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Setrákus Ra mi ha fatta rinchiudere in una stanza fredda e senza finestre. Immagino che sia finito il tempo delle cene disgustose e delle conversazioni raffinate. La stanza è così piccola che, se mi piazzo al centro e allargo le braccia, riesco quasi a toccare entrambe le pareti. Al centro del soffitto c’è una piccola struttura convessa: scommetto che è una telecamera. Contro una parete è appoggiata una piccola scrivania di metallo, con una sedia che sembra progettata appositamente per essere scomoda. Sulla scrivania c’è una copia del Grande libro del progresso mogadorian.

Dovrei starmene qui a studiare le grandi imprese di mio nonno. Leggere tre capitoli e passare almeno venti minuti a riflettere profondamente su ciascuno.

No, grazie.

Non so se è la stessa copia che ho usato per colpire quella Mogadorian il mio primo giorno di permanenza in questo posto. Ce ne sono tanti di libri così, a bordo dell’Anubis. Si direbbe che i Mog non leggano altro. Ma questa copia è incatenata alla scrivania, per assicurarsi che io non la trasformi in un’arma.

Invece di studiare, mi appoggio alla parete più lontana dalla scrivania e aspetto che i Mog esauriscano la pazienza. Cerco d’ignorare il prurito dell’incantesimo mog che porto inciso a fuoco sulla caviglia. Se mi stanno osservando – e mi osservano sempre, ne sono quasi sicura – non voglio che mi vedano a disagio.

E di sicuro non voglio che sappiano quanto mi disgusta l’idea di essere connessa a Setrákus Ra. I Mog odiano i Loric, ma farebbero di tutto per compiacere il loro Benevolo Condottiero, che prima era uno di noi. Stando a ciò che mi ha detto a cena, Setrákus Ra si è trasformato in una mostruosa specie ibrida grazie alle potenti Eredità di un Antenato e ai ritrovati tecnologici dei Mog. Ma è difficile distinguere realtà e menzogna, con lui. Qualsiasi cosa sia ora – Loric, Mog o una via di mezzo – Setrákus Ra ha impiegato secoli a convincere i Mog a considerarlo un salvatore. Un dio. A loro non importa più nulla delle sue origini. E, anche se alcuni dei soldati a bordo dell’Anubis mi guardano storto, per la maggior parte di loro sono allo stesso livello di Setrákus Ra.

Sono la nipote di un re autoproclamato. E finora questa circostanza mi ha tenuta in vita.

Come se essere imparentati non fosse abbastanza, ora siamo legati anche dalla sua versione di un incantesimo loric. Ricordo che mi ero sentita esclusa quando avevo scoperto che tutti gli altri Garde erano collegati nello stesso modo, che tutti erano stati un tempo protetti dalla stessa forza. Volevo fare parte di quel gruppo. Ora ho due larghe strisce di tessuto cicatriziale intorno alla caviglia.

Sta’ attenta a quello che desideri, Ella.

Sono immersa nei pensieri, cerco di farmi venire in mente un modo per scoprire di cosa è capace l’incantesimo, senza farmi del male, quando sento un rumore che somiglia moltissimo a un allarme antincendio. All’inizio è un trillo sommesso, ma pochi istanti dopo cresce di volume fino a invadermi i pensieri. Mi copro le orecchie, ma il frastuono aumenta ancora. Entra dalle pareti, da tutte le direzioni.

«Spegnetelo!» grido.

Per tutta risposta, il volume aumenta.

Sta per scoppiarmi la testa. Mi allontano barcollando dalla parete, e immediatamente il rumore cala da uno strillo assordante a un fischio intenso. Quando faccio un altro passo verso il Grande Libro, il volume si abbassa un altro po’. Ora ho capito. Quando finalmente apro il libro, il suono si riduce a un fastidioso ronzio.

Dunque è così che Setrákus Ra intende «istruirmi»: facendo sì che io possa trovare pace, letteralmente, solo tra le pagine della sua opera.

Forse dovrei sfruttare questa occasione. Nel noiosissimo libro potrebbero esserci informazioni preziose da usare contro Setrákus Ra. Non mi nuocerà sfogliarlo. Tanto non crederò mai a quelle bugie.

Quando inizio a leggere la prima pagina, il rumore cessa del tutto. Controvoglia, perché la cosa m’irrita, faccio un piccolo sospiro di sollievo.

 

Non c’è trionfo più grande, per una specie, che assumersi la responsabilità del proprio destino genetico. È per questo motivo che la razza mogadorian dev’essere considerata la forma di vita più elevata dell’universo.

 

Non mi capacito che vada avanti così per cinquecento pagine, e che sia una lettura obbligatoria per un’intera specie. Non troverò niente di utile qui dentro.

Non appena distolgo gli occhi dalla pagina sento di nuovo l’odioso ronzio, più intenso di prima. Stringo i denti e torno a guardare il libro, scorrendo un altro paio di frasi finché non mi viene un’idea. Afferro per il lato superiore le prime trenta pagine e le strappo dalla rilegatura.

Il frastuono nelle orecchie si fa insopportabile, mi vengono le lacrime agli occhi, ma mi costringo a proseguire. Alzo le pagine per farle vedere ai Mogadorian e le strappo a metà. Poi in quarti, e sempre più piccole finché non mi ritrovo con un mucchietto di coriandoli, che lancio in aria.

«E ora come faccio a leggerlo?» grido.

La sirena continua a suonare per un altro paio di minuti. Iniziano a farmi male il collo e la schiena per il modo in cui mi s’incurvano le spalle, come se volessero coprirmi le orecchie. Continuo a strappare le pagine dal libro. Non sento neppure il rumore della carta strappata.

E poi, all’improvviso, il rumore cessa. Le ossa del viso, i denti... mi fa male tutto. Ma ho vinto io, e il silenzio in quella stanzetta scomoda è la cosa più bella che abbia mai sentito.

La mia ricompensa è un paio d’ore di solitudine. Più o meno: non ho modo di valutare con precisione lo scorrere del tempo. Siedo sul bordo della sedia scomoda, poso la testa sulla scrivania e cerco di fare un sonnellino. I pensieri mi rintronano in testa a volume più alto del dovuto, e il ronzio nelle orecchie non mi lascia dormire. Oltre alla sensazione di essere osservata.

Quando riapro gli occhi ho l’impressione che la stanza si sia ulteriormente ristretta. So che è soltanto la mia immaginazione, ma inizio a spaventarmi un po’.

La caviglia mi prude da morire. Sollevo l’orlo dello scuro abito mogadorian – uno nuovo, non quello che Setrákus Ra ha bruciato – e osservo la cicatrice sulla gamba. Sto fallendo nell’impresa di non dare a vedere il fastidio, ma non ce la faccio più. Mi gratto la caviglia, con un sospiro. Premo la mano sulla cicatrice ed esprimo il desiderio che sia sparita quando toglierò la mano. Ovviamente c’è ancora, ma almeno il sudore della mano dà un po’ di sollievo alla pelle ustionata.

D’un tratto mi viene un’idea. E se usassi il mio Aeternum per ringiovanirmi? La pelle sulla caviglia tornerebbe intatta?

Decido di provarci. Chiudo gli occhi e visualizzo il mio aspetto di due anni fa. La sensazione di rimpicciolirmi somiglia a quella di espirare dopo avere trattenuto il fiato. Almeno stavolta, quando riapro gli occhi, la stanza sembra essersi ingrandita.

Mi guardo. Sono più bassa di qualche centimetro, più magra, i muscoli che avevo iniziato a sviluppare negli ultimi mesi sono spariti. Eppure il simbolo mogadorian dai contorni irregolari è ancora sulla gamba, arrossato e dolente come prima.

«L’Aeternum. Abbiamo questo in comune.» È Setrákus Ra, ed è sulla soglia della mia stanzetta. Ancora con quell’odiosa e fasulla forma umana. Mi osserva con un sorriso distratto, appoggiandosi alla porta a braccia conserte.

«È inutile», ribatto in tono aspro, coprendomi la caviglia. Chiudo gli occhi e assumo di nuovo la mia vera età. «Ecco cosa ottengo per essere tua parente. L’Eredità più stupida del mondo.»

«Non la penserai così quando avrai la mia età», afferma Setrákus, ignorando il mio insulto. «Sarai giovane e bella per sempre, se lo desideri. I tuoi sudditi ti ammireranno vedendoti radiosa e senza età.»

«Non ho sudditi.»

«Non ancora, ma presto ne avrai.»

So esattamente su chi Setrákus Ra vuole che io regni, ma mi rifiuto di ammetterlo. Sono pentita di avere usato l’Aeternum: ora sa qualcos’altro sul mio conto, ha un’altra arma per cercare un terreno comune con me, come se fossimo uguali.

«L’incantesimo ti dà fastidio?» chiede in tono gentile.

«Non è niente, non lo sento neppure», rispondo.

«L’irritazione dovrebbe passare in un giorno o due.» Setrákus si sofferma a riflettere con una mano sul mento. «So che fa male, Ella. Ma col tempo imparerai ad apprezzare le lezioni che stai imparando. Mi ringrazierai per la mia benevolenza.»

Gli scocco un’occhiataccia. «Vorresti... proteggermi, con questa cosa? È a questo che serve?»

«Non voglio che ti accada nulla di brutto, bambina.»

«Questo incantesimo funziona come quello che avevano i Garde?» Faccio un passo verso di lui e verso la porta. «Se fuggo da qui e uno dei tuoi servi cerca di fermarmi, tutto il male che mi fa si rifletterà su di lui?»

«No. Il nostro incantesimo non funziona così», risponde Setrákus, in tono paziente. «E sarei io a fermarti, nipote. Non uno dei miei servi

Faccio un altro passo verso di lui, chiedendomi se indietreggerà. Non si muove. «Se mi avvicino troppo, l’incantesimo si spezzerà?»

Setrákus Ra resta immobile. «Come ogni incantesimo funziona in modo diverso, così ciascuno ha un punto debole tutto suo. Se soltanto io avessi scoperto prima che radunare i Garde avrebbe spezzato il codardo incantesimo degli Antenati, li avrei già annientati.» Tocca i tre ciondoli loric che gli luccicano al collo. «Ma devo ammettere che è stato divertente dare loro la caccia.»

Faccio del mio meglio per sembrare disinvolta e sincera. «Non dovrei sapere qual è questo punto debole? Non voglio spezzare per errore il nostro legame, nonno.»

Setrákus Ra mi sorride. Evidentemente gli piace la mia ipocrisia. Poi sposta lo sguardo sulle pagine strappate del libro, e il sorriso vacilla. «Forse presto lo saprai. Quando sarai pronta, quando crederai alla purezza delle mie intenzioni», risponde, e poi cambia argomento. «Dimmi, nipote, a parte l’Aeternum, quali altre Eredità hai sviluppato?»

«Solo quella che ho usato per farti del male alla base di Dulce», dico, pensando che sia meglio tenere segreta la telepatia. Ho cercato di usarla per mettermi in contatto coi Garde, ma probabilmente l’Anubis è troppo lontana dalla Terra. Quando atterreremo ci riproverò. Fino ad allora, meno Setrákus Ra viene a sapere sul mio conto e meglio è. «E non so usarla bene. Non so neppure cosa sia.»

«Non mi hai fatto molto male», sbuffa Setrákus Ra. «Le tue altre Eredità si svilupperanno presto, mia cara. Nel frattempo, vuoi che ti mostri l’estensione dei tuoi poteri?»

«Sì», rispondo, quasi sorpresa dalla forza del mio desiderio. Mi dico che è saggio imparare a usare le mie Eredità, anche se ho per insegnante il mostro più orribile dell’universo.

Setrákus Ra sorride. Sembra quasi che pensi di avermi convinta. Non è così, ma preferisco lasciargli credere che sto diventando un’allieva modello. Indica con la mano i brandelli del libro strappato.

«Prima di tutto pulisci», ordina. «Ti permetterò di esercitarti con le Eredità dopo l’arrivo del tuo promesso sposo.»

Il mio cosa?