Pigiama party

 

 

IL DOTTORE lo mise a riposo per due partite e, per un secondo scarso, il suo cuore si alleggerì. Una settimana! Niente basket per una settimana e sarebbe potuto andare in Colorado e stare in albergo e Christian avrebbe potuto tenerlo stretto mentre dormiva! (Banale, sì, ma aveva dormito così male, nonostante le medicine contro il dolore, da rendersi conto che sarebbe stata una gran rottura di coglioni mentre erano separati.)

E poi ricordò che Chris era partito per una trasferta di sei partite, sospirò e si trascinò verso il lettino, anche mentre il dottore gli bendava il piede e lo guardava male per tutto il tempo.

“Che diavolo ci hai fatto, comunque?” chiese Malloy e Xander si strinse nelle spalle.

“Ho fatto qualche tiro, poi l’ho appoggiato sul tavolino e ho guardato la partita.”

Malloy scosse la testa e grugnì come se non gli credesse (ma era la verità!) e andò a cercare delle stampelle. Incrociò Wallick, che stava entrando e disse: “Lo sai che questo non ti risparmierà di stare qui durante le partite!”

Per un momento Xander ebbe voglia di protestare, ma non lo fece. Gli piacevano i festeggiamenti prima delle partite; in particolare, adorava davvero firmare i palloni e fare qualche tiro con i ragazzi che i genitori avevano portato lì in anticipo. Non era certo di quando avesse iniziato ad amare il basket o di quando fosse diventato così importante, ma poteva solo immaginare che una volta, quando era all’asilo o in prima elementare, un qualche adulto aveva prestato attenzione a lui. La maggior parte dei genitori che portavano i loro bambini erano brave persone: davano da mangiare ai figli, li vestivano, li amavano, ma ciò non impediva a Xander di amare il pensiero che avrebbe potuto mettere il pallone in mano al prossimo Larry Bird, LeBron James, Valde Divac o Chris Webber. O Clifford Washington. O Christian Edwards.

O Xander Karcek.

Nell’ultimo caso non pareva un grande beneficio, ma in ogni caso non sarebbe sgattaiolato via dalla firma dei palloni.

“Lo so benissimo,” disse al coach. “Ci sarò.”

“Lo giuro su Dio, Karcek, se cerchi di infortunarti per rovinarmi la stagione, ti butterò fuori a calci io stesso.”

Xander lo guardò inorridito. Aveva pensato che avrebbero mantenuto un comportamento civile e che i pregiudizi di quello stronzo sarebbero rimasti in sordina, come lui e Christian avevano cercato di fare con la loro relazione. A quanto pareva, il pregiudizio era socialmente più accettabile.

“Perché non l’ha fatto?” chiese. “Perché non buttarci fuori entrambi?”

Wallick distolse lo sguardo, a disagio. “Ho promesso a questa città una vittoria,” disse.

Ma tu guarda!

“E allora perché mandare via Chris!” lo sfidò, pensando che fosse una buona cosa non avere in mano una palla in quel momento.

“Perché ciò che stavate facendo era sbagliato!” ringhiò Wallick e per un momento Xander pensò che fosse facile da mettere a posto.

“Mi dispiace, coach. Di solito, sa, non lo facciamo quando non siamo a ca…”

“Mi riferisco a voi due che scopate! È sbagliato e... lo giuro sulla mia chiesa, non so perché Dio abbia dato un dono come il vostro a una coppia di culattoni che sputano sullo sport!”

“Dio non mi ha dato da mangiare!” scattò Xander, senza sapere da dove venissero quelle parole, sapendo solo che non ricordava l’ultima volta che si era sentito così solo. “Dio non mi ha dato da mangiare, non mi ha vestito, non mi ha messo un tetto sopra la testa. Al suo Dio non importa niente di me! Ma a Chris sì, e anche alla sua famiglia. Se ho un dono è perché Chris non mi ha lasciato morire di fame per strada e i suoi non mi avrebbero lasciato morire in un buco. Per cui non mi chieda che me ne freghi del suo Dio. Adoro questo sport e questo pisciatoio intollerante di una città e giocherò con tutto il mio impegno per loro. Ma non mi parli di Dio. Lei ha mandato via Chris; fino a quando non verrà posto rimedio a ciò, non parleremo più del suo Dio, cazzo.”

Il coach Wallick si voltò di scatto, gli occhi stretti sullo sfondo del viso color farinata. “Questa è blasfemia, figliolo.”

“Beh, secondo quanto dice lei, anch’io.” Xander non urlò. Era un omone sgraziato, consapevole che il suo corpo aveva una certa imponenza e che lui non aveva bisogno di aggiungere nulla con la voce. Per cui sibilò, ringhiò, grugnì le parole e Wallick fece inconsciamente un passo indietro, la bocca aperta per rispondere.

Il dottor Malloy entrò in quel momento con un paio di stampelle e un sorriso sereno, quasi sornione, sul viso. “Ho dovuto prendere quelle extra-lunghe, Xander, fortunatamente, ne abbiamo parecchie in giro qui.”

Xander riuscì a fare un sorrisetto per lui e Malloy si voltò con un sorriso candido rivolto a Wallick. “Ehi, coach, ci dia un po’ di spazio. Deve provarle, d’accordo?”

Xander prese le stampelle e se le infilò sotto le braccia, provando ad appoggiare il peso e spostandolo avanti e indietro. Per un attimo, rimase fermo a giostrarsi, godendosi l’equilibrio e dondolandosi come un bambino, usando il piede buono per appoggiare il peso quando scendeva. Certo, sapeva per esperienza che la novità sarebbe svanita, ma per il momento? Avanti e indietro, avanti e indietro...

“Di cosa diamine stavate parlando?”

Xander per poco non mancò il dondolio in avanti rovinando per terra, il che sarebbe stato molto imbarazzante.

“Roba,” borbottò, senza guardare Malloy. Non aveva idea di cosa ne pensasse il doc dei diritti dei gay e non voleva davvero saperlo. Onestamente, era troppo chiedere che il mondo si facesse i cazzi propri riguardo alla persona con cui lui dormiva? Lo rendeva davvero un giocatore di basket migliore? O peggiore? Quello che era.

“Sì, beh, di qualunque roba si trattasse, spero che ti sia sfogato. Da quando ha trasferito Edwards, hai avuto l’aria di qualcuno a cui hanno rubato la ragazza e ammazzato il cane!”

Xander riuscì a fare una battutina e quando Malloy rise, si sentì come se avesse vinto una sorta di battaglia, perché di solito non era lui quello divertente.

“Sì, beh, se mi avessero ammazzato il cane, allora sì che sarei davvero agitato.”

 

 

P TARDI, quella sera, mentre guardava la sua squadra perdere, non rideva per niente.

Aveva iniziato la serata pieno di speranze.

Le famiglie in fila coi loro bambini in attesa di farsi firmare i palloni da minibasket erano deliziose, come sempre (anche se Xander continuava a udire Chris che faceva battute riguardo al giocare con le palle dei bambini, perché Chris riusciva a farlo senza suonare inquietante) e Xander era andato a parlare con un fan che era riuscito a non farlo sentire una merda per aver preso a calci una pietra ed essersi infortunato durante la stagione.

“Sembra qualcosa che mi è capitato mentre litigavo con mia moglie,” aveva detto il tizio facendo una smorfia. Era un uomo dall’aria benestante, con una barba che andava ingrigendosi e occhi blu chiari. Sua figlia – una cosina, precoce, dalla testa rossa – aveva gli stessi occhi e, dato che sedeva sulle spalle del papà, poteva fissare Xander con un fascino candido.

“I tuoi occhi sono belli, come i miei. Gli occhi di mio fratello sono del colore più bruttissimo. Sono marroni.”

Xander aveva guardato suo fratello, un ragazzo alto con capelli color sabbia pieni di ciuffi ribelli e un sorriso serio. “Mi piacciono gli occhi marroni,” aveva detto a bassa voce, pensando a Chris. Il ragazzino aveva dato a Xander il pallone da firmare, tenendolo in una mano che sembrava un ragno. Aveva sorriso con una bocca piena di vuoti fra i denti in crescita, gli occhi castani che brillavano, e Xander era stato colpito da un senso di nostalgia tanto forte che la penna gli era tremata in mano mentre firmava la palla.

“Volevamo farla firmare da Christian Edwards,” stava dicendo il papà. “Siamo rimasti molto delusi quando lo hanno scambiato.”

“Voi e io,” aveva replicato Xander, sentendosi vuoto e appariscente, come l’involucro di una caramella.

“Già, pensavamo davvero che questa squadra potesse farcela con voi due. Ora mi sa che è tutto sulle tue spalle, eh?”

Xander aveva fatto una smorfia. “No, ci sono altri quattro ragazzi in campo, che Chris sia fra loro o meno,” aveva detto. Era una cosa automatica, radicata in chiunque praticasse uno sport di squadra, riconoscere i meriti degli altri. Ma sentire la propria voce dire quelle parole gli aveva fatto capire che sì, le cose stavano davvero così. Per un momento aveva provato una scossa di gratificazione: il basket e Chris, giusto? Beh, aveva ancora il basket.

Aveva sorriso al padre e ai suoi bambini con tutto il cuore e aveva sollevato il ragazzo dalle braccia lunghe per schiacciare la palla (era stato facile, dato che i suoi arti lunghi sembravano fatti con le ossa di un uccello) e si era seduto a guardare la sua squadra giocare con un certo orgoglio.

E ora? Gesù, stavano buttando all’aria le sue speranze: e quelle di Doc Malloy, e di quella bella famiglia e di Chris, in nome del cielo, di tutti loro.

“Non tirare,” mormorò, mentre Wilson Aames, che di solito giocava in difesa, ma quella sera lo sostituiva in modo che la riserva potesse difendere, correva oltre i difensori dell’altra squadra per tentare il tiro. “Non tirare, non tirare, non tirare…” Wilson era due centimetri e mezzo più alto di Xander. Perché non capiva che Napoleon Burkins, il suo difensore, era in posizione migliore? Ma no, ecco la palla nell’aria. Napoleon, che aveva sollevato le mani quando si aspettava il passaggio, le abbassò quando vide il tiro e mancò il rimbalzo. “Dannazione, non dovevi tirare!” gridò Xander. Fece abbastanza rumore da far roteare a Wilson gli occhi nella sua direzione mentre stavano correndo lungo il campo per bloccare il nuovo tentativo dell’altra squadra di segnare.

Fallirono e il divario si ampliò a quasi venticinque punti, al che Xander lottò contro l’impulso di tirar fuori il telefono e messaggiare a Chris che mollava: avrebbe comprato a quei clown delle scarpe rosse e dei pantaloni a righe in modo che potessero intrattenere la folla in quel modo.

Perché la folla ora di sicuro non stava ridendo, no?

Ma Xander non urlava. Era noto per quello. Non urlava e non dava consigli. Entrava, faceva il suo lavoro, comandava tramite l’esempio e passava la palla più spesso che poteva, purché fosse d’aiuto alla squadra.

E quando Chris era al suo fianco, quello bastava. Con Chris a rallegrare tutti, a dir loro di tenere gli occhi aperti per il passaggio, palleggiare e passare di nuovo affinché Xander potesse trovare qualcun altro per tentare il tiro, beh, nessuno poteva batterli. Ma ora c’era solo Xander, che era a bordo campo a guardare cinque anni di lavoro buttati nel cesso e non riusciva a sopportarlo. Non quella sera. Non quando Chris lo aveva svegliato quella mattina con una telefonata per accertarsi che stesse bene, e perché Chris sapeva, spaccando il minuto, quando gli incubi di Xander si facevano peggiori.

Non quando dormire in quella grande casa senza Christian era come stare da soli in una scatola, solo più grande, più buia e più spaventosa di quanto fosse mai stata quando era bambino e non sapeva quanto aveva da perdere.

Wallick non era minimamente soddisfatto. E Xander sperava che a tutti facesse male il culo, perché il coach li aveva fatti a pezzi per cinque minuti durante l’intervallo prima di percorrere come un’ombra il tunnel fra lo spogliatoio e l’arena per parlare col suo assistente di chi avrebbe giocato il terzo quarto. Xander, che aveva odiato quell’uomo per principio e ora lo odiava in modo particolarmente personale, scoprì di odiare sul serio di essere d’accordo con lui. Avevano giocato di merda e che lui fosse dannato se si sarebbe buttata la squadra in spalla e li avrebbe trascinati lungo il campo dopo la guarigione, se loro non avessero almeno provato a levarsi di dosso qualche peso morto.

“Hai qualcosa da aggiungere, Karcek?” chiese Wilson, il sarcasmo smussato dalla stanchezza nella sua voce. Avevano dato loro una batosta sul campo e Xander sapeva come ci si sentiva.

“Passate la palla,” disse a bassa voce. “Lasciate che qualcun altro tiri al posto vostro. Sul serio, Wilson – Burkins, Oswald, Pollack – erano tutti liberi durante l’ultimo turnover. Ti avrebbero aiutato. Ma tutti si aspettavano che tu andassi a tirare e tu non volevi deluderli.”

Burkins grugnì. “Ma non è che la nostra percentuale sia migliore! Gesù, Xander, nessuno di noi tira bene come te. Solo tu e Dio avete quella percentuale, sai?”

Xander fece spallucce. “Ma questo è dovuto anche al fatto che non tento tiri che non posso realizzare, li passo a qualcun altro. E questo aiuta anche i loro punteggi. E, come si dice: si vince o si vince, giusto?”

Ci fu un sospiro, e un ronzio, e Xander li guardò tutti. Erano i suoi compagni di squadra e lui voleva loro bene. Non come a Chris, ma a chi altri ne voleva tanto?

“Ascoltate, ragazzi, avete sentito quella folla?” Tutti annuirono. “Cribbio, la maggior parte di loro non sono ricchi. Hanno rinunciato a una macchina migliore, a vestiti migliori, a fare dei lavori in casa o a chissà che altro per essere qui. Ci amano e hanno sacrificato qualcosa per vederci. È giusto che noi sacrifichiamo qualcosa per soddisfarli, no? Perciò cedete i tiri ai vostri compagni. Voglio dire... siamo sotto di trenta punti. Qualunque cosa è meglio di questo.”

Gli sarebbe piaciuto un sacco uscire con dignità dallo spogliatoio, ma era ancora sulle stampelle, per cui ne uscì come poteva. Si sentì sciocco, sciocco e idealista. Non si era mai aspettato che qualcuno lo seguisse, tranne che sul campo. E anche allora, lo seguivano solo perché lui riusciva ad attraversare il campo per primo.

Ma in quel momento aveva ragione lui. Se mai c’era stata prova del bisogno di una regola anti-pietà nello sport professionale, quella partita lo era.

Doveva aver avuto un qualche effetto, ammise, perché ci fu una notevole differenza nel secondo tempo. Non abbastanza da correggere un divario di trenta punti, ma abbastanza da rendere la partita meno imbarazzante, che era già qualcosa.

Xander seguì la partita di Chris sul telefonino mentre presenziava alla conferenza stampa assieme agli altri giocatori e vide che Denver era sul punto di vincere. Lasciò un messaggio di testo, “Meglio a te che a me,” prima di alzarsi e assumere l’aria ufficiale di chi avrebbe scortato la squadra fino allo spogliatoio.

La squadra passò molto tempo a dargli pacche sulla schiena e a ringraziarlo. Si sentì obbligato a trattenersi fino a che lo spogliatoio non si fu svuotato. Strano, sì, ma vero. Passò quel tempo a messaggiare con Chris, perché Denver aveva vinto e anche se non ci sarebbe stato del sesso post-partita, poteva almeno fare del messesso.

 

Xan@CE — Ben fatto, pezzo grosso – 28 pti, non male.

CE@Xan — Anche Cliff ha avuto una bella serata.

Xan@CE — Sì, ma Cliff non fa pompini per la vittoria.

CE@Xan — grr – e questa sera neanche io – come va il piede?

Xan@CE — Sembra una pinna di foca, fa male come se l’avesse morso una foca, masticando, e lo odio.

CE@Xan —ROTFL – beh, stai tranquillo, esca per foche – guarirai in fretta.

Xan@CE — Chiami di nuovo la mattina?

CE@Xan — Vuoi?

Xan@CE — Ti prego.

CE@Xan — Allora certo.

Xan@CE — Ho messo a posto il computer – possiamo fare quella roba in conferenza.

CE@Xan — Ottimo. Mi manca il tuo viso.

Xan@CE — A me manca tutto.

CE@Xan — Devo andare, amico. L’alcolismo mi attende. Ti amo.

Xan@CE — Anch’io ti amo.

 

Beh, non gli era venuto davvero un durello, ma pensò che sarebbe arrivato quando finalmente fosse andato a letto. Si era fatto aiutare da Leo con il dannato computer e il video e l’aveva messo di proposito sul comodino. Doveva abituarsi a dormire da solo in quel letto, o avrebbe dovuto abituarsi a non dormire per niente. In quel modo, avrebbe avuto un motivo per non addormentarsi sul divano. I brutti sogni sarebbero arrivati in ogni caso, ma a letto, perlomeno la mattina ci sarebbe stato Chris.

Xander sollevò lo sguardo dalla conversazione e si rese conto che lo spogliatoio si era in gran parte svuotato. Rimase sorpreso, e a disagio. L’ultima volta che era stato lì, con tutto quel silenzio, era stato quando lui e Chris erano stati beccati. Un bel ricordo e uno brutto, a quanto pareva, come buona parte dello sport. Con un sospiro, si tirò su sulle stampelle, mise il trench e la sciarpa, e si trascinò attraverso la stanza dietro alla maggior parte della squadra.

La macchina non era ancora arrivata, anche se l’aveva chiamata prima di messaggiare Chris, e lui attese appoggiato alle stampelle mentre gli ultimi giocatori salivano nei loro veicoli.

“Ehi, Xander, vuoi un passaggio fino al bar?” chiese Burkins e Xander dovette alzare le mani.

“Vado a casa a curare il piede,” disse tutto allegro. “Divertitevi!”

Aspettò con pazienza, guardando il parcheggio; era ancora illuminato dalle lampade al sodio, che coloravano la nebbia di gennaio di un rosa surreale, ed era difficile vedere qualcosa oltre quella coltre elettrica. Ma si sentiva benissimo.

“No, stronzo. Ti ho detto che è finita. Ho portato la mia roba via dall’appartamento questa mattina e tu non potrai più farmi del male, capito?”

Xander sbatté le palpebre. Conosceva quella voce. Si alzò e cominciò a muoversi verso l’angolo dell’edificio su cui dava lo spogliatoio femminile, cercando di capire quale delle ballerine in quel momento suonasse molto incazzata e per nulla addolorata.

“Ascolta, Mandy, se solo mi ascoltassi, giuro, non ti toccherò mai più così!”

“Hai ragione, cazzo, tu non... merda. Lasciami andare, Derek, Gesù, ahi!” Xander udì i rumori di una rissa, oltre a un sacco di “Dannazione, piantala, troia. Sto solo cercando di dirti qualcosa, cretina!” mentre trascinava il suo culo zoppo attorno a quell’angolo.

Non fu sorpreso di vedere Mandy (grazie, ex stronzo, per quel nome, lui se lo sarebbe dimenticato!) lottare con un uomo robusto e tracagnotto con un miscuglio di lineamenti etnici – pelle leggermente scura, occhi blu, zigomi alti, mascella squadrata – di cui Xander poteva vedere l’attrattiva. Quel tizio doveva essere molto carino prima di aprire la bocca e parlare.

E proprio in quel momento teneva il braccio di Mandy piegato dietro la schiena di lei e lo strattonava brutalmente ogni volta che lei gridava (ovvero spesso, forza Mandy!) e Xander non pensò molto nei due secondi successivi. Nessuno dei due lo aveva sentito arrivare alle loro spalle, per cui il tizio non si voltò neppure quando Xander sollevò la stampella e la abbatté con forza misurata sulla nuca di Derek.

Rovinò per terra come un sacco di patate e Mandy si voltò di scatto, ansimando, per vedere ciò che era successo al tizio che le stava praticamente rompendo il braccio.

“Gesù,” disse, scuotendo il braccio e la mano con palese sofferenza. “Xander Karcek? Lo hai... beh... lo hai ucciso?”

Derek si mosse per terra e gemette un poco, al che Mandy gli diede un calcio nelle costole, con tanto di tacco a spillo.

“Andiamo,” disse con decisione. “Giriamo l’angolo prima che si riprenda. Sarebbe meglio per tutti se non sapesse mai chi gli ha appena provocato un bel bernoccolo, d’accordo?”

Xander annuì e girò i tacchi, seguendo la ragazza mentre i tacchi di lei rumoreggiavano attraverso la nebbia nella direzione da cui lui era venuto.

Quando arrivarono, la macchina di Xander li aspettava e Xander si voltò verso la ragazza per accertarsi che stesse bene. “Ehm, Mandy? Ti serve un passaggio da qualche parte?”

Lei annuì, cominciando a tremare all’improvviso, e lui si rese conto che era la persona più sconsolata che avesse mai visto. I suoi occhi erano neri per il mascara – le ragazze si erano truccate pesantemente per l’ultimo numero – che in quel momento stava colando lungo le sue guance. L’extension a coda di cavallo stava venendo via e a metà lunghezza, dove pendeva da un intreccio di capelli veri che l’avevano tenuta fissa, era un macello di fermagli e ciocche vagabonde. Il suo cappotto era strappato e lei si massaggiava con intensità la spalla, come se qualcosa non fosse tornato a posto.

Ma quando Xander glielo chiese, lei scosse la testa e si morse il labbro. “Io…” cominciò a dire, dopodiché la reazione a quanto era accaduto arrivò e il suo labbro inferiore cominciò a tremare in maniera allarmante, poi il suo viso perse ogni compostezza e si contrasse come un quadro sotto la pioggia.

Xander non sapeva assolutamente cosa fare. Non sapeva nulla delle donne, tranne che avevano un buon odore e che lui ammirava quelle carine, ma non glielo facevano venire duro né gli acceleravano il respiro o gli facevano qualche altro effetto. Ma pensò a ciò che avrebbe fatto per Penny se si fosse trovata in una situazione del genere e mise una delle stampelle sotto l’altro braccio, poi tese una mano alla cucciola che, tutto sommato, aveva combattuto bene.

Di colpo lei lo abbracciò e iniziò a piangere, e anche se lui capiva solo una parola su sette, le quattro che riuscì a distinguere erano: “Non so dove andaaaaaareeeeeee!!!” e lui sospirò. Beh, perché no? Ci sarebbe stata Penny, che avrebbe potuto aiutare Mandy a sistemarsi in una delle stanze degli ospiti. Dopotutto ne avevano, quante, dieci?

L’autista era uscito e teneva la portiera aperta con aria sollecita, e Xander disse: “Ehm, Mandy? Ehi, vuoi venire a stare da noi? Abbiamo spazio.”

“Chi siete ‘voi’?” chiese Mandy, la voce attutita dal petto di lui, e Xander disse: “Io e Chris,” senza pensarci. Lei non disse nulla, però, mentre salivano in macchina. Tim – che era il loro autista per la maggior parte delle sere, perché aveva firmato l’accordo sulla segretezza ed era un bravo ragazzo con una moglie e un figlio e adorava lo sport – prese una coperta dal bagagliaio e la avvolse intorno alla ragazza mentre lei continuava a stringersi al calore di Xander. Xander sospirò. Dio. Una ragazza. Tutte quelle orribili sere in cui aveva dormito con delle estranee come se fosse stato una spiacevole necessità lavorativa, e ora una ragazza sarebbe rimasta da lui perché Xander aveva dato al suo ragazzo una botta in testa. Il mondo era più che bizzarro: era fottutamente assurdo.

Penny era sveglia quando lui arrivò a casa e i cani accanto a lei (non sarebbero dovuti stare sul divano) si alzarono per andare ad annusare la nuova arrivata. Mandy diede un’occhiata al grosso cane venuto ad annusarle l’inguine (e a quello dietro, venuto a fare lo stesso da un’angolazione leggermente diversa) e lanciò un piccolo strillo, dopodiché indietreggiò in fretta contro il banco che separava la cucina dal salotto. Rimase lì, vacillante nella minigonna e nel tubino del costume, sotto un enorme parka lungo fino al ginocchio, e guardò i due cani incuriositi con occhi grandi e truccati pesantemente.

Penny, in jeans e felpa, la guardò, e il suo naso non incipriato si arricciò. “Ehm, Xander? C’è qualcosa che non ci hai detto?”

Xander fece spallucce. “Mandy, questa è Penny. È la sorella di Chris e vive qui. Penny, questa è Mandy. Ho appena preso quello stronzo del suo ex-ragazzo a mazzate con la mia stampella, fino a farlo svenire. Inoltre, lei,” aggiunse, guardando i due cani che ora sedevano con le lingue a penzoloni, guardando con gioia il loro giocattolo nuovo, “ha paura dei cani.”

“Oh,” disse cautamente Penny. “Dove pensi che dormirà?”

Xander si strinse nelle spalle. “In una delle stanze per gli ospiti grandi nell’altra ala. Ma speravo che tu avessi delle tute o qualcosa di simile da prestarle. Abbiamo della roba col logo, ma è tutta della taglia di Chris.”

“Non importa,” balbettò Mandy, al che Xander fece una smorfia. Era davvero spaventata e lui non sapeva davvero cosa fare con lei. “No me importa, no, che i vestiti sono grandi, sì?” Mandy aveva dei bei lineamenti latini, con gli zigomi alti e il naso e il mento sottili. Lo stress della serata stava palesemente riesumando il suo accento e Xander sospirò.

“Max! Merk! Qui, belli. Di sopra, va bene?” I cani lo guardarono con riluttanza, ma Xander infilò una mano nella scatola di biscotti che tenevano pronta sul banco e loro si alzarono di scatto. Xander si trascinò fino alle scale e cominciò a fare i gradini uno alla volta, con i cani alle calcagna, e dietro di sé udì Penny che calmava Mandy dal banco.

I cani avevano un grosso cuscino imbottito anche nella stanza di Xander e Chris; Xander buttò i biscotti sul letto e li guardò mentre si mettevano comodi.

“Siete fieri di voi stessi?” chiese retoricamente. “Avete spaventato quella povera cheerleader maltrattata. Sul serio, se foste più feroci, la gente mi piscerebbe in cucina. È disgustoso: dovreste sentire quell’odore per anni.”

Max, il cane dalle ossa lunghe con le grandi orecchie a sventola, lo guardò con aria meditabonda, e Mercury sfoderò un sorriso canino e parcheggiò il mento sopra la testa di Max. Nessuno dei due pareva particolarmente mortificato e Xander sospirò mentre si toglieva i pantaloni e la giacca e cominciava a frugare in cerca di tute.

Si stava infilando una maglia sopra la testa quando qualcuno bussò alla porta, un attimo prima di aprirla. Guardò Penny con aria di rimprovero.

“Avrei potuto essere nudo!”

“Che avrebbe messo a disagio più te che me,” disse lei amabilmente. “Ho sistemato la tua cheerleader con uno spuntino e una televisione, e uno di quegli enormi leoni imbottiti che vi hanno dato quest’anno e credo che starà tranquilla. Hai rotto la testa al suo ragazzo con la stampella?”

Xander fece spallucce e appoggiò le stampelle accanto al letto prima di lasciar cadere il suo culo sulle coperte. Grugnendo, si contorse alla ricerca del telecomando per guardare il maxischermo sul muro. Sì, sì, a volte la fama e il denaro avevano i loro vantaggi. Li avrebbe dati via tutti, compresi i cani, per avere Chris nel letto in quel momento, e non era un’iperbole. Diamine, non era neppure una rinuncia. (Va bene, perdere i cani gli sarebbe dispiaciuto, ma non quanto perdere Chris.)

“Stava facendo il violento e lei gli resisteva. Non mi ha visto.” Ci pensò un attimo e arrossì. “Il che mi rende un grosso stronzo vigliacco, credo. Ma Mandy era ansiosa di portarmi via. Credo che uno stronzo manesco che picchia la sua ragazza di quarantacinque chili potrebbe cercare di portarmi via tutto in tribunale.” Xander fece spallucce e sospirò. “Per fortuna non valgo molto, eh?”

Xander non era preparato al cuscino in faccia.

“Ahia, Penny, cazzo! Per che cos’era?”

“A mio fratello si sta spezzando il cuore per te, quindi zitto!” scattò, e Xander buttò la testa all’indietro sul cuscino e diede dei colpetti accanto a sé sul letto.

“No,” disse lei tirando su col naso. “Sono ancora arrabbiata con te.”

“Tuo fratello se la sta cavando meglio di me,” le disse lui, sincero. “Ha portato Denver alla vittoria stasera, l’hai visto, no?”

“Cliff ha portato Denver alla vittoria. Chris era da quelle parti.”

“È una dannata bugia: Cliff è bravo così solo quando gioca con tuo fratello. Vedi? Tutti dicono che il merito è mio, ma penso che siate tutti fuori di testa. È suo.” Oddio. Lo era. Chris era quello dorato. Xander era solo il Cavernicolo. Grosso, mastodontico, silenzioso, tranne quando prendeva gli stronzi a stampellate sulla testa, ovviamente.

“Che è successo a metà partita?”

“Non lo so. Il coach ha fatto il culo quadro a tutti. Si sono stufati di sedercisi sopra e hanno ricordato come si fa a correre.”

Penny grugnì un’altra volta. “È cominciato tutto da te, sai? ‘Dannazione, non avresti dovuto tirare’? Ti ricorda qualcosa?”

Xander arrossì. “Sono un coglione. È per questo che non parlo, dovrei scoreggiare invece.”

Questa volta Penny gli tirò un affare di vetro che Chris aveva comprato quell’estate durante una gita a Vancouver. Xander schivò con grazia e lo afferrò, guardandola oltraggiato.

“Penny!”

“Cresci, Xander. Cresci e ti garantisco che la tua preziosa squadra vincerà e tu e Chris potrete uscire allo scoperto e il mondo bacerà i vostri maledetti piedi omo.”

Xander agitò le dita dei piedi nudi, tranne quello neroblu, che era ancora fasciato. “Sono diversi dai piedi etero?” chiese. “Perché per quanto ne so, ho solo un dito diverso.”

Penny non sorrise neppure. “Già, Xander. Sei gay fino alle dita dei piedi, d’accordo? E l’unica cosa sbagliata in tutto ciò è che tu e Chris l’avete tenuto nascosto così a lungo che ve lo siete praticamente dimenticato. Per voi, è solo” – agitò le mani in aria per un momento – “‘noi’. Tu dici ‘io e Chris’ e Chris dice ‘Xan e io’, e persino mamma e papà e io ce ne dimentichiamo. E noi lo sappiamo e vi vogliamo bene, ma non avete mai dovuto dirlo al resto del mondo. Pensate che forse ve la cavereste meglio se il mondo intero vi sapesse sposati e non fosse solo una roba coi tatuaggi?”

Xander la guardò, stanco fino alle ossa. Faceva l’avvocato per la difesa dei diritti umani, molto giovane, vero, ma Dio. La sorellina di Chris ora aveva una laurea in Legge e una testardaggine grande come una casa, e somigliava tanto a sua madre da far gonfiare il petto a Xander solo guardandola. Ma lui non poteva farci nulla adesso. Sapeva cosa lei voleva e farlo adesso li avrebbe fottuti. Dio… Dio. Chris e il basket. Era tutto ciò che aveva sempre voluto. Da quando fare dichiarazioni politiche era diventato necessario per crescere?

Non era in grado di rispondere. In effetti, ora era in grado di controllare una sola cosa.

“Penny, il piede mi fa male come... come... come se non avessi neppure parole per descriverlo. E mio marito non è qui per baciarlo e farlo stare meglio. Certo. Mi piacerebbe molto cambiare il mondo, ma ora mi prenderò un cazzo di antidolorifico e troverò un vecchio film da vedere. Cosa ne pensi?”

“Un giorno dovrai occupartene, lo sai, vero?”

“Sì, ma per adesso, potresti portarmi dell’acqua?”

“Hai mangiato?”

Xander grugnì. “Non ho fame.”

“Peccato. So che vuoi solo strafarti di antidolorifici, ma ti darò da mangiare lo stesso. Torno subito.”

Non era giusto! Voleva gli antidolorifici perché il piede gli faceva male, cazzo! E poi… Aveva imparato la sera prima che qualunque cosa gli desse Malloy poteva stordirlo, ma non lo faceva dormire, e se non lo faceva dormire non era granché, giusto?

Non importava. Penny gli fece mangiare un sandwich con un gran bicchiere di latte e una pillola abbastanza grande da soffocare un cavallo, e rimasero alzati a guardare V per Vendetta. Xander rifletté sul mondo dipinto in quel film; lui sarebbe stato fregato due volte perché non solo era due metri e cinque, ma pure frocio? In ogni caso, non avrebbe giocato a basket, quello era certo. Comunque, quella battuta gli rimase in mente. Per tre anni ho avuto le rose.

Lui e Chris avevano avuto le rose per quasi dodici anni. Le avrebbero avute di nuovo. Il mondo non era ancora buio come in quel film. Non ancora.