CAPITOLO 39

«Un altro terremoto.»

Rhyme lanciò un’occhiata a Cooper, che aveva appena dato la notizia, e ne seguì lo sguardo verso il televisore. Sullo schermo, un condominio di Brooklyn avvolto da fiamme e fumo. La causa era di nuovo la rottura di una conduttura del gas, conseguenza di una seconda scossa.

Seguirono le immagini della conferenza stampa al City Hall. Le parole del sindaco erano riportate nei testi che scorrevano in sovrimpressione. A seguito dell’ultimo sisma, le autorità cittadine avevano deciso di respingere la richiesta della Northeast Geo di riprendere le trivellazioni, anche con limitazioni. Riapparvero i mezzibusti: Ezekiel Shapiro, il barbuto capo del movimento Una sola Terra; Dwyer, l’amministratore delegato della Northeast Geo; C. Hanson Collier, CEO della Algonquin. Mentre i tre discutevano, l’inquadratura mostrò il condominio in fiamme, circondato da autopompe e mezzi di soccorso. Il rullo in basso parlava di tre vittime.

Suonarono alla porta. Thom era andato a fare la spesa e Rhyme controllò chi fosse attraverso il monitor della telecamera di sicurezza. Lon Sellitto. Possibile non avesse una dannata chiave, dopo tutti quegli anni? Dovevano rimediare. Premette il tasto per farlo entrare.

«Okay, sei pronto?»

Rhyme sospirò e inarcò un sopracciglio. Sellitto accennò allo schermo della TV, che mostrava spirali di fuoco e un torrente nero di fumo. La didascalia in basso: MOLTEPLICI VITTIME.

«Linc, non è stato il terremoto» annunciò il detective. «Tutti gli incendi sono dolosi, ma inscenati perché sembrino conseguenza del sisma.»

«Cosa?» fece Mel Cooper.

«Subito dopo l’ultima scossa, una donna che vive a Cadman Plaza – nei pressi dell’epicentro – sente una forte puzza di gas. Pensa a una conduttura rotta, teme che salterà tutto in aria. A casa ci sono solo lei e la figlia piccola. La buona notizia è che ha una caviglia rotta. Cioè, messa proprio male. Cade, se la spezza di nuovo e sviene.»

Buona notizia...?

«Riprende i sensi qualche istante dopo e si ritrova in trappola. Allora che fa?»

«Datti una mossa, Lon.»

«Ha un colpo di genio. Non può uscire, non può camminare, ma forse può impedire al gas di esplodere. Apre il pannello nel bagno, quello che dà sui tubi che arrivano dal locale caldaie, avete presente? Poi apre al massimo l’acqua della doccia e con il soffione innaffia il seminterrato, sperando di spegnere la fiamma pilota della caldaia. Nel frattempo urla a squarciagola. Qualcuno la sente, chiama i vigili del fuoco e la polizia. La cavalleria arriva, spegne il gas dall’esterno, porta fuori la donna con la bambina e gli altri inquilini.»

Rhyme lanciò un’occhiata alla TV, scrutando il ciclone di fuoco. «Quindi quello è un altro incendio.»

«Già» rispose Sellitto, rammaricato. «Tre vittime. A un paio di isolati da Claire Porter.»

«Chi?»

«Claire Porter. Quella della doccia. Le è venuto in mente così, su due piedi.» Una smorfia. «Okay, pessima scelta di parole... In questo momento la stanno operando alla caviglia. A ogni modo, un pompiere scende nel seminterrato a controllare la perdita, e indovinate cosa trova?»

Rhyme inarcò un sopracciglio.

«Se gli sguardi potessero parlare...» commentò Sellitto.

«Possono. Il mio l’ha appena fatto. Continua.»

«Uno IED sulla conduttura del gas.»

Improvised explosive device, un ordigno esplosivo improvvisato. Ora sì che aveva attirato l’attenzione di Rhyme. «Immagino programmato per lesionare la conduttura, lasciare uscire il gas – per quanto, cinque minuti? – e poi farlo esplodere.»

«Dieci minuti.»

«Ma l’acqua spruzzata dalla donna l’ha disinnescato.»

«Bingo, Linc. Ogni tanto puoi anche prenderti una pausa, eh... L’ordigno era di plastica, infilato nell’alloggiamento di un termostato. È progettato davvero bene: se funziona a dovere e incendia il gas, in pratica non ne resta niente; e se anche i vigili del fuoco dovessero trovare qualcosa, sembrerebbe un termostato carbonizzato, fuso in mezzo alle macerie. L’incendio doloso perfetto. Niente accelerante. Niente tracce.»

Suonarono di nuovo alla porta: un uomo massiccio in completo nero, che reggeva una grossa scatola di cartone. Rhyme rispose all’interfono: «Da parte di Tony?».

Carreras-López, l’avvocato di El Halcón.

L’uomo si protese per parlare al citofono: «Esatto».

I fascicoli che aveva chiesto. Lanciò un’occhiata a Sellitto per controllare la sua reazione. Nessun segno d’interesse. Il detective e Cooper stavano guardando le immagini dell’incendio in TV.

«Lasci tutto nell’ingresso, sul tavolo.»

«Sissignore.»

Rhyme aprì a distanza la porta e, lasciato il materiale del caso El Halcón, l’uomo se ne andò.

«Il comandante dei vigili del fuoco è tornato a controllare le scene degli incendi precedenti?»

«Certo. In ognuno di quelli scoppiati dopo le scosse ha trovato i gusci dei falsi termostati. Proprio come a casa della Porter.»

Una serie di incendi scatenati da sofisticati IED. Cosa c’era dietro?

«E, come se non fosse abbastanza» proseguì Sellitto, «ecco la parte davvero succosa. Appena hanno stabilito la natura dolosa dell’evento, il comandante dei pompieri ha chiamato l’RTCC e chiesto le registrazioni delle telecamere nei paraggi. Si è fatto dare i video delle ultime settimane.»

Il centro di vigilanza computerizzata all’1 Police Plaza.

Mostrò il telefono. «Guarda chi è stato ripreso mentre sgattaiolava nel palazzo di Claire Porter la settimana scorsa. È entrato e uscito dal seminterrato.»

Lo screenshot delle riprese mostrava un uomo in abiti e berretto scuri, con indosso un gilet arancione e un casco giallo. Teneva in spalla una sacca che pareva piuttosto pesante. A parte quest’ultimo dettaglio, l’immagine era identica a quella di Sosco 47 mentre lasciava il cantiere dell’impianto geotermico diretto alla metropolitana. E il giorno era lo stesso.

Sellitto proseguì. «Ho chiesto all’RTCC i video delle telecamere che dal palazzo della donna inquadrano il sito delle trivellazioni. Lui va dritto al cantiere, gilet e casco addosso, e scompare all’interno. Un’ora dopo esce e si dirige alla metropolitana. Così ho fatto esaminare anche i filmati disponibili per le altre scene: nel giro di due ore, Sosco 47 si è introdotto in ogni abitazione andata a fuoco.»

Gesù. Il loro uomo aveva piazzato delle bombe sulle condutture del gas per simulare incendi dovuti al terremoto? Perché?

«Voglio vedere il dispositivo» disse Rhyme. «Portalo qui, e alla svelta.»

«Sapevo che l’avresti chiesto: ho già dato disposizioni. Sarà qui da un momento all’altro.»

«E manda una squadra della Scientifica nel palazzo della signora Porter. Probabilmente la scena sarà contaminata, ma proviamoci comunque.»

«Ricevuto, sarà fatto. Ora devo andare, il sindaco vuole un’informativa. Tienimi aggiornato sulle tue geniali intuizioni, va bene?»

Rhyme grugnì.

Sellitto prese il giaccone dall’attaccapanni e si avviò alla porta. Mentre era sulla soglia arrivò Ron Pulaski, che salutò il tenente ed entrò in casa. Rhyme gli andò incontro nell’ingresso.

Il giovane agente annusò l’aria. «Sento odore di gas.»

Rhyme si accorse che aveva ragione. Una scia debolissima. «Era Lon.» Gli raccontò dello IED che aveva lesionato la conduttura sotto l’appartamento di Claire Porter. «Disinnescato prima che esplodesse. Chi è stato sulla scena si porterà in giro la puzza per un po’.»

Siccome il gas naturale era inodore, per far notare eventuali perdite vi aggiungevano sostanze chimiche a base di zolfo, da cui il sentore di uova marce.

Lincoln proseguì raccontando dell’ultima scoperta: gli incendi seguiti alle scosse di terremoto erano in realtà dolosi.

Il giovane agente era perplesso. «Chi li ha piazzati?»

«Pare... E nota l’uso del termine. Pare sia stato Sosco 47.»

«Incredibile» mormorò Pulaski.

«Vedremo.» Rhyme accennò allo scatolone che l’uomo di Carreras-López aveva consegnato. «Quelli sono i fascicoli del caso El Halcón. Riesci a visionarli già stasera?»

Non era propriamente una domanda.

«Certo.»

«E ho bisogno che percorri la griglia sulla scena.»

«Quale scena?»

«Long Island. Il magazzino dove ha avuto luogo lo scontro a fuoco. Troverai tutto nei fascicoli. Ma ricorda...»

«Non una parola con nessuno» bisbigliò la Recluta.

Rhyme gli strizzò l’occhio, un gesto tanto inusuale che lasciò Pulaski interdetto. Il giovane agente prese il materiale per il suo incarico segreto e si congedò.

Il criminologo tornò nel salotto. Cooper non sembrava aver fatto caso all’arrivo di Pulaski, senza scatola, e alla sua partenza, con la scatola.

Suonarono di nuovo. Rhyme riconobbe il visitatore e aprì la porta.

Poco dopo entrò un agente degli Artificieri del distretto 16, Greenwich Village.

«Brad.»

«Lincoln.» Il tenente Brad Geffen, un uomo massiccio dai capelli grigi, venne avanti e, senza alcuna esitazione, strinse la destra a Rhyme. Spesso la gente si lasciava intimidire dalla sua disabilità, ma quell’uomo passava ore steso sulla pancia armato solo di pinze e cacciavite, a disinnescare IED in grado di trasformarlo in una nebbia rossa: erano poche le cose in grado di turbarlo. Ricordava un po’, volendo fare un paragone, il classico sergente istruttore dei film, con i lineamenti forti e decisi, i capelli tagliati cortissimi e gli occhi penetranti.

Rivolse un cenno del capo a Cooper e si avvicinò a un tavolo per le prove.

«Cosa abbiamo?» gli chiese Rhyme.

«I nostri ragazzi l’hanno esaminato.» Dalla valigetta che aveva con sé estrasse un sacchetto per reperti. «Mai visto niente di simile. È dannatamente ingegnoso.»

Allungò la mano per mostrarlo a Rhyme. Nel contenitore c’era quello che sembrava un classico guscio da termostato in plastica bianca, insieme ad altre parti – metalliche e di plastica – che non riconobbe.

Geffen lo girò. «Vedi quel foro? Un timer apre un piccolo rubinetto, dal quale esce un acido che corrode la tubatura. Circa dieci minuti dopo, questa parte...». Toccò una scatoletta grigia con sopra due elettrodi. «... dovrebbe generare una scintilla, accendendo gas e solvente, anch’esso molto infiammabile. L’intervallo di tempo è ben calcolato: abbastanza lungo da scatenare l’incendio, ma non troppo, per evitare che la stanza si saturi di gas e questo spinga fuori tutta l’aria.»

A volte, una stanza piena di gas può anche non esplodere: per la combustione serve l’ossigeno contenuto nell’aria.

«Ce ne occuperemo noi, Brad. Grazie.»

L’uomo si congedò e uscì dalla stanza con movimenti rigidi; colpa di uno IED esploso presso un consultorio per l’interruzione di gravidanza, durante le operazioni di messa in sicurezza. (Triste ironia, i fanatici responsabili dell’attentato avevano piazzato l’ordigno in mezzo a due edifici, senza sapere che quello a fianco era un asilo religioso. Se le strutture non fossero state evacuate, l’asilo avrebbe riportato molti più danni del consultorio.)

Cooper compilò il cartellino della catena di custodia e cominciò le analisi. Nessuna impronta, ma inviò dei tamponi al laboratorio per verificare la presenza di DNA. Prelevò quindi un campione dell’acido e lo passò al gascromatografo. Ci sarebbero voluti alcuni minuti per i risultati.

«È azionato da un timer digitale» spiegò mentre esaminava i componenti servendosi di pinzette e specillo. «La batteria dovrebbe durare circa due mesi.»

«Non sembra un congegno artigianale» osservò Rhyme.

«No, è assemblato professionalmente. Suppongo sia stato acquistato sul mercato nero delle armi.»

«Hai idea della provenienza?»

«Macché. Mai visto niente del genere.» Cooper lanciò un’occhiata al gascromatografo/spettrometro di massa. «Individuato l’acido per corrodere la tubatura. Be’, in effetti non si tratta di un acido. È triclorobenzene. Di solito le condutture del gas sono in polietilene, che resiste a gran parte degli acidi ma non ai derivati del benzene. E...»

«No, non può essere.» Rhyme stava fissando i diagrammi delle prove.

«Cosa, Lincoln?»

Un’ipotesi che sarebbe sembrata assurda, se non avessero scoperto il probabile coinvolgimento di Sosco 47 nella storia degli IED.

«Richiama Lon. E hai il numero di Edward Ackroyd?»

«Da qualche parte.»

«Trovalo. Lo voglio qui. Subito.»

«Certo.»

«Chiama Sachs» ordinò poi al proprio telefono.

Lei rispose poco dopo. «Rhyme.»

«Mi serve che analizzi un’altra scena. Be’, in realtà è una scena che hai già analizzato. Questa volta, però, dovrai cercare qualcos’altro.»

«Di che scena si tratta?»

«L’impianto geotermico. I pozzi di trivellazione.»

Proprio dove lei aveva rischiato di rimanere sepolta viva, come aveva dedotto nonostante il suo silenzio.

Sachs non fiatò.

C’erano un sacco di tecnici competenti per la raccolta prove, che potevano percorrere la griglia e avrebbero probabilmente trovato ciò che lui cercava. Ma nessuno era abile quanto Amelia. Voleva lei, e lei sola.

«Sachs?»

«Vado» rispose lei in tono piatto. «Dimmi cosa devo cercare.»