ALCUNI DEI ragazzi indossavano dei completi dopo le partite – sciccosi, alla moda, vistosi, con cravatte chiare e taglio sportivo – del genere che impressionavano allo stesso modo fanboy e fangirl, ma non Chris e Xander. Quando mettevano in borsa la roba per il dopo-partita, di solito prendevano su una bella camicia e dei pantaloni casual. A volte, se ne aveva appena comprato un paio di nuovi (dato che quasi tutti gli abiti di Xander andavano fatti su misura), Xander metteva dentro un paio di jeans, perché per lui era sempre una questione di comodità e i jeans erano la cosa migliore. Ricordava ancora i giorni dei jeans strappati e sporchi. Era importante.
Questo era ciò che Xander stava mettendo in borsa quella sera, quando Chris entrò con i due preservativi d’ordinanza. Erano sempre due: due preservativi, una botta. Una barriera più spessa fra loro e la cosa orribile che stavano facendo, un modo per fingere di non toccare un altro essere umano con la loro menzogna, un modo per far finta che ciò che stavano facendo non era vero tradimento. Due preservativi con il resto del mondo, ma nulla, mai nulla, fra loro due. Due preservativi per nascondere che sebbene potessero farselo alzare, venivano molto, molto raramente.
Xander guardò i due preservativi quella sera e disse: “Non credo di poter andare avanti così.”
Chris annuì, poi scosse la testa. I suoi occhi erano ancora rossi, anche dopo la doccia (non si facevano mai la doccia assieme, le vecchie abitudini erano dure a morire) perché era andato in pezzi assieme a Xander e, una volta che le cataratte si erano aperte, l’inondazione aveva dovuto seguire il suo corso.
“Dobbiamo,” bisbigliò Chris. “Dobbiamo farlo. Dice di volerci scambiare.”
Era assurdo, ed era vero. Xander stava giocando la stagione migliore della sua vita, secondo della lega per punti e rimbalzi, e Chris sarebbe andato all’All-Star con lui. I due tenevano il team su un ritmo da playoff, era innegabile, e quella volta sembrava che potessero superare il primo round, ma Wallick non li lasciava in pace. Aveva cominciato a chiamarli “Fro” e “Cio” sul campo, e la cosa aveva attecchito. Più di un coglione si era messo a fare il controcanto.
(Penny aveva detto in segreto a Christian che i suoi genitori avevano smesso di guardare il telegiornale e di accendere la radio la mattina. “Papà ha persino capito come usare un iPod e Netflix. È irreale!”)
Il cuore di Xander gli saltò in gola. Scambiarli? Oddio. Ciò che rendeva la bugia tollerabile, l’unica cosa che rendeva la bugia tollerabile, era il tornare a casa da Chris a fine serata.
Prese i preservativi da Chris con dita tremanti e Chris chiuse la mano intorno a quella di Xander in un gesto di conforto.
“I nostri contratti scadono a fine stagione,” disse a bassa voce, e Xander sollevò lo sguardo, spaventato. Si era offerto di mollare, di rivelare tutto, di urlare la verità al cielo e distruggere la menzogna. L’aveva quasi fatto senza Chris, quasi mille volte, ma non ne era stato capace. Era anche il sogno di Chris. Ma questo...
“Cos’hai in mente?”
Chris fece spallucce. “Pensionamento? Una conferenza stampa? Far dire a Leo che vogliamo continuare a giocare qui, ma che Bigottoman deve chiudere quella cazzo di bocca? Non lo so, Xan. So solo che...” Chris passò la mano fra i capelli tagliati corti. A Xander mancavano i suoi ricci, teneva i capelli cortissimi da quando era apparso ‘Bigottoman’. Una scusa in meno per la sua lingua acida. Una cosa in meno da cercare di ignorare. Una cosa in più da nascondere.
“Qualcosa?” chiese Xander, speranzoso. Avrebbero potuto parlare con Leo. Avrebbero potuto cambiare squadra, tenere la casa e giocare da qualche altra parte. Diamine, avrebbero potuto dichiararsi e lasciare che fosse l’NBA a scegliere. Qualcosa. Qualunque cosa. Qualunque cosa tranne due preservativi in tasca, ogni terza partita in casa del mese.
“Non facciamoci scambiare a metà sessione e poi, sì. Hai ragione. Qualcosa deve cambiare. Lo cambieremo. Te lo giuro.” Riprese fiato. “Dio, Xan, ti amo. Lo sai, vero? Lo sai... Voglio dire, non ce lo diciamo mai, perché per tutta la vita ci siamo stati solo noi. È come se dirlo fosse sciocco, ma...” Chris scosse di nuovo la testa e Xander allungò il braccio attraverso la distanza che li separava e se lo strinse al petto.
“Non è sciocco,” bisbigliò Xander. “Anch’io ti amo.”
“Devi mangiare di più,” borbottò Chris, punzecchiandogli il torace. “Ibuprofene e Tums non sono una buona colazione.”
“Pepto e un croissant,” ribatté Xander con dignità. “Ed è sempre meglio della vodka.”
Chris cercò di sorridere. “A volte c’è del succo di pomodoro, va bene per me, giusto?”
“No,” disse Xander, serio. “No.”
Chris si raggomitolò fra le sue braccia, un bambino in cerca di protezione. Xander si chiese come avessero fatto a essere più adulti a quindici anni che a ventotto.
XANDER KARCEK correva sul pavimento di legno lucido del campo di basket, flettendo i muscoli delle cosce, pompando coi bicipiti rigonfi, mentre il sudore dalle ciocche nere gli colava negli occhi. Il pallone rimbalzò contro le tavole di fronte a lui e di nuovo nel palmo della sua mano dalle dita tozze mentre palleggiava furiosamente, distaccando il nemico, nella posizione perfetta per fare punto...
OH, DIO, che partita! Xander e Chris: erano una poesia scritta nel sudore, un’orchestra di muscoli, tendini e ossa in movimento. La folla ruggiva come un oceano e il rombo dei loro piedi contro le tavole di legno e delle loro mani, le une contro le altre, faceva tremare persino l’aria nelle loro orecchie. Erano drogati dallo sport, accecati dalla magia che scorreva di giocatore in giocatore in giocatore.
Il punteggio era serrato; i Kings avevano avuto due punti di vantaggio per la maggior parte del gioco e poi, all’ultimo minuto, Xander fu spinto indietro dall’attaccante dei Blazers, cadendo sul culo e sentendo qualcosa di terribilmente doloroso spostarsi nel suo polso. Ma aveva la pressione alle stelle ed era già sotto antidolorifici, per cui si rimise in piedi prima che Chris potesse anche solo guardarlo due volte e tornò a sfrecciare sul campo, entrando dal basso e da dietro su William Skaarsgard e rubando la palla.
La folla esplose, il rumore così forte che Xander cominciò a udire ciò che stava sotto di esso, cosicché il sangue nelle sue orecchie, il suo respiro affannoso, la risata trionfale di Chris erano più forti del tifo mentre lui girava intorno a Skaarsgard ed effettuava un passaggio alto e curvo a Chris, prima ancora che chiunque si rendesse conto che aveva smesso di palleggiare. Chris ricevette, palleggiò e passò da dietro le spalle a Washington che attraversò il campo e... sbagliò il tiro.
Ma Chris era pronto e ce la fece, dopodiché la palla rimase nelle mani degli avversari per un secondo scarso mentre l’Oregon si preparava a recuperare i due punti persi.
Non riuscirono mai ad attraversare il campo. Xander disse alla stampa dopo la partita che gli era sembrato di allungare un braccio verso il cielo e afferrare un uccello in volo. Quelle parole riecheggiarono per una settimana, perché Xander avrebbe dovuto essere ‘stoico’ e non ‘poetico’, ma a lui non importava. Era quella la sensazione – incantata, magica, personale – e prima che l’altra squadra si rendesse conto di aver subito un capovolgimento, Xander era all’esterno della lunetta, da dove mise a segno un tiro in corsa da tre punti davanti a una folla entusiasta.
Un attimo prima della sirena.
La squadra lo circondò, dandogli pacche sulla schiena, scompigliandogli i capelli sudati, palpandogli il culo, e lui era di nuovo fra loro, in mezzo a loro, circondato da familiarità e luce e rumore gioioso. C’era anche Christian, anche se dopo l’abbraccio iniziale con il resto della squadra fece quello che faceva alle superiori – diede spettacolo, sollevò i pugni alzati al cielo, tirò indietro la testa e ruggì, saltò a un’altezza impossibile e gridò – e Xander non era solo, lontano, nascosto.
Era felice così come fra le braccia di Chris, solo che quella felicità era più rumorosa, più chiara, e più dura sui nervi. Persino Xander, nell’occhio del ciclone, sapeva che non era il genere di felicità che perdurava, ma ciò non significava che non fosse dolce.
L’atmosfera al bar della squadra era trionfale e le donne che erano riuscite a oltrepassare i buttafuori e i limiti della decenza sembravano raddoppiare ogni volta che Xander dava un’occhiata. Festeggiarono per un paio d’ore, parlarono coi loro compagni di squadra, rivissero i loro tiri e tutti brindarono a Xander e alla ‘magica-palla-uccello’ mentre il replay veniva mostrato di continuo sui monitor sopra di loro.
Alla fine le cose si calmarono, però: doveva succedere. Chris appoggiò una mano pesante sulla sua spalla e Xander sollevò lo sguardo su un capannello di ragazze che guardavano i giocatori non accoppiati con aria leggermente predatoria.
“Devo indovinare quale ti prenderai?” chiese cupamente Chris, al che Xander strinse gli occhi.
“Non lo so nemmeno io, quale mi prenderò,” disse, quasi ruggendo, e la mano di Chris si strinse e lui si chinò per parlare nell’orecchio di Xander senza farsi sentire.
“Mi fa più male quando mi assomigliano,” bisbigliò e Xander lo guardò con aria di accusa.
“Ti assomigliano tutte,” disse, chiedendosi se il tono fosse quello giusto. “Anche quando cerco di sceglierne altre.”
Dopodiché sospirò e si alzò, scuotendosi di dosso la mano di Chris e dirigendosi verso il bar a prendere una birra per sé e una da offrire. Stava tornando, guardandosi attorno alla ricerca di qualcuna che non sembrasse troppo un predatore, qualcuna che avesse l’aria di poterlo far ridere, quando per poco non inciampò su una donnina dai capelli scuri che stava scrivendo freneticamente un messaggio sul cellulare.
Lei sollevò lo sguardo, con una scusa sulle labbra, ma quando non riuscì a guardare Xander in faccia nemmeno piegando il collo, la sua bocca si spalancò letteralmente, mentre le sue mani non smisero mai di scrivere il messaggio.
Xander fu costretto a ridere. Abbassò lo sguardo su di lei e più in basso (molto più in basso) sul suo telefono e cominciò a ridere di nuovo. ‘ODDIO,’ lesse, ‘Xander Karcek mi ha appena buttata giù. È alto come un orco!’
“Ommerda!” La poveretta diventò rosa fino alla pallida radice del suo naso e Xander ebbe modo di darle una bella occhiata. Era, fondamentalmente, l’anti-Chris. Era piccola e femminile, con addosso una minigonna nera con pizzi e merletti e una camicetta bianca che assomigliava alla camicia di un pirata. I suoi capelli erano folti, dritti, lucidi e scuri, i suoi lineamenti vagamente asiatici e non stava ridendo o blaterando o provandoci senza scrupolo. Invece, si aggrappava al telefono, e probabilmente all’amica all’altro capo di esso, con un po’ di terrore negli occhi, guardando Xander con adorazione silenziosa.
Chris stava in silenzio molto raramente.
E a Xander lei già piaceva.
“Non sono davvero un orco,” la rassicurò sorridendo, al che lei annuì con enfasi. “Anche se,” aggiunse, guardandosi attorno come se quello che stava per dire non fosse appena stato pubblicato in qualche speciale riguardo alla cura fisica degli atleti, “se salto una ceretta, ci assomiglio.”
Era una cosa goffa e forse, se il suo viso non fosse stato visibile su dieci televisioni in quel bar, non avrebbe funzionato, ma lei scoppiò a ridere e lui seppe di averla in mano.
“L’ho visto,” confessò. “Sembra doloroso.”
Xander fece spallucce e ricorse al piano B sull’argomento, una frase inventata da Chris, naturalmente. “Beh, quando tuo padre era mezzo yeti...”
Lei ridacchiò ancora, poi guardò la birra che lui teneva in mano. “Beh, dunque, è di qualcuno quella?” Lo stava guardando speranzosa e lui sorrise, sentendo la rassegnazione scivolare lungo la spina dorsale fino alle palle.
“Ora sì.”
Audrey era simpatica e un po’ timida; aveva visto il replay e gli disse che si stava laureando in letteratura inglese e pensava che la poesia fosse bellissima.
Xander era arrossito per davvero. “Io sono laureato in storia,” disse, imbarazzato, e lei annuì come se lo avesse già saputo.
“Lo so!” disse, tutta eccitata. “Tutti si laureano in economia o computer o tecnologia. Ma sai quanto sono rari i giocatori di basket con lauree umanistiche?”
“Probabilmente non quanto pensi,” disse, credendo nella verità delle sue parole. Molti giocatori si erano goduti l’istruzione quanto lui. Per alcuni di essi, era stata un’opportunità che non avrebbero mai potuto sognare altrimenti.
Audrey scosse la testa. “Dovrei fare una statistica,” ammise. “Mi è appena venuto in mente che è interessante, no? Che la stampa ti chiami Cavernicolo, quando in realtà sei così istruito. È come se non ti conoscessero per niente!”
Oddio. Lei lo vedeva come una persona e all’improvviso Xander si convinse di non poterlo fare. Stava sorridendo e cercando il coraggio per dirle che era stato bello conoscerla, ma doveva svegliarsi presto, quando all’improvviso lei lo inchiodò con uno sguardo.
“Ehi, vuoi uscire?”
E lui si sentì in trappola, obbligato al sesso con lei come era stato obbligato a tutto quell’incontro, e i suoi occhi cercarono Chris nel bar. Chris annuì e sollevò due dita. Xander annuì a sua volta e Chris sollevò l’indice e il pollice, tenendoli perpendicolari a formare una grossa L. Xander rise come se il suo compare lo stesse rimproverando per il suo essere Lento, ma conosceva il codice. Il messaggio era ‘Lo spogliatoio’. Entrambi avevano le chiavi ed era un buon posto per incontrarsi.
“Abiti qui vicino?” le chiese con scioltezza, perché il suo dialogo silenzioso con Chris era durato meno di un secondo.
“Solo dieci minuti,” disse lei e Xander guardò Chris e fece una piccola X con le dita. Un’ora e mezzo al massimo, e poi se ne andò.
Lei abitava in realtà a meno di cinque minuti di distanza, anche se la strada sembrò più lunga perché andarono con la sua macchina. Era minuscola e Xander aveva l’impressione di avere le ginocchia all’altezza delle orecchie; Audrey rise e chiacchierò nervosamente per tutto il tempo. Raggiunsero l’appartamento e lui rimase un po’ sorpreso: era a circa un isolato di distanza dal primo che lui avesse mai avuto, quello del divano e del sacco dell’immondizia, e il cuore gli andò a finire nello stomaco, in gola e dietro gli occhi.
Batteva come un tamburo quando entrarono.
C’erano un divano nell’anticamera e un portatile sul tavolino da caffè al posto della televisione. C’erano pile di libri e una stampante con tanto di carta in un angolo, ma nessun tavolo dove metterli. Diede un’occhiata oltre a lei verso la camera da letto e vide che c’erano dei vestiti – non molti, ma abbastanza da dire che si era trasferita – e un armadio ma nessun letto.
Lei vide la direzione del suo sguardo e parve vergognarsi. “Spero che non ti dia fastidio. Sono appena andata via dalla casa dei miei e devo lavorare mentre studio, capisci?”
Xander annuì stordito. “In cosa ti specializzi?” chiese, prendendo tempo. C’era un paio di lampade in salotto e lui riuscì a dare un’occhiata migliore al suo viso rispetto a quando erano stati nel bar semibuio. Sembrava fin troppo giovane.
“Poesia,” pigolò lei, voltandosi verso di lui, e lui sorrise, pensando che sarebbe stata un’ottima specializzata – diamine, probabilmente un’ottima scrittrice – poi si guardò intorno di nuovo. Quando tornò a guardarla, lei stava scrivendo di nuovo un messaggio e lui fu costretto a ridere.
“Lo racconti alle tue amiche?”
Lei fece una smorfia e chiuse il telefono, poi lo spense. “Continuano a rompermi le palle, sai? Perché non l’ho ancora data a nessuno... Ho detto alla mia migliore amica che c’era Xander Karcek nel mio salotto e lei si è quasi cagata addosso. Non ci crederà domani mattina!” All’improvviso, Audrey parve imbarazzata. “Mi ha chiesto una foto, ma io non potevo mandargliela. Voglio dire. Sai. Lo so che sei qui solo per il sesso, ma è una cosa tra noi, no? Mi sembrava sbagliato dare in giro una tua foto, giusto?”
Xander la guardò impotente. Occristo. “Audrey, quanti anni hai?”
E ora quel rossore leggero e agitato la ricoprì completamente. “Diciannove. Sono maggiorenne, no? Beh” – sembrò una bambina colta sul fatto – “forse non ho i ventun anni per la birra. Sei stato gentile, a proposito. Grazie.”
“Di niente,” disse Xander; le parole gli riecheggiarono in testa mentre le diceva. Stava mettendo la mano in tasca per prendere il cellulare e chiamare un taxi, quando si rese conto che Audrey lo stava guardando con aspettativa.
“Allora, ehm, Xander? Cosa vuoi fare adesso?”
“Carte,” rispose con decisione Xander. “Hai per caso un mazzo di carte con te, dolcezza?”
Capì dalla sua confusione che non lo aveva, per cui la fece giocare al gioco dell’impiccato.
Alla fine, un’ora dopo, lui prese il suo telefono e avvolse il braccio intorno alle sue spalle strette, poi allontanò l’apparecchio e fece la foto. Sorridevano entrambi come cugini a una riunione di famiglia e lei parve imbarazzata mentre riprendeva il telefono.
“Allora, probabilmente pensi che sia stupida, vero?”
Xander scosse il capo con enfasi. “Penso che tu sia meravigliosa,” disse sincero. “Ma non penso che dovresti andare a raccattare degli uomini nei bar perché le tue amiche pensano che dovresti darla via. Trova qualcuno di meraviglioso come te e accertati che per prima cosa sia il tuo migliore amico, d’accordo?”
Audrey annuì e poi strinse gli occhi. “Parla quello che è appena andato a casa di una che ha rimorchiato!”
Xander sogghignò. “Dolcezza, trova quel famoso giovane e goditi il tuo tempo con lui. A volte, vivere per sempre felici e contenti è più difficile di quanto sembra.”
All’improvviso una manina gli sfiorò una guancia.
“Sai perché ti ho portato a casa?” disse lei, al che lui scosse la testa. “Perché sembravi molto, molto triste.”
Xander deglutì sonoramente e si alzò, lasciando che la mano di lei ricadesse. “Sei fin troppo sveglia per una diciannovenne,” disse piano, “e io devo andare. Manda quella foto alle tue amiche, d’accordo? Di’ loro quello che vuoi, ma tieni l’impiccato per poter dimostrare la verità se ne hai bisogno.”
Lei abbassò lo sguardo sui fogli di carta pieni di lettere scribacchiati e orrende figurine di bastoncini. Entrambi avevano cominciato con le parole più lunghe che conoscevano, cercando di disorientare l’altro, ma alla fine aveva vinto lei. Audrey passò il dito lungo la parola che aveva indovinato, “duplicità”, e sollevò lo sguardo su di lui con più comprensione di quanta Xander avrebbe voluto vedere.
“Di’ loro che hai scopato,” disse lui, burberamente. “Di’ loro di levarsi dalle palle, di’ loro quello che ti senti, ma non lasciare mai che ti facciano fare di nuovo un’idiozia come questa, va bene, Audrey?”
Audrey si alzò e gli buttò le braccia intorno alla vita in un abbraccio intenso. “Sei meraviglioso, Xander. Lo prometto.”
E poi lui se ne andò, camminando lungo la superstrada buia, perché lo stadio Arco e Chris distavano solo a un quarto d’ora di corsa leggera.
La notte era fredda e Xander si coprì collo e orecchie con il trench e la sciarpa, chiedendosi cupamente se la nebbia e l’umidità gli avrebbero fatto venire un raffreddore. Era probabile; sembrava molto più vulnerabile a cose del genere nel mezzo della stagione e aveva giocato così spesso da ammalato che Leo aveva smesso di avvertire i media. Non importava. Si mise i guanti e infilò le mani in tasca, godendosi l’odore della nebbia sotto i lampioni rosa al sodio e il rumore delle strade, mentre percorreva dall’appartamento di Audrey la stessa strada che lui e Chris facevano quando andavano a scuola.
Oltrepassò la scuola, che aveva un’aria solitaria nella sua isola notturna di luci pagate dal comune, e poi rischiò la vita (due volte!) nell’attraversare di fronte al sottopassaggio, perché da quelle parti doveva restarci secco qualcuno prima che rendessero i passaggi pedonali più sicuri.
Se Chris non fosse stato ad aspettarlo nello spogliatoio, Xander avrebbe anche potuto sperare di far parte di quella statistica, ma Chris era lì, per cui lui cercò di non pensarci.
Qualcosa aveva ceduto, qualcosa di importante nella loro piccola bolla di menzogne si era rotto, e Xander si rifiutava di andare avanti così. Forse non era in grado di sfidare gli dei e dichiararsi, ma non sarebbe mai più andato a casa con un’altra estranea e sperava che Chris fosse d’accordo su questo, perché non pensava di poter continuare a vedere Chris che faceva lo stesso.
In un modo o nell’altro, la sciarada sarebbe finita assieme alla stagione. Xander sperava che sarebbe finita con un titolo nelle sue tasche, ma a quel punto? Diamine, aveva l’impressione di aver fatto un po’ troppe cose improbabili. Non avrebbe chiesto altro a Dio, dannazione. Aveva sempre detto “Chris e il basket”. Beh, aveva il basket e ora tutto ciò che voleva era Chris.
L’ultima macchina di Chris (una cosa veloce, viola e senza abbastanza spazio per le gambe, questo era tutto ciò che ne sapeva Xander) era parcheggiata fuori dal piccolo spazio per gli allenamenti accanto allo stadio. C’era un’altra auto in mezzo alla nebbia, ma Xander non riusciva a vederla bene e pensò che dovesse appartenere a un addetto alla manutenzione, oppure che avesse la batteria a terra e chiunque dovesse venire a prenderla aspettasse il giorno e una migliore visibilità.
Non importava. Nello spogliatoio avrebbe fatto caldo e ci sarebbe stato un grosso frigo con dell’acqua, e Xander aveva sete.
Lo spogliatoio aveva un’aria sinistra quando lui entrò, illuminato com’era solo dalle luci di emergenza, e le mattonelle di un bianco immacolato riecheggiavano a ogni passo. Xander si diresse verso il frigo, chiamando “Chris?” a bassa voce mentre camminava.
“Sei in anticipo!” disse Chris, al che Xander seguì il suono della sua voce fino al punto in cui lui sedeva, con una gamba lunga stesa lungo la panca, la testa appoggiata al suo armadietto, con lo smartphone in mano. Probabilmente stava leggendo; condividevano un sacco di ebook, solitamente di fantascienza, che soddisfacevano gli interessi politici di Xander e la voglia di fantastico geek di Chris e davano a entrambi qualcosa di cui parlare.
“È facile arrivare in anticipo,” disse Xander, sedendosi e inghiottendo la sua acqua in un colpo solo. “Soprattutto quando non si fa niente.”
Chris lo fulminò con lo sguardo e Xander fece lo stesso.
“Era una bambina, Chris, e non ce l’ho fatta. Aveva diciannove anni, Gesù, non so nemmeno se noi lo siamo stati, così giovani.”
Chris gli si appoggiò contro, muovendosi lentamente, a suo agio, come, per dire, un uomo che era stato felicemente sposato per dieci anni. “Lo siamo stati,” disse piano. “Per certi versi, Xander, penso che tu lo sia ancora.”
Xander avvolse un braccio attorno al petto di Chris e sfregò la guancia contro quei capelli cortissimi. L’immobilità dello spogliatoio si assestò attorno a loro e lui pensò di udire l’eco del respiro di Chris contro la parete posteriore, e forse anche fuori, nella palestrina terribilmente buia dove si allenavano.
“Tu no?”
Chris grugnì. “No,” disse a bassa voce. “Non dopo quello che ci ho costretto a fare.”
Xander sentì un ruggito farsi strada nel suo petto e si ritrasse dalla loro posizione confortevole per spingere la spalla di Christian.
“Guardami,” gracchiò e usò la sua portata più lunga per prendere lo smartphone di Chris e metterselo in tasca.
Chris appoggiò la gamba sul pavimento e voltò le spalle, ma non riuscì a guardare Xander negli occhi, al che Xander gli prese il mento fra le dita e lo costrinse. I suoi occhi erano ancora grandi e scuri, ma da vicino erano cerchiati di rosso e gonfi. Xander deglutì. Oh, Christian. Anch’io avevo questo aspetto, ogni volta che ci siamo incontrati qui. Ogni volta che te ne sei andato con una ragazza e sei tornato a casa da me.
“È colpa di entrambi,” bisbigliò. “Quella prima sera, quello di cui avevi bisogno era che io prendessi il comando. Avevi bisogno che io dicessi ‘No’ e dicessi che sei mio di fronte a tutto il mondo, e fanculo a tutte quelle stronzate, siamo quelli che siamo. E io non l’ho fatto. Ti ho lasciato fare. Ho lasciato che questa... questa... cosa avesse inizio e ci fa male. Ci fa sempre più male ogni volta. E ora io dico ‘No’. Non possiamo continuare a vivere così. Non dobbiamo dichiararci, non dobbiamo mollare, ma non dobbiamo neppure mentire di nuovo in questa maniera, d’accordo?”
Chris lo guardò con una speranza nuda e cruda negli occhi e Xander avrebbe voluto piangere. Per quanto, Chris? Per quanto hai avuto bisogno che fossi io a prendere il controllo della situazione? Per quanto hai voluto che uno di noi guidasse la nostra piccola famiglia?
“D’accordo!” ripeté Xander, e questa volta Chris annuì e Xander si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.
“D’accordo,” mormorò Chris, e poi non riuscì a dire altro, perché Xander lo stava baciando, divorandolo, infilandogli la lingua in gola e assaggiandolo, proclamandolo come suo e diventando adulto, tutto in un unico bacio purificatore e magnifico…
Che fu interrotto quando tutte le luci dello spogliatoio si accesero.
“Froci di merda.”
Xander sollevò lo sguardo e prese la testa di Chris fra le mani, spingendo il suo viso contro il proprio petto per proteggerlo, ma non importava. Il coach sapeva riconoscere Chris anche della nuca. Xander lo guardò fisso, con aria di sfida, e l’uomo dalla lingua velenosa, lo stronzo che li aveva fatti a pezzi fino a quando non era rimasta solo la menzogna, sorrise soddisfatto.
“Grazie, ragazzi,” disse soddisfatto. “Mi aspetto quella telefonata per domani sera.” E poi si voltò e uscì dallo spogliatoio, lasciando Chris e Xander a fissarsi in preda allo shock.