Lincoln Rhyme amava la stoffa.
Foggiato in indumenti, quel materiale complesso poteva rivelare la taglia del malvivente, e in certi casi anche la sua età o persino il luogo in cui era stato conservato e, spesso, quello di acquisto. Rilasciava fibre più in fretta di quanto un Golden Retriever perda il pelo. E, ancora meglio, la stoffa poteva catturare e trattenere meravigliose tracce; in alcuni casi, per quanto rari, persino impronte digitali. Tralasciando il fatto che assorbiva e immagazzinava come una spugna la più fantastica delle sostanze: l’acido desossiribonucleico, o DNA. Tre lettere che – usava ripetere con fare teatrale ai propri studenti di criminologia – significavano brutte notizie per i malviventi.
Al momento Rhyme stava guardando Mel Cooper, intento ad analizzare il giaccone che Sosco 47 aveva gettato in un tombino del Queens.
Sapevano che l’indumento gli apparteneva perché conteneva residui di polvere da sparo quasi identici nella composizione a quelli rinvenuti sul corpo di Weintraub, e sulla scena dell’omicidio nel Diamond District. Vicino al corpo di Weintraub, Cooper aveva individuato anche tracce della stessa polvere di roccia trovata da Patel: kimberlite. Quella sostanza si stava dimostrando utile. Il proiettile che aveva colpito la pietra ne aveva liberato una quantità significativa; pulviscolo e frammenti minuscoli che si erano sparsi in tutto il negozio, andando a finire anche sul sosco. Così, ora la kimberlite si era trasformata in una sorta di marcatore, capace di collegare il sospettato a luoghi e persone.
Il principio di Locard – che prende il nome da Edmond Locard, criminologo francese – sostiene che ogni contatto tra criminale e vittima o criminale e scena del crimine comporti un trasferimento di materia. «Ogni contatto lascia una traccia.» Se lo scienziato forense è abbastanza scrupoloso, oltre che intelligente, può individuare la sostanza scambiata e stabilire di cosa si tratti. Questo non significa che condurrà dritti alla porta del criminale, ovvio, ma potrà mettere gli investigatori sulla strada giusta.
Quella kimberlite, perfetto esempio di materia di Locard, era diventata un’utile partner nella loro caccia al sosco.
«Impronte?» domandò Rhyme.
«Negativo» rispose Cooper. Aveva esaminato ogni centimetro del giaccone con fonti di luce alternative; poi aveva provato la deposizione di metalli sottovuoto, con oro e zinco: a volte riusciva a rilevare impronte sulla stoffa. In ogni caso, con gli indumenti le probabilità erano sempre minime.
«Manda campioni al Queens per il DNA e il T-DNA» gli disse Rhyme.
«Già fatto.» Con tutta probabilità, il giaccone conteneva tracce di DNA. Sudore, saliva, lacrime e – cosa non insolita, anche per quel tipo di indumenti – sperma lasciano facilmente dei residui. Se quello era il caso, il profilo del DNA poteva essere schedato sul CODIS o su un database internazionale, rivelando così l’identità del sospetto. E, anche se non avessero trovato una quantità significativa di fluidi sul tessuto, ci sarebbero state senz’altro cellule epiteliali, che potevano essere usate per un’analisi Touch DNA: una tecnica meno accurata della profilazione completa, per la quale bastava una mezza dozzina di cellule della pelle. Poteva dare falsi positivi, ma il loro obiettivo non era usarla per un processo.
Cooper infilò il giaccone in una busta per le prove e, siccome non l’aveva ancora fatto, aggiunse il proprio nome al cartellino della catena di custodia. Lasciò tutto dietro alla porta d’ingresso, in attesa che una squadra dell’unità Analisi DNA del Queens andasse a prelevarlo.
Le etichette con la marca erano state tagliate, mossa intelligente. Era all’incirca una taglia media, da uomo. Le cuciture suggerivano una produzione di massa in un Paese del terzo mondo. Probabilmente un modello venduto in un migliaio di negozi in tutta la nazione. Niente piste da seguire in tal senso.
Cooper raccolse in altre buste i campioni di fibre che aveva prelevato dal giaccone, insieme a quelle trovate nelle tasche. Si trattava di cotone nero – molto simile a quello rinvenuto da Patel, proveniente dai guanti – e di fibre di poliestere del passamontagna.
In quel momento chiamò l’agente di pattuglia Ron Pulaski, spiegando che non aveva ancora avuto fortuna nel rintracciare il misterioso VL. Rhyme si ricordò di quanto aveva detto l’investigatore assicurativo circa la riluttanza delle persone legate alla comunità dei diamanti a parlare con gli estranei. Oltre alla naturale propensione a non farsi coinvolgere in un caso nel quale il malvivente era svelto a usare coltello e pistola.
«Continua a cercare» disse alla Recluta, e chiuse la telefonata.
Piuttosto, era l’ostinazione di VL a non contattare la polizia a disorientarlo. Certo, poteva temere di esser preso di mira dall’assassino, ma in genere un testimone si faceva avanti, chiedeva protezione e aiutava a catturare il criminale. Era anche strano che nessun amico o familiare li avesse contattati: di certo aveva detto a qualcuno della sua disavventura. Era un giovane, doveva avere una famiglia.
Era anche possibile che fosse morto per le ferite dovute ai frammenti di roccia. Loro non le avevano reputate gravi, ma Rhyme sapeva di vittime di brutte ferite da arma da fuoco che avevano camminato e agito normalmente per ore, prima di crollare e morire. Oppure, poteva averlo trovato il sosco, come aveva fatto con Weintraub, uccidendolo e sbarazzandosi del corpo. Ma in ciascuno di quei casi, si sarebbe aspettato una denuncia di scomparsa. E le ricerche di Cooper presso i distretti – per quanto frettolose – non avevano dato esito in tal senso.
Il tecnico stava guardando in un microscopio. «Tracce sulla giacca: altra kimberlite. E materiale vegetale. Due tipi. Uno derivante da foglie ed erba, simile ai campioni di controllo che Amelia ha prelevato attorno al tombino. Prevedibile. Ma ci sono delle particelle uniche.»
«E si tratta di...?»
«Aspetta.» Stava scorrendo le immagini cellulari del database orticolo che Rhyme aveva creato al NYPD anni prima, e che ancora contribuiva ad aggiornare. Amava le piante: ottimi marcatori forensi.
«Qualcosa chiamato... Sì, sono quasi sicuro si tratti di Coleonema pulchellum. Non indigeno dell’area – viene dall’Africa – ma è presente nel Paese come deodorante e nei pout-pourri.»
Forse il sosco era stato di recente in un negozio di articoli da regalo. Oppure viveva in un appartamento in cui i cattivi odori erano un problema?
«I bossoli» disse Rhyme.
Cooper – in possesso di un certificato dell’Association of Firearm and Tool Mark Examiners, o AFTE, l’associazione degli specialisti in analisi su tracce balistiche o lasciate da attrezzi di diversa natura – passò ai due bossoli 9 millimetri che aveva raccolto Sachs. I proiettili, tutti rimasti nel corpo di Weintraub, sarebbero arrivati dall’ufficio del medico legale dopo l’autopsia; ma, data l’urgenza del caso, l’uomo che si occupava dell’esame autoptico aveva fotografato un proiettile e inviato l’immagine a Cooper. L’analisi preliminare confermava che era stato esploso dalla stessa arma usata per sparare al negozio di Patel. Nessuna sorpresa, dunque, che i residui di polvere da sparo fossero quasi identici; la polvere in tutti i proiettili doveva provenire dal medesimo lotto di produzione.
«Impronte sui bossoli?» chiese Rhyme.
L’altro fece cenno di no con la testa.
Prevedibile.
Cooper scorse poi l’elenco di tracce e sostanze microscopiche rilevate da Sachs. «Segatura, diesel, metalli coerenti con la saldatura, olio combustibile, refrigerante per condizionatori. Poi... triclorobenzene. Questo non so cosa sia.»
«È usato come disinfestante, credo. O lo era. Brutta roba. Controlla.»
Cooper trovò un bollettino ambientale del governo: «“Il triclorobenzene ha diversi usi. È un prodotto intermedio – un mattone costituivo – per la realizzazione di diserbanti, sostanze che distruggono o impediscono la crescita di piante infestanti. È anche usato come solvente per sciogliere cere, grasso, gomma e certe plastiche. Si tratta di un fluido dielettrico, quindi un liquido dalla scarsa o nulla conduttività.” E, sì, hai ragione: era usato contro le termiti».
Cosa potevano dedurne? Che il loro sosco era stato dentro o nei pressi di una fabbrica, o di vecchi edifici, un seminterrato, una stazione di servizio, un cantiere edile. Qualcosa di cui tenere conto, ma niente che contribuisse davvero a individuarlo.
Cooper ricevette una telefonata ed ebbe una breve conversazione, poi andò al computer. Sullo schermo lampeggiava la notifica di un’e-mail. Disse al telefono: «Ce l’ho» e riattaccò.
«Che roba è?»
«Amelia ha mandato una squadra ad analizzare la zona attorno al tombino con la giacca. Hanno trovato l’oro.»
«Cioè?»
«Una MetroCard.»
«Bene. Ma siamo certi che fosse del sosco?»
«Direi di sì. Non era lì da molto» disse Cooper. «Bagnata, ma non troppo. Come il giaccone.»
Nel 2003, la MetroCard della Metropolitan Transportation Authority aveva sostituito i precedenti metodi di pagamento per bus urbani e le linee della metropolitana. Rhyme amava anche quella: ciascuna aveva un identificatore unico, perciò era possibile stabilire il punto di partenza di ogni viaggiatore. Incrociando il dato con l’estesa rete di telecamere a circuito chiuso dell’MTA e gli algoritmi di riconoscimento facciale, si poteva sperare di individuare la stazione e l’ora in cui il viaggiatore era sceso dal mezzo, o almeno ottenere una ragionevole stima.
«Stanno controllando i dati. Li manderanno a parte.»
Certo, era difficile che Sosco 47 avesse usato una carta di credito personale per l’acquisto, ma se aveva usato la tessera per viaggiare avrebbero potuto ottenere delle buone immagini del suo volto, mentre passava al tornello.
«Impronte o DNA sulla tessera?» domandò Rhyme.
«Negativo. Segni di guanti di stoffa.»
Un sospiro. «Altro nel tombino?»
«Macché.»
Rhyme guardò la tabella delle prove. Quanto avevano trovato – e quanto ancora mancava – dimostrava cosa sapessero: che Sosco 47 era insolitamente intelligente, non lasciava impronte, si ricordava di mettere fuori uso le telecamere, si sbarazzava degli indumenti divenuti riconoscibili, indossava un passamontagna o comunque voltava la testa in presenza di telecamere di sicurezza, agiva in modo determinato per eliminare i testimoni e ripulire la scena.
Ma Lincoln Rhyme era abituato alle sfide poste dai criminali in gamba. Pensò al più geniale che avesse mai affrontato: Charles Vespasian Hale, noto come l’Orologiaio. Il soprannome derivava tanto dalla sua ossessione per gli orologi quanto dalla precisione con cui progettava ogni crimine. L’uomo era come un megastore di servizi efferati, disponibili per chiunque fosse disposto a pagare il suo sostanzioso onorario: dagli attacchi terroristici all’omicidio, dal rapimento al semplice furto, e ogni possibile attività illecita intermedia. Comprese le evasioni, rifletté Rhyme, con la stizza che lo coglieva sempre quando pensava a Hale. Il criminale era ancora a piede libero, fuggito dalla prigione in cui lo aveva fatto finire lui stesso.
Sentì che Thom stava facendo entrare qualcuno in casa, e poco dopo Lon Sellitto apparve nel salotto, togliendosi la giacca.
«Fa un freddo dannato là fuori. Assurdo. Marzo. Hai mai visto un marzo così?»
Di solito Rhyme ignorava le conversazioni riguardanti il tempo, e questa volta non fece eccezione. Informò il detective dei piccoli progressi.
Sellitto fece una smorfia. «L’amministrazione non sarà felice. Dobbiamo muoverci più in fretta.»
«Di’ a Quarantasette di essere più collaborativo.»
«Linc. Abbiamo omesso di dire al britannico di S e VL. E uno dei due è morto. Incarichiamolo di cercare l’apprendista. Che ne pensi?»
Rhyme fece spallucce, uno dei pochi gesti di cui il suo corpo era ancora capace. «A questo punto, va bene.»
Sellitto digitò il numero segnato sul biglietto da visita di Ackroyd e gli chiese se potesse passare. Quando chiuse la chiamata annunciò: «Sarà qui presto».
Il computer di Cooper, intanto, segnalò l’arrivo di una nuova e-mail.
«È il Transit Bureau. I video delle telecamere a circuito chiuso.»
Rhyme spiegò a Sellitto della MetroCard.
«Diamine, ottimo.»
Il sistema di trasporti della città di New York era controllato da due distinte forze di polizia: la Metropolitan Transportation Authority Police si occupava dei trasporti di superficie nell’area metropolitana, comprese alcune contee periferiche; il Transit Bureau del NYPD sorvegliava le linee metropolitane.
Il messaggio, inviato da un agente del quartier generale di Brooklyn, in Schermerhorn Street, riferiva che la card conteneva un biglietto per corsa singola, acquistato in contanti e usato due giorni prima. «È salito sul treno a Brooklyn, la fermata vicino a Cadman Plaza. Non sanno se o dove abbia cambiato o sia sceso, ma è partito in direzione Manhattan. Quei treni l’avranno portato su 42th Street molto in fretta.»
«A due passi dal negozio di Patel» borbottò Sellitto.
Il giorno prima del delitto. Forse per ispezionare il posto, controllare le misure di sicurezza.
Cooper continuò a leggere. «Quelli dell’RTCC dicono che c’è qualcosa di strano che dovremmo guardare.»
Il NYPD aveva accesso al Domain Awareness System, un sistema di sorveglianza che includeva una rete di quasi settemila telecamere a circuito chiuso sparse in tutta la città, due terzi delle quali di proprietà di società o individui privati. Persone che avevano concesso alla polizia di accedere ai propri filmati. All’1 Police Plaza, decine e decine di detective presidiavano i monitor collegati alle telecamere presso il Real Time Crime Center. Il software che utilizzavano era così sofisticato da riuscire a segnalare automaticamente un pacco sospetto o identificare e rintracciare potenziali criminali, anche solo inserendo input quali «un metro e ottanta, corporatura media, giacca celeste».
L’RTCC aveva ottenuto il video della stazione della metropolitana nel momento in cui la tessera veniva passata al tornello, e un po’ prima.
«Strano?» mormorò Rhyme.
Cooper digitò e il filmato apparve sullo schermo, a colori e con una discreta risoluzione. Definizione media.
«Ecco il nostro uomo.» Il tecnico indicò una figura sul monitor, compatibile con l’immagine del sosco presa su 47th Street poco dopo gli omicidi. Il giaccone pareva identico a quello che avevano appena analizzato. Portava un berretto nero che poteva diventare un passamontagna. E, naturalmente, teneva la testa bassa mentre passava il titolo di viaggio nel lettore.
«Questa è invece la telecamera dell’MTA che dà sulla strada, fuori dall’entrata della metropolitana. Cinque minuti prima, mentre l’uomo si avvicina alla stazione.»
Cooper mandò la registrazione più volte.
«Cosa sta facendo?» borbottò Sellitto. «Non capisco.»
Strano...
Sembrava che Quarantasette puntasse alla metropolitana in linea retta, partendo dall’altro lato della strada, poi però si fermava di colpo, faceva dietrofront e tornava al punto di partenza. Infine cambiava di nuovo direzione e proseguiva per la stazione.
Rhyme osservò: «C’è un cestino dei rifiuti, lì. Torna indietro per andare a buttare qualcosa. Cos’è? Giallo. Teneva in mano qualcosa di giallo. E arancione. Ma cosa? Di nuovo.»
Cooper fece ripartire il video.
Fu Sellitto a dire: «Ci sono».
«Cosa?» chiese Rhyme.
«Guarda cosa c’è alle sue spalle.»
Rhyme annuì. C’era arrivato anche lui. Sull’altro lato della strada si vedeva un cantiere edile. Diversi operai indossavano giubbotti arancioni e caschi gialli. Stesse tonalità di ciò che Quarantasette teneva in mano.
«Esce dal cantiere, toglie il caschetto e indossa il berretto» disse Sellitto. «Poi vorrebbe buttare casco e giubbotto, ma non vede bidoni della spazzatura davanti alla metro. Così torna indietro. Poi va a prendere il suo treno.»
«Non è un operaio. Niente abiti da lavoro, e nessuno che lavori in un cantiere getterebbe via le protezioni.»
«Io dico che le ha rubate. Ma perché?»
«Per incontrare qualcuno che lavora lì» suggerì Rhyme. «È una possibilità.»
«Eccone un’altra» propose Sellitto. «Quella stazione è vicina a edifici governativi, giusto?»
«Cadman Plaza» rispose Cooper. «Le strade sono piene di telecamere. Polizia, enti federali, tribunali, uffici amministrativi. Se non avesse attraversato il cantiere, per raggiungere l’entrata della stazione sarebbe dovuto passare davanti a dozzine di obiettivi.»
«Vive a sud del cantiere?» ipotizzò Sellitto.
«No, non può rubare un casco e introdursi lì ogni volta che vuole prendere la metro» replicò Rhyme. «Io insisto con l’incontro con qualcuno al cantiere. Forse era andato a prendere l’arma? O a parlare con un contatto per rivendere i diamanti grezzi?»
Anche se in misura minore rispetto al passato, i cantieri edili di New York erano pieni di persone che avevano legami con il crimine organizzato.
Sellitto chiamò il responsabile dell’RTCC e gli fornì le informazioni sul soggetto nel video: avrebbe fatto controllare le telecamere degli isolati vicini, a partire da un’ora prima della comparsa del sosco. Oltre alla descrizione generale del sospettato, ai criteri di ricerca avrebbero aggiunto: «con indosso o in possesso di un casco giallo e un giubbotto arancione».
Perché? Perché lo stai facendo? Rhyme rifletteva, osservando Mel Cooper aggiungere gli ultimi dettagli del caso sulla lavagna bianca.
«Facile» disse una melodiosa voce femminile.
Rhyme spostò lo sguardo nella sua direzione. Non si era accorto che Amelia era tornata da Brooklyn. Né di aver formulato la domanda ad alta voce.
«Ovvero?» chiese.
«È semplicemente pazzo.»