’avesse gettata via.
Sachs era convinta che l’autore di entrambe le telefonate fosse il dipendente o socio di Patel che si era imbattuto nella rapina e al quale avevano sparato, VL. Ma un giro di domande a Port Authority, da dove era partita l’ultima chiamata, non aveva rivelato avvistamenti di persone ferite. Rhyme aveva chiesto che qualcuno recuperasse le monete dal telefono pubblico e le analizzasse per cercare impronte.
«Non servono, per il 911» aveva replicato divertito Sellitto. «L’amministrazione ha fatto rientrare il servizio nel budget cittadino.»
Gli ospedali erano stati avvisati perché riferissero di eventuali ferite causate da schegge di pietra, ma le probabilità che il migliaio di medici di turno al pronto soccorso nell’area di New York venisse informato in modo capillare della richiesta, e che poi qualcuno decidesse di agire di conseguenza, erano dannatamente scarse.
Sachs aveva chiamato la società proprietaria dei diamanti, la Grace-Cabot a Cape Town, in Sudafrica. Visto il fuso orario, però, laggiù era notte fonda, quindi aveva lasciato un messaggio: volevano verificare che le pietre non fossero state rispedite a loro, o non si trovassero altrove, magari affidate ad altri tagliatori di diamanti che lavoravano con Patel. In tal caso, la situazione si sarebbe fatta ancor più ingarbugliata, e non avrebbero avuto altra soluzione che aspettare l’inventario dei tecnici all’HVE, per verificare se dal laboratorio mancasse qualcosa.
Per quanto riguardava le tracce sulla scena del crimine, avevano individuato centinaia di creste di frizione – ovvero di impronte digitali – nel negozio, nell’ascensore, sui corrimano, sulle maniglie delle porte che conducevano in strada e su quelle del vano scale. Nessuna, però, corrispondeva a un profilo schedato nell’Integrated Automated Fingerprint Identification System, o IAFIS, il database gestito dall’FBI. D’altro canto, Rhyme non si aspettava un risultato diverso: il numero di impronte di guanti in stoffa suggeriva che Sosco 47 non se li fosse mai sfilati.
Non ci rendono mai le cose facili, vero? Una domanda retorica, che Rhyme non si prese il disturbo di formulare ad alta voce.
Alcuni reati – per esempio quelli di natura sessuale, o le risse – presentano spesso cospicui scambi di DNA, e i database che schedano i profili in base all’acido desossiribonucleico possono, in quei casi, rivelare un’identità. Ma per un crimine come quello, perpetrato da un assassino che indossava guanti, indumenti a maniche lunghe, pantaloni e passamontagna, erano poche le possibilità di individuare simili tracce. Il database americano – il CODIS, o Combined DNA Index System, dell’FBI – non li avrebbe aiutati.
Avevano rinvenuto alcune fibre tessili, nessuna delle quali corrispondente ai vestiti delle vittime. Alcune erano di cotone nero, con tutta probabilità lasciate dai guanti, visto che erano state rinvenute sulle maniglie e i cassetti. Inoltre, Sachs aveva scoperto fibre di poliestere nero, probabilmente provenienti dal passamontagna.
Nessun bossolo; l’assassino aveva raccolto quello liberato nell’unico sparo.
«Cosa abbiamo qui?» domandò impaziente Rhyme al tecnico di laboratorio. Teneva lo sguardo fisso su uno schermo ad alta definizione, con le impronte da impressione rilevate nei locali di Patel dall’analisi elettrostatica.
Mel Cooper indossava un camice bianco, cuffia, guanti e mascherina. Oltre agli immancabili occhiali alla Harry Potter. «Difficile essere precisi, comunque il nostro uomo porta scarpe tra il 44 e il 45.» Era complicato stabilire il numero esatto, in particolare a causa delle variazioni nella misura del tacco e nell’inclinazione della punta da modello a modello. «Si notano alcuni segni distintivi di usura, niente carrarmato della suola.»
«Quindi calzature eleganti.»
«Esatto.»
Se il sosco avesse indossato scarpe sportive sarebbe stato meglio: grazie al disegno della suola si poteva risalire a marca e modello, a volte persino al colore.
«Piccole linee nel sangue accanto alle impronte di scarpe?» Rhyme stava osservando un’immagine scattata da Sachs con la sua fotocamera digitale Sony.
«Linee?» chiese Cooper.
«Linee serpeggianti, sinuose» borbottò Rhyme. «Non so come definirle...» Quando si accorse che sia Sellitto sia Cooper lo fissavano perplessi fece per parlare, ma Sachs, china su un tavolo da esame, lo anticipò. «Lacci penzolanti. È possibile che non risultino nelle immagini elettrostatiche, ma nel sangue si vedrebbero.»
Rhyme sorrise. La amava.
«Ah.» Cooper esaminò le foto. Anche Sellitto diede una breve occhiata, poi passò a controllare i messaggi sul telefono.
«Ci si annoia, eh, Lon? Eppure molti casi sono stati chiusi grazie a una cosa tanto banale quanto il fatto che il colpevole indossasse o meno scarpe con i lacci.»
«Linc, sei tu il guru delle linee sinuose nelle impronte insanguinate» ribatté il detective, poi si allontanò per rispondere a un’altra telefonata.
Alla fine venne fuori che non c’erano linee. Probabilmente, scarpe senza lacci.
Il testimone aveva parlato di un unico malvivente, e le impronte confermavano che il killer era solo.
A giudicare dalla rigatura poligonale del proiettile, l’arma doveva essere una Glock 9 millimetri come quella di Sachs. Era ormai un secolo e mezzo che le canne delle armi da fuoco presentavano sagomature interne atte a far ruotare il proiettile in uscita, rendendone la traiettoria più accurata. Molte marche sfruttavano incisioni curvilinee che creavano una sorta di dentellatura. La Glock, invece, ricorreva a profili di canna non perfettamente circolari, ma con angoli arrotondati, che imprimevano al proiettile più velocità e potenza. Non era una scelta isolata tra i produttori, vi ricorrevano anche Heckler & Koch, Kahr Arms, Magnum Research, Tanfoglio e CZ, però le Glock erano di gran lunga le più comuni con quella caratteristica.
Sellitto, intanto, aveva chiuso la chiamata. «Un paio di agenti. Sono andati a casa della sorella di Patel, a dare la notizia. È l’unico familiare in zona, visto che la moglie è morta qualche anno fa. Dicono che è quasi svenuta. Per farle qualche domanda hanno aspettato che il marito tornasse a casa. Ha detto di non sapere granché dell’attività del fratello. Secondo lei si trattava di una “cosa da uomini”. Patel non ha mai detto né a lei né al cognato di essere preoccupato per la propria incolumità, né che qualcuno avesse preso di mira il negozio. D’altro canto era un tagliatore molto famoso, anche a livello internazionale: può essersi sparsa la voce che aveva merce di valore. Parole sue, non mie.»
«Soci? Impiegati?» volle sapere Sachs. «Ha idea di chi potesse essere il testimone?»
«No. Sostiene che gestisse da solo l’attività. Nessun dipendente a tempo pieno: era troppo tirchio, e non si fidava di nessun altro per lavorare le pietre. Tranne, secondo la donna, di un giovane che dava una mano di tanto in tanto, un apprendista. Le hanno chiesto di S e VL, ma niente.»
«Probabilmente, per risparmiare, lo pagava in contanti, in nero. Quindi nessun libro paga con cui rintracciarlo» dedusse Sachs.
Una squadra della Scientifica del Queens aveva perquisito il modesto appartamento di Patel nell’Upper West Side di Manhattan, dove viveva da solo dopo che il cancro si era portato via la moglie. Nessun segno di effrazione, né – come aveva ipotizzato Rhyme – dei diamanti Grace-Cabot.
Né c’era il telefono di Patel, perciò il loro contatto all’unità Crimini informatici del NYPD stava ricavando un elenco di numeri, in entrata e in uscita, dai tabulati: speravano che uno di essi li portasse a S o VL.
Sachs si allontanò per rispondere a una chiamata. Mentre parlava, annuendo distrattamente, prese qualche appunto, poi dettò il proprio indirizzo e-mail.
Poco dopo, la notifica di un computer segnalò un messaggio in arrivo; chiusa la chiamata, Sachs andò a leggerlo.
«È l’ora del film» annunciò. «La società di vigilanza del palazzo: questo è il video ripreso stamattina dalle telecamere di sicurezza al piano.» Scaricò il file e fece partire lo sgranato filmato in bianco e nero, che conteneva anche un indicatore orario.
Rhyme si avvicinò. Patel era arrivato al lavoro verso le otto e trenta, e non era successo nient’altro fino a qualche minuto prima delle undici, quando era comparso un uomo. Barba, soprabito nero, cappello a tesa corta, forse corti capelli scuri. Lo si vedeva premere il pulsante del campanello di Patel ed entrare. Si era trattenuto lì una ventina di minuti.
«Probabilmente è S: l’appuntamento delle undici.»
L’uomo aveva lasciato la Patel Designs, e cinque minuti più tardi alcune macchioline nere avevano cominciato a coprire l’immagine. Per una frazione di secondo, scorsero una mano guantata e la forma di una testa con il passamontagna: il sosco che spruzzava la vernice sull’obiettivo, tenendosi a distanza di sicurezza. Quelle poche immagini sfocate – appena tredici fotogrammi – non rivelavano niente.
Rhyme spostò lo sguardo su Cooper, che prevenne la sua domanda. «Ho analizzato la vernice. Generica, nessuna indicazione sull’origine.»
Il criminologo grugnì.
«Le riprese del sistema di sicurezza di Patel sono scomparse» ricordò Sachs ai presenti. «Quarantasette s’è portato via l’hard disk con le registrazioni. In compenso, alcuni agenti di Midtown Nord stanno raccogliendo video della strada. Gran parte dei negozi ha videocamere interne, ma ce n’è qualcuna anche all’esterno. Vediamo cosa possiamo ricavarne. Stanno controllando anche la zona di carico su 46th Street: è lì che porta la scala antincendio.»
Chiese a Cooper di ricavare dal filmato l’immagine più nitida possibile di S, mentre attraversava il corridoio fuori dall’attività di Patel. Il tecnico eseguì, lavorò il file e lo inviò al detective per e-mail. «La mando agli agenti. Magari riescono a trovare un nome.» Sachs si sedette a uno dei computer nella stanza e caricò la foto perché fosse diffusa a tutti i poliziotti della città.
Mel Cooper si rivolse agli altri. «Ho identificato le pietre che aveva con sé l’apprendista, o chiunque fosse. Quelle colpite dal proiettile. Si tratta di serpentiniti. Il nome deriva dalla colorazione e dell’aspetto a scaglie, che ricorda la pelle di un serpente. Se contiene granati o diamanti, allora è chiamata kimberlite. Ed è proprio il caso delle pietre in questione: alcune particelle di cristallo rinvenute nei campioni fanno pensare ai diamanti. Probabilmente Patel le lavora per farne orecchini e collane.»
Il telefono del salotto squillò.
Il numero sul display aveva un prefisso che Rhyme non riconobbe, ma quando Sachs vi diede un’occhiata annunciò: «Sudafrica». Poi mise il vivavoce e rispose. «Pronto?»
«Sì, pronto. Sto cercando di mettermi in contatto con una certa detective Amelia Sachs.» L’accento era una melodiosa combinazione di olandese e inglese.
«Sono io.»
La persona che aveva chiamato si presentò come Llewellyn Croft, amministratore delegato della Grace-Cabot Mining Ltd di Cape Town.
«Signor Croft, è in vivavoce con il tenente Lon Sellitto, polizia di New York, e Lincoln Rhyme, un nostro consulente.»
«Ho ricevuto il suo messaggio. Sostiene ci sia stato un furto che potrebbe riguardarci?»
«Proprio così. Ho preferito non lasciare dettagli in segreteria, ma mi duole informarla che un tagliatore di diamanti in possesso di vostre pietre, Jatin Patel, è stato ucciso durante una rapina.»
Una pausa. Poi un verso strozzato.
«No! Oh, no. L’ho visto appena una settimana fa. È terribile...» La voce si affievolì. «Io non... Ucciso?»
«Temo di sì.»
«Lavoravamo con lui da anni. Era uno dei migliori tagliatori di New York. Be’, del mondo.» La voce si incrinò. Poi, dopo un colpo di tosse, proseguì. «Quindi sta dicendo che i nostri diamanti sono stati rubati? Ne è sicura?»
«No, non ne ho la certezza. Ed è uno dei motivi per cui l’ho chiamata. Ho trovato una scatola vuota con la ricevuta di una spedizione di quattro articoli: identificativi da GC-1 a GC-4.»
«Sì» confermò l’uomo, sgomento. «Sono nostri.»
«In rand valgono circa sessantotto milioni, conferma?»
Un sospiro. Poi il silenzio.
«Signore?»
«Sì. Quello è il valore assicurato. Ma erano pietre grezze: una volta lavorate il loro valore sarebbe cresciuto. E di molto.»
«Salve, sono il detective Lon Sellitto» si inserì Lon. «Ci dica: a quanto ne sa lei, Patel aveva con sé le pietre? O è possibile che le avesse affidate a terzi?»
«No, no. Era una cosa che non faceva mai. Solo lui aveva il talento per lavorarci. Mio Dio. Quelle pietre... Avete individuato il colpevole?»
«Stiamo indagando» rispose Sachs.
«Chi poteva sapere che Patel aveva quei diamanti?» chiese Sellitto.
Una pausa. «Non posso giurare che Jatin non l’abbia detto a nessuno, ma dubito del contrario. Forse non avete molta dimestichezza con l’industria dei diamanti, però in questo mondo nessuno parla dei propri lavori. Specie se riguardano pietre tanto preziose, quasi inestimabili. La sicurezza è al primo posto. E nella nostra società, vi starete chiedendo? Sono certo che valutate anche l’ipotesi di un lavoro dall’interno. Solo qualche dirigente sapeva che erano destinati a Jatin. Ma siamo tutti soci e, francamente, non abbiamo problemi di denaro. Per quanto riguarda operai e minatori, una volta che la pietra è stata estratta e preparata, non hanno idea di dove vada a finire. A volte le compagnie di trasporto vendono informazioni ai ladri, ma ho portato i grezzi fino a New York io stesso. Valevano troppo.» Una pausa. «Sono pietre insostituibili.»
«I cosa?» intervenne Rhyme. «Prima ha detto “grezzi”, giusto? Di cosa si tratta?»
«Mi scusi. È così che chiamiamo i diamanti non tagliati. Grezzi.» Croft fece un’altra pausa. «Secondo me, l’ipotesi più plausibile è che il ladro non cercasse i nostri diamanti in particolare. Ha scelto a caso il negozio di Jatin, poi ha chiesto le pietre non tagliate. Le gemme finite hanno un codice identificativo impresso con il laser, visibile solo con la lente di ingrandimento. Questo rende difficilissimo piazzarle. Il mercato nero dei diamanti non tagliati è molto più redditizio. I professionisti cercano sempre i grezzi.»
«Conosce qualche ricettatore al quale il ladro potrebbe rivolgersi, qui da noi?» domandò Sachs.
«Non in America, no. Ma posso darle il numero della nostra compagnia assicuratrice, l’ufficio di New York. Dovrò comunque informarli. Qualcuno del personale sarà in grado di aiutarvi.» Diede loro il numero e Sachs lo annotò. «Spero davvero che possiate impiegare tutti i vostri mezzi per trovare quest’uomo. È una tale tragedia... Non ci sono parole.»
Tre persone ammazzate, una delle quali torturata. E due testimoni in pericolo. Ma Llewellyn Croft pensava ad altro, a quanto pareva.
«Vedete, non credo che il ladro venderà subito le pietre. Le farà tagliare alla svelta – le massacrerà – e le gemme lavorate finiranno sul mercato di massa ad Amsterdam, Gerusalemme o a Surat, svanendo. Quei diamanti erano destinati alla grandezza. E adesso? Saranno rovinati. Una tragedia» ripeté.
Sellitto fece una smorfia. Fu Amelia Sachs a rispondere. «Bene, signor Croft, faremo del nostro meglio per rintracciarlo.» Poi, in tono freddo, aggiunse: «E per fare in modo che nessun altro perda la vita».