17

Poco prima dell’alba, una foschia grigiastra accoglie il nuovo giorno. Le Residenze Ashwood sono immerse nel silenzio.

Ho dormito male, ma questa non è una novità. Siedo accanto alla finestra del salotto nella vecchia casa di Adam e fotografo col cellulare i documenti che l’agente Walker mi ha dato, per inviarli a Sarah. Li faremo pubblicare online su Sono tra noi: è l’unico modo per garantirne la diffusione. Walker ha una lista di giornalisti e altra gente dei media di cui pensa di potersi fidare, ma ha una lista altrettanto lunga di reporter al soldo dei ProMog. Non c’è un modo sicuro per far uscire queste informazioni se non propagarle noi stessi. Sarà una battaglia difficile. Negli anni che noi Garde abbiamo trascorso in fuga, i Mogadorian hanno accumulato troppo vantaggio, si sono fatti troppi amici nell’esercito, nel governo e perfino nei media. La loro mossa più intelligente è stata costringerci a nasconderci.

Secondo Walker, ci vorrà qualcosa di grosso per cambiare le carte in tavola. Vuole che decapitiamo i ProMog, assassinando il segretario della Difesa. Non so in che modo questo dovrebbe fruttarci il sostegno dell’umanità. Walker dice che possiamo uccidere il segretario senza esporci. Non ho ancora deciso se questa parte del piano mi convince, ma non è un male che Walker ci creda disposti a fare il lavoro sporco per lei. Almeno per ora.

Ma la cosa più importante che dobbiamo fare è smascherare Setrákus Ra agli occhi dei terrestri, usando contro di lui qualsiasi cosa abbia in programma di fare all’ONU. Il piano consiste nel mettergli i bastoni tra le ruote, in modo che gli umani possano comprendere la vera natura dei Mog e opporsi all’invasione. Una popolazione ingannata per dieci anni saprà finalmente la verità. Quando gli umani vedranno coi loro occhi gli alieni, ci auguriamo che inizieranno a prendere sul serio siti di nicchia come Sono tra noi. Spero solo che riusciremo a fare tutto questo senza morire.

I brutti pensieri mi tormentano ancora. Se anche riuscissimo a mettere insieme una resistenza più numerosa e più forte dei quattro gatti che abbiamo radunato alle Residenze Ashwood, non è detto che basterebbe per scacciare i Mogadorian. Per tutto il tempo che ho passato sulla Terra, la nostra guerra contro i Mog è stata combattuta nell’ombra: ora invece stiamo per coinvolgere milioni di persone innocenti. Ho l’impressione che la nostra lotta abbia l’unico scopo di offrire all’umanità, e a noi Loric superstiti, un’opportunità di combattere una guerra lunga e sanguinosa. Mi chiedo se fosse questo il progetto che gli Antenati avevano in mente per noi. A quest’ora avremmo dovuto avere già sconfitto i Mog senza che gli umani si accorgessero di niente? Oppure, quando ci hanno mandati sulla Terra, gli Antenati erano disperati come lo siamo noi oggi?

Non mi stupisco di soffrire d’insonnia.

Dalla finestra vedo due agenti dell’FBI dividersi una sigaretta sulla veranda della casa di fronte. Evidentemente non sono l’unico che non riesce a dormire per paura di un’invasione aliena. Abbiamo permesso agli uomini di Walker di accamparsi nelle case vuote di Ashwood. Hanno messo in sicurezza il perimetro, piazzato guardie al cancello che poche ore fa io e Adam abbiamo divelto. In pratica, hanno fatto di questo posto il quartier generale della nuova resistenza umana-loric.

Non mi fido ancora completamente dell’agente Walker e dei suoi, ma la minaccia di una guerra imminente mi ha costretto a stringere parecchie alleanze con vecchi nemici. Finora è andato tutto liscio, ma se la fortuna dovesse abbandonarmi, be’... comunque siamo tutti condannati. Tempi disperati richiedono misure disperate.

Le assi del pavimento scricchiolano dietro di me. Voltandomi vedo Malcolm fermo sulla porta che conduce alle gallerie dei Mogadorian. Ha gli occhi cerchiati dalla stanchezza e sta soffocando uno sbadiglio.

«Buongiorno», dico, richiudendo la cartelletta che contiene i documenti di Walker.

«Ah, è già mattina?» fa lui, scrollando la testa incredulo. «Ho perso la cognizione del tempo, laggiù. Sam e Adam mi stavano aiutando, e li ho costretti a prendersi una pausa. Mi sembrano passati solo dieci minuti.»

«Sono passate ore», gli dico. «Sei rimasto in piedi per tutta la notte a guardare quei filmati dei Mogadorian?»

Malcolm annuisce in silenzio e capisco che non è solo esausto: ha lo sguardo turbato di un uomo che ha appena visto qualcosa di scioccante.

«Cos’hai trovato?» gli chiedo.

«Me», risponde, dopo un momento di esitazione. «Ho trovato me stesso.»

«In che senso?»

«Sarà meglio che tu raduni gli altri», si limita a dire Malcolm, prima di tornare nelle gallerie.

Marina dorme in una delle camere al piano di sopra, quindi sveglio lei per prima. In corridoio si ferma davanti alla camera padronale, un tempo occupata dal generale Sutekh e dalla madre di Adam, ma ora temporaneamente adibita a camera ardente per Otto. Marina posa la mano sullo stipite prima d’incamminarsi di nuovo. Quando l’ho svegliata, ho notato che ora indossa il ciondolo di Otto. Vorrei avere più tempo per piangere con lei la morte del nostro amico.

Adam dorme nell’altra stanza, con la spada a portata di mano. Esito solo un istante prima di svegliare anche lui. Ora è uno di noi: l’ha dimostrato ieri quando mi ha salvato la vita uccidendo il generale. Qualsiasi cosa Malcolm abbia scoperto su quelle registrazioni dei Mog, l’opinione di Adam potrebbe essere preziosa.

Sam, Sei e Nove hanno dormito in altre case del complesso di Ashwood, quindi invio le chimere a chiamarli.

Nove arriva pochi minuti dopo: sembra esausto quanto me. «Ho dormito sul tetto», spiega, notando il mio sguardo sui suoi lunghi capelli spettinati.

«Ah, e perché?»

«Qualcuno doveva tenere d’occhio quei cretini del governo che hai mandato in campeggio.»

Scrollo la testa e lo seguo giù per le scale verso le gallerie. Malcolm e gli altri che ho svegliato sono già riuniti negli archivi dei Mog, in un silenzio imbarazzato: Marina siede il più lontano possibile da Adam.

«Sam e Sei?» mi chiede Malcolm quando entro.

Mi stringo nelle spalle. «Le chimere li stanno cercando.»

«Li ho visti entrare in una delle case abbandonate», dice Nove, con un sorriso sarcastico. Lo guardo con aria interrogativa e lui fa dondolare le sopracciglia. «La fine del mondo, Johnny, sai com’è.»

Non capisco bene cosa intenda, finché non vedo Sei e Sam precipitarsi nella stanza. Sei è composta e pettinata, sembra che si sia data una ripulita e si sia riposata dopo la disavventura nella palude. Sam invece è paonazzo, spettinato e ha la camicia abbottonata storta. Quando vede che lo guardo, arrossisce ancora di più e mi rivolge un sorriso imbarazzato. Scuoto la testa incredulo e mi sforzo di non sorridere, nonostante l’umore tetro. Nove fischia tra i denti e perfino Marina accenna un sorriso. Sam arrossisce ulteriormente e Sei ci guarda con aria di sfida.

Malcolm, naturalmente, non si è accorto di nulla. È concentrato sul computer, dove sta caricando uno dei video mog. «Bene, ci siamo tutti», dice, alzando gli occhi dalla tastiera. Si guarda intorno, sembra nervoso. «Mi sento molto in colpa nel dovervi mostrare ciò che sto per mostrarvi.»

L’imbarazzo di Sam si tramuta in preoccupazione. «Che vuoi dire, papà?»

«Io...» Malcolm scrolla la testa. «Mi hanno strappato queste informazioni e anche ora, dopo avere visto ciò che sto per mostrarvi, non me lo ricordo. Vi ho delusi tutti.»

Aggrotto la fronte. «Non dire così, Malcolm.»

«Tutti abbiamo commesso errori», dice Marina, e vedo il suo sguardo girare verso Nove. «Cose di cui ci pentiamo.»

Malcolm annuisce. «Comunque, spero che non sia troppo tardi perché questo video vi mostri un’altra soluzione.»

Sei lo guarda perplessa. «Un’altra rispetto a cosa?»

«Rispetto alla guerra totale. Sta’ a vedere.»

Malcolm preme un tasto. Lo schermo sulla parete si accende. Appare il volto scavato di un vecchio Mogadorian: la sua testa lunga e stretta riempie quasi tutto lo schermo, ma sullo sfondo è visibile una stanza simile a quella in cui ci troviamo ora. Il Mog inizia a parlare nella sua lingua aspra, in un tono che suona formale e accademico, anche se non capisco le parole.

«Dovrei capire cosa dice questo mostro?» chiede Nove.

«È il dottor Lockram Anu», ci spiega Adam, traducendo. «Ha creato la macchina dei ricordi che... be’, lo sai. Ieri sera ne hai lanciato un pezzo contro un elicottero.»

Nove sorride. «Ah, quella. È stato divertente.»

«Questo è un vecchio filmato, registrato durante i primi collaudi della macchina», continua Adam. «Sta presentando un soggetto, dice che la sua mente era meno malleabile rispetto agli altri soggetti su cui ha lavorato. Ora dimostrerà come la macchina si può utilizzare per gli interrogatori...»

Adam lascia la frase in sospeso mentre il dottor Anu si fa da parte rivelando un Malcolm Goode più giovane, legato alla tetra sedia piena di cavi. È pallido e magro, i muscoli del collo sono messi in risalto dalla strana angolazione della testa. I polsi sono legati ai braccioli; una flebo infilata nel dorso della mano inietta sostanze da una sacca lì vicino. Vari elettrodi sono collegati al viso e al petto del prigioniero e alle schede elettroniche della macchina. Gli occhi di Malcolm sono rivolti verso la telecamera, ma persi nel vuoto.

«Papà... Oh, mio Dio...» mormora Sam.

È doloroso guardarlo, tanto più quando Anu inizia a fargli le domande.

«Buongiorno, Malcolm», dice, ora in inglese e nel tono in cui di solito ci si rivolge ai bambini. «Sei pronto a riprendere la nostra conversazione?»

«Sì, dottore», risponde Malcolm sullo schermo, ma non riesce a muovere bene le labbra e inizia a sbavare.

«Molto bene.» Anu guarda una cartelletta che tiene sulle ginocchia. «Voglio che tu ripensi al tuo incontro con Pittacus Lore. Voglio sapere cosa ci faceva sulla Terra.»

«Si preparava a ciò che verrà», dice Malcolm, con voce monocorde e robotica.

«Sii più specifico», insiste Anu.

«Si preparava all’invasione dei Mogadorian e alla rinascita di Lorien.» Sullo schermo, Malcolm sembra improvvisamente allarmato. Cerca di divincolarsi dai legacci. «Sono già qui. Ci danno la caccia.»

«È vero, ma ora sei al sicuro.» Anu aspetta che Malcolm si calmi. «Da quanto tempo i Loric visitano la Terra?»

«Da secoli. Pittacus sperava che l’umanità fosse pronta quando fosse arrivato il momento.»

«Il momento di cosa?»

«Di combattere. Di far rinascere Lorien.»

Anu picchietta con la penna sulla cartelletta, irritato dalla vaghezza di quelle parole. «Come faranno a far rinascere Lorien da qui? Il pianeta è ad anni luce di distanza. Mi stai mentendo?»

«È la verità», borbotta Malcolm. «Lorien non è un semplice pianeta. È qualcosa di più. Può esistere in ogni luogo in cui le persone ne siano degne. Pittacus e gli Antenati hanno già compiuto i preparativi. La loralite fluisce già ora sotto i nostri piedi, circola dentro la Terra. Come il sangue che scorre nelle vene, ha solo bisogno di un battito del cuore per mettersi in moto. Deve solo essere risvegliata.»

Anu si sporge in avanti, improvvisamente molto interessato. Mi ritrovo a fare lo stesso gesto, a piegarmi verso lo schermo con la testa inclinata di lato.

«Come ci riusciranno?» chiede Anu, sforzandosi di non far trasparire l’entusiasmo.

«Ciascuno dei Garde possiede quelli che Pittacus chiamava ’cristalli della Fenice’», racconta Malcolm. «Quando i Garde raggiungeranno la maturità, i cristalli potranno essere impiegati per ricreare le condizioni presenti su Lorien: la flora, la loralite, le chimere.»

«Ma le Eredità? Cosa ne è dei veri doni di Lorien?»

«Anche quelle arriveranno, quando ci sarà il risveglio di Lorien», risponde Malcolm. «I cristalli della Fenice, i ciondoli... tutto ha uno scopo. Quando verranno consegnati al pianeta Terra, nel Santuario degli Antenati, Lorien tornerà a vivere.»

Anu lancia uno sguardo alla telecamera, con gli occhi sbarrati. Poi si ricompone e continua: «Dov’è questo Santuario?»

«A Calakmul. Solo i Garde possono entrarvi.»

A questo punto, Malcolm mette in pausa il filmato. Si guarda intorno: stringe le labbra in un’espressione contrita, ma nei suoi occhi c’è una scintilla di speranza. Lo guardiamo sconcertati: nessuno di noi ha compreso appieno quello che abbiamo appena visto.

Nove alza una mano, aggrotta la fronte. «Non capisco. Cosa cavolo è Calakmul?»

«Un’antica città maya. Nel Messico sudorientale», risponde Malcolm, con voce venata di eccitazione.

«Perché non ne sapevamo niente?» chiede Sei, continuando a fissare il fermo immagine sullo schermo. «Perché gli Antenati non ce l’hanno detto? O i nostri Cêpan? Se è così importante, perché tenerci all’oscuro?»

Malcolm si stringe con due dita la radice del naso. «Non ho una risposta soddisfacente da darti, Sei. L’invasione dei Mogadorian ha colto gli Antenati alla sprovvista. Siete stati spediti sulla Terra in tutta fretta, i vostri Cêpan erano impreparati quanto voi. La priorità assoluta era la vostra sopravvivenza. Posso solo immaginare che tutto questo – i cristalli della Fenice, i vostri ciondoli, il Santuario – dovesse esservi rivelato quando aveste raggiunto la maggiore età, dopo avere sviluppato le Eredità, quando foste stati pronti a combattere. Dirvelo prima avrebbe reso troppo vulnerabili i vostri segreti. Tuttavia...» Malcolm guarda sconsolato la propria immagine sullo schermo. «Come potete vedere, la segretezza non ci è servita a molto.»

«Forse è per questo che Henri è venuto a Paradise a cercarti, papà», ipotizza Sam. «Forse era giunto il momento.»

Ho mille pensieri in testa. Senza neppure accorgermene, mi sono messo a camminare su e giù per la stanza. Sei deve scoccarmi un’occhiataccia per farmi fermare.

«Ho sempre pensato che avremmo vinto questa guerra e poi saremmo tornati su Lorien», dico lentamente, cercando di fare ordine tra i pensieri. «Pensavo che Henri intendesse questo con ’far rinascere Lorien’.»

«Forse intendeva qui», suggerisce Sei. «Forse dobbiamo farla rinascere qui.»

«Ma che significa?» chiede Sam. «Cosa succederebbe alla Terra?»

«Non potrà essere peggio di quello che succederà quando arriveranno qui i Mog», ribatte Nove. «Insomma, ricordo che Lorien non era niente male. Faremmo un favore alla Terra.»

«Nel filmato, da come ne parlavi, sembrava un’entità di qualche genere», dice Marina rivolta a Malcolm.

Malcolm scrolla la testa. «Vorrei potermi ricordare di più. Non ho le risposte che cerchi.»

«Potrebbe essere una specie di divinità», dice lei, con una pacata reverenza nella voce.

«Potrebbe essere una specie di arma che salta fuori dalla Terra per ammazzare tutti i Mog», osserva Nove.

Adam si schiarisce la voce, a disagio.

«Qualsiasi cosa sia, Malcolm ha detto che ci servono i cristalli della Fenice per risvegliarla», dico.

«E i ciondoli!» esclama Sei. «Forse è per questo che Setrákus Ra li conserva. Potrebbero essere qualcosa in più che trofei, per lui.»

«A Chicago abbiamo esaminato il contenuto dei nostri scrigni», dice Nove in tono lamentoso, probabilmente ricordando quanto si era annoiato a inventariare il nostro patrimonio ereditario. «Ho un mucchio di sassi e robaccia varia e non so cosa farmene.»

«Dovremmo portarli tutti lì», propone Marina, in tono più convinto. «I nostri patrimoni ereditari, i nostri ciondoli... Portare tutto al Santuario e consegnarlo alla Terra, come ha detto Malcolm.»

Malcolm annuisce. «So che è vago, ma quantomeno è qualcosa.»

«Potrebbe essere il vantaggio che stiamo cercando», dico. «Accidenti, potrebbe essere il motivo stesso per cui ci hanno mandati quaggiù!»

Nove incrocia le braccia, con aria scettica. «Ieri mi sono ritrovato davanti l’astronave mogadorian più grande che si sia mai vista. Seppellire la nostra roba in un vecchio tempio polveroso poteva essere una buona idea qualche mese fa, ma ora siamo a un passo dalla guerra e penso che dovremo ammazzare qualche cattivo.»

Prima che io possa replicare, interviene Malcolm: «Il Santuario potrebbe essere la nostra salvezza, ma è meglio non puntare tutto su una carta sola».

«Nove ha ragione, più o meno», dice Sei. «Per quanto io detesti l’idea di separarci di nuovo, alcuni di noi dovrebbero seguire il piano di Walker: sferrare un attacco contro i Mog e i loro alleati.»

Nove mima un pugno in aria. «Presente!»

«E altri di noi dovrebbero andare in Messico.»

«Io ci voglio andare. Voglio vedere questo Santuario», dichiara Marina. «Se è un posto fatto per i Loric, un posto in cui abbiamo vissuto, forse è lì che dovremmo seppellire Otto.»

Annuisco e guardo Sei, aspettando la sua decisione. «Allora? New York o Messico?»

«Messico», risponde, dopo un momento. «Tu sei più bravo di me a interagire con quelli del governo. Se abbiamo bisogno di un rappresentante dei Loric all’ONU, tu sei la scelta migliore.»

«Grazie», mormoro, non troppo convinto.

«Ti sta dicendo che sei un boy-scout», mi sbeffeggia Nove.

Guardo Sam, che ha aperto la bocca e sembra in procinto di replicare. Viene interrotto da Sei, che lo guarda scuotendo leggermente la testa.

«Rimarrò qui anch’io, penso», dice Sam, dopo un momento di esitazione. Sembra deluso. Si costringe a sorridermi. «Qualcuno deve tenere in riga te e Nove.»

Resta solo Adam. Il nostro alleato mogadorian è rimasto in rispettoso silenzio per tutto questo tempo, probabilmente per non intromettersi mentre venivano rivelati i segreti della nostra razza. Quando mi volto verso di lui vedo che sta ancora guardando lo schermo. Sembra smarrito nei ricordi, forse sta ripensando al dottor Anu e alla sua macchina. Quando si accorge che lo guardiamo tutti, si rabbuia. «Vi aspetteranno in Messico», dice. «Se lì c’è una fonte di potere loric, il mio popolo starà cercando di accedervi da anni.»

«Ma solo i Garde possono entrare, giusto?» replica Sam.

«Così ho detto ad Anu», risponde Malcolm, con un’espressione incerta.

«Proprio come solo noi possiamo avere le Eredità?» interviene Nove, guardando Adam. «Stai dicendo che potrebbe essere un’altra trappola, Mog?»

«Non è una trappola, se sai che c’è», ribatte Adam, scoccando una rapida occhiata a Nove e poi guardando Sei. «Non so di preciso cosa troverete laggiù, ma posso assicurarvi che ci saranno dei Mogadorian. So pilotare lo skimmer meglio di voi, e forse potrei schivarli, se hanno delle astronavi.»

«Be’, di sicuro non sarei andata fino in Messico a piedi», replica Sei. Poi si volta a guardarmi. «Ti fidi di questo tizio?»

«Sì.»

Sei fa spallucce. «Allora benvenuto nel Team Calakmul, Adam.»

Sento Marina inspirare a denti stretti, ma non protesta.

«Ottimo. Mandiamo un Mogadorian a indagare su un luogo sacro dei Loric.» Nove scrolla la testa. «Solo a me sembra irrispettoso?»

«Non l’hai appena definito un vecchio tempio polveroso?» chiede Sam.

«È quello che è. Ed è innegabile pure che questa storia del ’Mog buono’ sia parecchio strana. Senza offesa.»

Li zittisco tutti quando tiro fuori il ciondolo da sotto la maglietta e me lo sfilo dalla testa. Sento uno strano freddo sul cuore. Non ricordo quando me l’ero tolto l’ultima volta. Nel silenzio generale, porgo il ciondolo a Sei. «Prendilo. Assicurati che arrivi al Santuario.»

«Un lavoretto facile.» Sei sorride, prendendo il ciondolo.

«E ora...» Scruto i volti di tutti i presenti. «Vediamo di vincere questa guerra e cambiare il mondo.»