Dal ponte panoramico guardo avvicinarsi l’astronave da guerra: all’inizio è solo un puntino scuro sullo sfondo azzurro della Terra, ma diventa sempre più grande fino a nascondere il pianeta. Inizia a rallentare quand’è relativamente vicina all’Anubis... relativamente, perché potrebbe essere a molti chilometri da noi: la vastità dello spazio rende difficile valutare la profondità e le distanze. Sono lontanissima dalla Terra. Lontana dai miei amici. E questa è l’unica distanza che conta.
Sull’altra astronave si apre un portellone da cui spunta una navicella più piccola, bianca e perfettamente sferica, come una perla che solchi l’oceano scuro dello spazio. Sento un rumore metallico e un sibilo di decompressione: la stazione d’attracco dell’Anubis, proprio sotto i miei piedi, si prepara ad accogliere il visitatore.
«Finalmente», dice Setrákus Ra, e mi stringe la spalla. Sembra impaziente di vedere il nuovo arrivato: il suo volto rubato agli umani si schiude in un largo sorriso.
Restiamo fianco a fianco sul ponte panoramico sopra la stazione d’attracco: sotto di noi sono ancorati varie file di navicelle da ricognizione e un gruppo meno numeroso di navicelle sferiche. Stiamo aspettando il mio «promesso sposo». Già solo pensare quelle parole mi fa venire il vomito, e la mano protettiva di Setrákus Ra sulla mia spalla non fa che peggiorare le cose.
Mantengo un’espressione imperscrutabile. Sto diventando più brava a nascondere le mie vere emozioni. Sono decisa a non rivelare nient’altro a quel mostro. Fingo di essere emozionata anch’io, forse un po’ nervosa. Che pensi pure di avermi presa per sfinimento, o di avermi costretta alla resa, che le lezioni sul progresso mogadorian stiano facendo effetto, che io stia diventando lo spettro di me stessa, come nella mia visione.
Presto o tardi, ne sono certa, riuscirò a fuggire. O morirò nel tentativo.
Volto le spalle al finestrino e guardo giù dalla ringhiera del ponte, osservando la navicella che raggiunge i portelloni della nostra stazione d’attracco. Si accendono dei lampeggianti per avvertire i presenti che verranno risucchiati nello spazio se non evacuano l’area. Setrákus Ra ha già provveduto a scacciare i meccanici per poter accogliere in privato il nuovo ospite. Le pesanti porte si aprono e sento il risucchio del vuoto anche da dentro la camera di compensazione dell’osservatorio; la pressione dell’aria cambia, come nelle orecchie quando si va sott’acqua. Poi la navicella di trasporto scivola a bordo, i portelloni si richiudono alle sue spalle e cala di nuovo il silenzio.
«Vieni», mi ordina Setrákus Ra, uscendo a lunghi passi attraverso il portellone della camera di compensazione e scendendo la scala a chiocciola che porta alla stazione d’attracco.
Lo seguo obbediente, e i nostri passi rimbombano sul ponte di metallo mentre passiamo tra le file di navicelle da ricognizione. Con cautela, cercando di non sembrare troppo interessata, mi sporgo per vedere aprirsi la navicella. Mi aspetto di vedere un giovane e promettente purosangue mogadorian selezionato da Setrákus Ra in persona, come quelli che ho visto, nervosi e in soggezione, fare rapporto al loro Benevolo Condottiero. Per quanto mi sforzi di mantenere la calma, non riesco a non sussultare quando vedo Cinque uscire dalla navicella.
Setrákus Ra si gira a guardarmi. «Voi due vi conoscete già, vero?»
Cinque ha un occhio coperto da una garza, con una disgustosa macchia di sangue scuro al centro e i bordi imbrattati di sudore. Sembra esausto. Quando il suo occhio buono si posa su di me, le spalle larghe s’incurvano ancora di più. Si ferma di fronte a Setrákus Ra, con lo sguardo a terra. «Cosa ci fa lei qui?» chiede a bassa voce.
«Finalmente siamo tutti riuniti», esordisce Setrákus Ra, e lo prende per le spalle. «Gli affrancati e gli illuminati, alla vigilia del trionfo del progresso mogadorian. Ed è anche grazie a te, figliolo.»
Cinque aggrotta la fronte, rimanendo in silenzio.
Me lo ricordo nella visione: era lì per scortare Sei e Sam al patibolo, e Sei gli sputava in faccia... ma mi ero dimenticata di quella parte, perché ero più concentrata sul mio spiacevole legame con Setrákus Ra. E ora eccolo lì, Cinque, a farsi dare pacche sulle spalle dal leader dei Mogadorian: il futuro che ho visto sta già prendendo forma. A quanto pare, gli sono stata promessa in moglie, o qualsiasi aberrante rituale faccia le veci del matrimonio per i Mogadorian. Al momento però non è quello il mio problema principale. Perché se Cinque è qui, e sembra reduce da una battaglia...
«Cosa... cos’hai fatto?» chiedo, con voce più stridula di quanto vorrei. «Cos’è successo agli altri?»
Cinque mi guarda di nuovo e storce le labbra. Non risponde.
«Hai dato loro una possibilità, non è vero?» gli chiede Setrákus Ra, ma capisco che parla a mio beneficio. «Hai cercato di mostrare loro la luce.»
«Non hanno voluto ascoltarmi», mormora Cinque. «Non mi hanno lasciato scelta.»
«E guarda come ti hanno ricompensato per la tua misericordia.» Setrákus Ra sfiora la benda sull’occhio di Cinque. «Lo faremo riparare immediatamente.»
Trasalisco e indietreggio di un passo quando Cinque si scrolla di dosso la mano di Setrákus Ra con uno schiaffo sonoro che riecheggia sugli scafi delle navicelle intorno a noi. Vedo tendersi i muscoli sulla schiena di Setrákus, la sua postura già eretta s’irrigidisce ancora di più. Percepisco un mostro smisurato racchiuso in quella forma umana, che aspetta soltanto di venire fuori.
«Lascia stare, voglio tenerlo così», replica Cinque, con voce bassa e tremante.
Il rimprovero che Setrákus Ra si preparava a fargli non arriva: sembra quasi colto alla sprovvista dalla volontà di Cinque di restare con un occhio solo. «Sei stanco», dice infine. «Ne riparleremo quando ti sarai riposato.»
Cinque annuisce e fa un passo cauto per girare intorno a Setrákus Ra, come incerto sul fatto che lui lo lascerà passare. Setrákus non tenta di fermarlo. Cinque sbuffa e procede a spalle ricurve verso l’uscita.
Arriva circa a metà strada e poi Setrákus Ra lo richiama. «Dov’è il corpo?» gli chiede. «Dov’è il ciondolo?»
Cinque si ferma di scatto. Si schiarisce la voce, e noto che iniziano a tremargli le mani, finché non fa uno sforzo cosciente per fermarle. Si gira a guardare Setrákus Ra, che è rivolto verso la navicella come in attesa di vederne uscire qualcos’altro.
«Quale corpo?» chiedo, sentendo una stretta al petto. Vengo ignorata, perciò ripeto a voce più alta: «Quale corpo? Il ciondolo di chi?»
«Spariti», risponde semplicemente Cinque.
«Ti ho fatto una domanda, Cinque!» grido. «Quale cor...?»
Senza guardarmi, Setrákus Ra agita una mano nella mia direzione. Sento sbattere i denti di sotto su quelli di sopra: mi ha chiuso la bocca con la telecinesi. Mi sento come se mi avesse schiaffeggiata: le guance mi si scaldano per la rabbia. Qualcuno è morto, lo so. Uno dei miei amici è morto, e questi due bastardi m’ignorano.
«Spiegati meglio», ringhia Setrákus Ra. Anche se è in forma umana, si percepisce chiaramente che sta iniziando a perdere la pazienza.
Cinque sospira, come se tutta quella conversazione fosse una scocciatura. «Il comandante Deltoch ha deciso di fare la guardia personalmente al corpo, e io non volevo discutere i suoi ordini. Ho trovato i suoi resti appena prima che partissimo. I Garde devono essersi introdotti lì dentro per riprendersi il loro amico.»
«Dovevi portarlo a me», sibila Setrákus Ra, fulminandolo con lo sguardo. «Non Deltoch. Tu.»
«Lo so, ma non mi ha dato retta quando gli ho detto che quelli erano i tuoi ordini. Almeno è morto per la sua insubordinazione.»
Vedo una nube scura passare sul viso di Setrákus Ra, gli vedo correre i pensieri dietro gli occhi azzurri dell’involucro umano, come se sapesse che Cinque lo sta ingannando, e vedo crescere in lui la rabbia. Sento allentare la stretta della telecinesi sul mio mento. Si è distratto, ora è concentrato appieno su Cinque.
Prima che lui possa dire altro m’interpongo tra loro e alzo ancora di più la voce: stavolta devono ascoltarmi. «Quale corpo? Di chi state parlando?»
L’occhio buono di Cinque si posa su di me. «Otto è morto.»
«No», dico in un sussurro. Cerco – troppo tardi – d’impedirmi di reagire. Sento vacillare le ginocchia, e il volto impassibile di Cinque si fa sfocato quando gli occhi mi si riempiono di lacrime.
«Sì», interviene Setrákus Ra, e tutta la rabbia gli è svanita dalla voce, rimpiazzata da un tono squillante e allegro. «Ci ha pensato il nostro Cinque. Giusto, figliolo? Tutto in nome del progresso mogadorian.»
Faccio un passo verso Cinque, stringendo i pugni. «Tu l’hai ucciso?»
«Era...» Per un momento sembra che Cinque voglia negare. Ma poi lancia un’occhiata a Setrákus e si limita ad annuire. «Sì.»
Tutti i miei sforzi per non tradire emozioni davanti a Setrákus Ra si rivelano vani. Sento un grido prorompermi dal petto. Voglio aggredire Cinque. Voglio avventarmi su di lui e farlo a pezzi. So che non avrei possibilità contro di lui – l’ho visto nell’Aula Magna, ho visto come sa trasformare la pelle in metallo o in qualsiasi altra cosa che tocca – ma gli infliggerò più danni possibile. Mi spaccherò le mani sulla sua pelle di metallo pur di riuscire a tirargli un solo pugno.
Setrákus Ra mi posa una mano sulla spalla, per fermarmi. «Credo che sia il momento perfetto per quella lezione di cui abbiamo parlato», mi dice nello stesso tono falsamente gentile di prima.
«Lezione di cosa?» sbotto, continuando a incenerire Cinque con lo sguardo.
Cinque sembra quasi sollevato che ora l’attenzione di Setrákus Ra sia focalizzata su di me. «Posso andare?» chiede.
«No, non puoi.» Setrákus Ra si avvicina a una delle navicelle, trova un carrello pieno di attrezzi – chiavi inglesi, tenaglie, cacciaviti, non molto diversi da quelli terrestri – e lo spinge verso di noi. Mi guarda e sorride. «La tua Eredità, Ella, si chiama Dreynen. Ti consente di disattivare temporaneamente l’Eredità di un altro Garde», dice Setrákus Ra, con le mani giunte dietro la schiena. «Era una delle più rare, su Lorien.»
Mi asciugo gli occhi con l’avambraccio e cerco di stare più dritta. «Perché mi dici queste cose adesso? Che me ne importa?»
«È importante conoscere la propria storia», ribatte Setrákus. «Se dobbiamo credere agli Antenati, le Eredità sono sorte da Lorien per rispondere alle esigenze della società loric. Mi domando allora quale vantaggio derivi da un potere che è utile solo contro gli altri Garde.»
Cinque rimane perfettamente immobile, ancora non mi guarda negli occhi.
Distratta dalla rabbia, dimentico di tenere a freno la lingua. «Non lo so», sbotto sarcastica. «Forse Lorien sapeva che sarebbero arrivati mostri come voi e che qualcuno avrebbe dovuto fermarvi.»
«Ah!» fa Setrákus Ra col tono compiaciuto di un professore, come se io fossi caduta nella sua trappola. «Ma, se è così, allora perché gli Antenati non ti hanno scelta tra i giovani Garde da salvare? E, se è vero che Lorien seleziona le Eredità in base alle esigenze dei Loric, perché elargirle a chi non le merita? La stessa esistenza del Dreynen suggerisce una fallibilità, da parte di Lorien, che gli Antenati vorrebbero negare. È un caos che va domato, non venerato.»
Cerco di fare un passo verso Cinque, ma Setrákus Ra usa la telecinesi per tenermi ferma. Ingoio la rabbia e ricordo a me stessa che sono una prigioniera. Devo stare al gioco, allo stupido gioco di Setrákus, finché non arriva il momento giusto. La vendetta dovrà aspettare.
«Ella, capisci cosa ti sto dicendo?» chiede Setrákus.
Sospiro e distolgo lo sguardo da Cinque per fissare inespressiva Setrákus Ra. Ovviamente si era preparato questa lezione filosofica. Scommetto che è uno dei capitoli più lunghi del suo libro. È inutile stare a discutere con lui.
«Perciò è tutto casuale e noi dovremmo sfruttarlo e bla, bla, bla», dico. «Forse hai ragione, forse ti sbagli. Non lo sapremo mai, perché hai distrutto il pianeta.»
«Cos’ho distrutto, esattamente? Un pianeta, forse. Ma non Lorien in sé.» Setrákus Ra giocherella con uno dei ciondoli che porta al collo. «È più complicato di quanto pensi, cara. Presto la tua mente si aprirà, e allora capirai. Ma fino a quel momento...» Prende dal carrello una chiave inglese e me la lancia. «Facciamo pratica.»
La prendo al volo e la tengo di fronte a me.
Setrákus Ra rivolge la sua attenzione a Cinque, che sta ancora lì in silenzio ad aspettare di essere congedato. «Vola», gli ordina.
Cinque alza lo sguardo, confuso. «Cosa?»
«Vola!» ripete Setrákus Ra, indicando l’alto soffitto della stazione d’attracco. «Più in alto che puoi.»
Cinque sbuffa e levita lentamente fino a ritrovarsi a circa dieci metri da terra, quasi sfiorando le travi sul soffitto. «E ora?» chiede.
Anziché rispondergli, Setrákus Ra si rivolge a me. Ho già un’idea di cosa vuole che faccia. Sento la mano sudata sul metallo freddo della chiave inglese.
Lui s’inginocchia accanto a me e parla a voce bassa. «Voglio che tu faccia ciò che hai fatto alla base di Dulce.»
«Te l’ho detto, non so come ci sono riuscita.»
«So che hai paura. Di me, del tuo destino, di questo luogo in cui ti trovi», dice Setrákus Ra in tono paziente, e per un orribile momento la sua voce suona simile a quella di Crayton. «Ma per te la paura è un’arma. Chiudi gli occhi e lascia che ti scorra dentro. Il tuo Dreynen la seguirà. È una creatura famelica, questa Eredità che vive in te: si nutre delle tue paure.»
Chiudo gli occhi. Una parte di me non vuole questa lezione, mi viene la pelle d’oca al suono della voce di Setrákus Ra. Ma un’altra parte di me vuole imparare a usare l’Eredità, a qualsiasi costo. Non sembra così innaturale: c’è un’energia dentro di me che preme per uscire. Il mio Dreynen vuole essere usato.
Quando riapro gli occhi, la chiave inglese sprigiona una luminescenza rossa. Ci sono riuscita. Proprio come alla base di Dulce.
«Molto bene, Ella. Puoi usare il Dreynen attraverso il tocco o, come hai appena fatto, riversarlo in un oggetto per sferrare un attacco a distanza», spiega Setrákus Ra. Fa un rapido passo indietro quando minaccio di tirargli addosso la chiave inglese. «Sta’ calma, mia cara.»
Lo fisso senza battere le palpebre, stringendo la chiave inglese come stringerei una torcia per scacciare un animale selvatico. Mi chiedo se potrei colpirlo con la chiave inglese, risucchiargli le Eredità e poi spaccargli la testa. Cinque cercherebbe di fermarmi? Ci riuscirei? Non so ancora bene quanto siano potenti le Eredità di Setrákus Ra, o di quali altri trucchetti sarebbe capace, o cosa succederebbe con l’incantesimo che ora ci lega. Ma forse ne varrebbe la pena.
Gli si schiude lentamente in volto un sorriso, come se capisse che sto facendo quei calcoli mentali e li apprezzasse. «Va’ avanti», dice, e alza lo sguardo sul soffitto. «Sai cosa devi fare ora. Lui mi ha deluso. E ha ucciso il tuo amico, non è vero?»
So che dovrei resistere, non dovrei obbedire agli ordini di Setrákus Ra. Ma sento quasi agitarsi in mano la chiave inglese caricata col Dreynen, come se avesse fame e volesse essere liberata. E poi penso a Otto, morto chissà dove giù sulla Terra, ucciso dal ragazzo grassottello che ora levita con aria infastidita sopra di me, e col quale mio nonno vorrebbe farmi sposare.
Mi volto e scaglio la chiave inglese contro Cinque. Non sono sicura di avere fatto un buon lancio, perciò lo correggo con la telecinesi.
Cinque vede arrivare la chiave, ma non cerca di schivarla. È questo che inizia a farmi pentire della mia decisione: la sua aria rassegnata, la volontà di ricevere quella punizione.
La chiave inglese lo colpisce in pieno petto, ma con poca forza. Però gli resta attaccata sullo sterno come una calamita. La sua espressione annoiata si trasforma in sbigottimento. Cerca di strapparsi l’attrezzo di dosso, ma la chiave inglese un istante dopo emette un lampo, e Cinque precipita.
È un atterraggio doloroso, con le gambe piegate sotto il corpo: le mani non riescono ad attutire l’impatto, la spalla sbatte a terra. Cinque finisce sdraiato a pancia in sotto, ansimante. Cerca di rialzarsi, ma non riesce a muovere il braccio e si tira su soltanto di qualche centimetro prima di stramazzare di nuovo a terra. La chiave inglese gli cade dal petto: il danno è fatto, l’Eredità è disattivata.
Setrákus Ra mi dà una pacca sulla schiena, con aria soddisfatta. E io inizio a sentirmi un po’ in colpa nel vedere Cinque in quello stato, pur sapendo cos’ha fatto a Otto. Mi viene in mente che forse è prigioniero quanto me.
«Va’ in infermeria», gli ordina Setrákus Ra. «Non m’importa cosa decidi di fare per l’occhio, ma mi servi sano per quando scenderemo sulla Terra.»
«Sì, Benevolo Condottiero», mormora Cinque.
«Sei stata brava», mi dice Setrákus Ra, accompagnandomi verso l’uscita. «Vieni. Torniamo ai tuoi studi sul Grande Libro.»
Anche se sono ancora furiosa per quello che ha fatto a Otto, quando passiamo davanti al corpo riverso di Cinque mi rivolgo a lui con la telepatia. Mi rifiuto di dimenticare la differenza tra il bene e il male solo perché sono imprigionata qui dentro. «Scusa», gli dico.
Non mi aspetto che risponda, visto che già prima non riusciva a guardarmi. Ma, proprio mentre sto per recidere il legame telepatico, la risposta arriva.
«Non fa niente, me lo meritavo.»
«Meriti peggio di così», ribatto, anche se non con la perfidia che vorrei. È difficile trovare le energie per essere cattiva mentre ricordo Otto che scherza e ride con me e con Marina.
«Lo so. Mi dispiace, Ella.»
Gli leggo qualcos’altro nella mente. Non era mai successo prima: forse la mia Eredità si sta rafforzando. Ma ora non ho tempo di pensarci, perché con l’occhio della mente vedo il corpo di Otto in un hangar vuoto. Cerco di capire il senso dell’immagine, ma i pensieri di Cinque sono una matassa aggrovigliata. Ci sono molti impulsi in conflitto nel suo cervello, e io non sono abbastanza brava con la telepatia per rimetterli in ordine. L’ho già oltrepassato, ma dopo la nostra conversazione mi azzardo a girare la testa per lanciargli uno sguardo.
Cinque è riuscito a tirarsi su e sta giocherellando con un cuscinetto a sfera in attesa che gli tornino le Eredità. Mi guarda dritta in faccia. «Dobbiamo andarcene da qui.»