CAPITOLO 65

Carmella Romero diceva spesso, con tutta serietà, di essere una spia.

La cinquantottenne aveva condiviso l’informazione con i suoi quattro figli e undici nipoti. E il fondamento di quell’affermazione era che lavorava per il governo, come agente. Nel suo caso, però, il datore di lavoro non era la CIA né servizi segreti alla James Bond, bensì i vigili urbani di New York.

Due anni prima, quando l’ultima figlia aveva abbandonato il nido, la tarchiata donna dai capelli grigi – residente a Brooklyn da una vita – aveva deciso di trovarsi un lavoro. Fan di serie poliziesche come Blue Bloods, pensava che una carriera nelle forze dell’ordine fosse una gran bella cosa. E magari, un giorno, si sarebbe ritrovata Tom Selleck come commissario...

Data la sua età, però, diventare una vera poliziotta con tanto di pistola era fuori questione: il limite massimo per presentare domanda al NYPD erano i trentacinque anni. In compenso non c’erano limiti per il corpo dei vigili urbani. Inoltre si infuriava sempre quando il signor Prill, un vicino, parcheggiava dove diavolo gli pareva; davanti all’idrante, sul marciapiede, sulle strisce pedonali... E quando lo richiamava rispondeva pure in modo maleducato! Incredibile. La donna ne aveva abbastanza. Lui e quelli come lui non l’avrebbero più fatta franca.

Carmella Romero era inoltre dotata di senso dell’umorismo, dote che apprezzava anche negli altri. Amava i cartelli della municipale del tipo: LEVATI DALLA TESTA DI PARCHEGGIARE QUI. Come non desiderare di lavorare per un gruppo simile?

No, non era entrata nel mondo delle forze dell’ordine alla Blue Blood, ma adesso aveva la possibilità di fare qualcosa che si avvicinava all’operato di un vero poliziotto. Lei e gli altri vigili urbani, così come ogni dipendente comunale in quella parte di Brooklyn, erano stati arruolati per evacuare gli edifici ed entrare nei seminterrati di Vinegar Hill, dove avrebbero cercato piccoli dispositivi bianchi, simili a termostati e collegati alle condutture del gas.

Degli IED, ordigni esplosivi improvvisati. (Conosceva l’espressione grazie a un caso di cui si era occupato il figlio di Tom Selleck; non era il genere di informazioni contenute nelle circolari della Municipale.)

Quindi, Carmella Rosina Romero sarebbe stata artificiere per un giorno.

L’isolato che le era stato assegnato comprendeva palazzi di tre, quattro e cinque piani, tutti senza ascensore. Come tanti delle zone di Brooklyn meglio collegate a Manhattan, erano stipati di inquilini. E in quel caso si trattava di vecchie costruzioni. Oh, sei i padroni di casa erano ligi alle regole, dovevano aver fatto alcuni lavori di ristrutturazione per adeguarli alle normative, ma quegli edifici restavano comunque delle polveriere rispetto alle costruzioni più recenti.

Si stava avviando al primo edificio del suo «giro», all’angolo, quando rimase pietrificata. La terra stava tremando.

Cos’era? Il falso terremoto di cui lei e gli altri cittadini erano stati informati?

La sua radio crepitò. «Attenzione. A tutto il personale in servizio evacuazione: la scossa è stata confermata come detonazione di uno IED nei pressi di Cadman Plaza. L’operazione passa a livello critico. Avete dieci minuti prima dell’esplosione secondaria e l’incendio.»

Correndo sulle gambe massicce, i piedi all’infuori, Carmella raggiunse l’edificio all’angolo, intenzionata ad attaccarsi al citofono e ordinare l’evacuazione.

Problema: niente citofoni. Neanche un campanello alla porta. A quanto pareva dovevi avvisare in anticipo, se intendevi passare a trovare qualcuno. O forse ci si limitava a gridare che eri di sotto...

Urlò.

Nessuna risposta.

Pensa, donna. Pensa, agente! Ma che diavolo...?

Raccolse un ciottolo divelto dalla pavimentazione stradale, ruppe il vetro della porta e saltò indietro per schivare le schegge. Poi infilò il braccio all’interno, ruotò la maniglia e fece irruzione nel palazzo, gridando.

«Polizia. Emergenza gas, evacuare l’edificio!»

Ripeté l’allarme bussando a ogni porta.

Una in fondo al corridoio si aprì, e ne uscì un accigliato ispanico in T-shirt e jeans. Si dava il caso che fosse l’amministratore del palazzo. Lei lo informò del pericolo e, sgranando gli occhi, l’uomo le assicurò che avrebbe avvertito gli inquilini.

La radio crepitò di nuovo. «Agente Romero a rapporto. Passo.»

Con il cuore che le batteva forte – non era mai stata chiamata dalla centrale – rispose. «Qui Romero. Passo.»

«Sei su Front Street?»

«Affermativo. Passo.»

«A seguito dei controlli per l’evacuazione, la Furti e rapine di Brooklyn ha riferito di un’effrazione una settimana fa. 804 Front Street. Qualcuno con caschetto da operaio e gilet catarifrangente è stato visto usare un tronchese per entrare dalla finestra del seminterrato. Non mancava niente. Il profilo corrisponde con quello del sospettato. Pensiamo possa aver messo l’ordigno lì sotto.»

«È a tre porte da me!» Poi si ricordò del protocollo e aggiunse: «Ricevuto». Il tono distaccato non rendeva affatto i suoi pensieri.

Dios mío! Merda!

«La squadra artificieri è in arrivo, Romero. Cerca di far uscire quanta più gente possibile. Ti restano circa nove minuti. Tienilo a mente.»

In lontananza, le sirene cominciarono a urlare.

«Ricevuto. Passo e chiudo.»

Si mise a correre verso il palazzo, un vecchio edificio di quattro piani. Non era il più grande della strada, ma la struttura in legno lo rendeva uno dei più vulnerabili. Avrebbe preso fuoco come uno straccio zuppo di benzina. Le finestre erano tutte chiuse per via del freddo, ma alcune affacciate sulla strada erano illuminate.

Anche lì, niente citofono.

E il portone era di legno massiccio.

All’inferno.

Mancavano otto minuti.

Guardò le finestre del seminterrato, protette da grate di metallo e assicurate da robusti lucchetti.

«Uscite!» cominciò a urlare. «Perdita di gas! Uscite!»

Nessuno rispose. Raccolse un sasso e lo lanciò contro una finestra al primo piano, visto che anche quelle al pianterreno erano protette da grate. Centrò un vetro e lo mandò in frantumi, ma se dentro c’era qualcuno non se ne accorse, o scelse di non rispondere.

Adesso, però, sentiva la puzza del gas. Nessun dubbio: era quello l’obiettivo.

«Evacuate!»

Silenzio.

Guardandosi attorno, notò una fila di auto parcheggiate di fronte al palazzo. Alcuni erano veicoli modesti, ma c’erano anche una Lexus e altre belle macchine. E, se l’agente Carmella Romero conosceva qualcosa, erano le automobili. Andò alla Lexus e assestò una ginocchiata al paraurti, ammaccandone la lamiera. L’antifurto scattò all’istante.

Ignorò una Taurus e una Subaru, ma colpì una Mercedes e un’Infiniti. Gli allarmi presero a suonare con veemenza.

Si aprirono le prime finestre. All’ultimo piano del palazzo, una donna e due bambini guardavano di sotto.

«Uscite! C’è una perdita di gas!»

L’indossare una divisa la qualificò subito come «autorità al comando», e la donna scomparve alla svelta. Diverse altre persone apparvero alle finestre e Romero ripeté l’ordine, in inglese e spagnolo. Poi osservò la strada. Ancora niente artificieri, né altre forze dell’ordine.

Sei minuti.

Il portone si aprì e la gente uscì di corsa. La puzza di gas era molto forte. Tenne aperta la porta e li esortò a correre, continuando a urlare nell’androne in penombra: «Perdita di gas, perdita di gas! Evacuazione. Il palazzo sta per saltare in aria!».

Se anche solo tre quarti degli appartamenti erano occupati, nel palazzo dovevano essere rimaste almeno venti o trenta persone, a giudicare da quante ne erano uscite. Forse qualcuno dormiva, o era impossibilitato a uscire.

Non c’era modo di farli scappare tutti.

Un respiro profondo. Carmella Romero, l’immagine del commissario Selleck che le balenava in mente, corse alla porta del seminterrato e scese le traballanti scale con le sue tozze gambe sicure. La puzza di uova marce le fece arricciare il naso, un’ondata di nausea la assalì.

Il seminterrato era umido e buio, l’unica luce proveniva dalle finestre sbarrate, piccole e poste in alto. Era difficile vedere qualcosa, figurarsi un piccolo dispositivo su una conduttura del gas, probabilmente ben nascosto. Ma mai e poi mai avrebbe azionato un interruttore della luce.

Stiamo cercando bombe nei seminterrati. Diamine, potevano darci delle torce.

Restavano quattro o cinque minuti, calcolò.

Sembrava che il seminterrato fosse composto da tre locali, tre locali ampi. Quello in cui si trovava era adibito a magazzino. Un rapido esame rivelò in alto cavi e condotti fognari, ma niente che sembrasse una conduttura del gas. La seconda stanza era il locale caldaia. Dozzine di tubi, condutture e cavi. Lì la puzza di gas era più forte. Cominciò a sentire la testa leggera, come fosse sul punto di svenire. Corse a una finestra, fracassò il vetro con una gomitata, prese un respiro profondo e tornò al centro della stanza, cercando l’ordigno in mezzo al labirinto di tubi.

Guardò verso la caldaia dell’acqua, ma era elettrica. Poi individuò l’impianto di riscaldamento ad aria. Al momento era spento, ma ancora caldo. Doveva esserci una fiamma pilota, un qualche tipo di interruttore temporizzato. Anche se l’ordigno non fosse detonato, bastava che quell’unità si accendesse per dar fuoco al gas. Trovò e premette l’interruttore di emergenza.

Ancora una volta in preda alle vertigini, si calò sulle ginocchia. Il gas, più leggero dell’aria, stava salendo verso il soffitto; in basso c’era ancora un po’ di ossigeno. Carmella si riempì i polmoni, lottò contro l’impulso di vomitare e si rialzò. Individuò quindi la tubatura di alimentazione dell’impianto e lo seguì fino alla conduttura principale: un tubo di due centimetri e mezzo di diametro nel quale si innestava a T. In una direzione spariva nel muro di cemento, nell’altra continuava verso la terza stanza. Si precipitò lì e, dopo un veloce ragionamento, accese la torcia del telefono.

Nessuna esplosione.

Puntò il raggio sulla conduttura, che scompariva dietro a una dozzina di scatole e altri oggetti stipati lì dagli inquilini: tappeti arrotolati, sedie malandate, una scrivania...

Le restava un minuto.

Udì qualcuno chiamare dalla finestra aperta alle sue spalle. Ne ignorò la voce.

Non si tornava indietro.

Blue Bloods...

Fece scorrere la luce da destra a sinistra e... Eccola! Una scatoletta di plastica, fissata alla conduttura con il nastro adesivo. Sotto, da un foro largo circa un centimetro, il gas usciva sibilando.

Si lanciò in avanti, arrampicandosi sulla montagna di mobili e scatoloni. Non aveva un vero piano, a parte strappare via il congegno. E magari sputare sui fili, o tirare via la batteria, se ce n’era una. Quindi sarebbe corsa alla finestra e l’avrebbe scagliata fuori.

Mentre diversi volti le danzavano davanti agli occhi – il defunto marito, i due nipotini gemelli appena entrati in famiglia... – Carmella Romero strappò l’ordigno dalla conduttura e corse verso le scale.

Pochi secondi dopo, mentre lo guardava notando che non aveva interruttore, il dispositivo emise uno schiocco impercettibile e il lampo di una fiamma blu le riempì il campo visivo.