Nove si sporge sopra di me per guardare bene Sam e gli dice in un sussurro non troppo basso: «Senti, bello, ma cosa combinate, tu e Sei?»
Sam guarda dritto fuori dal finestrino del pick-up. «Eh? Niente.»
«Già, certo. Dai, ci metteremo quattro ore ad arrivare a New York, raccontaci qualche dettaglio piccante.»
Davanti a noi, sul sedile del passeggero, l’agente Walker si schiarisce la voce. «Sebbene io trovi affascinanti le vite sessuali degli adolescenti, forse potremmo usare queste ore per discutere dei nostri parametri operativi.»
«Sono d’accordo.» Spingo Nove indietro sul sedile, per farlo smettere di tormentare Sam. «Dobbiamo concentrarci sulla missione.»
Sam mi rivolge un sorriso pieno di gratitudine.
Nove mi guarda storto. «E va bene, John. Starò buono e concentrato per il resto di questo viaggio.»
«Bene.» Una parte di me crede davvero che dovremmo pensare alle nostre scarsissime probabilità di vittoria, ma un’altra parte non vuole ascoltare i dettagli su Sam e Sei. Sono contento per loro, penso. Mi fa piacere che si confortino l’un l’altra. Ma non riesco a non pensare che Sam si ritroverà col cuore spezzato. Ricordo la mia visione del futuro, il modo in cui lui gridava appena prima che i Mogadorian giustiziassero Sei. Forse per questo ho l’orribile sensazione che andrà a finire male.
O forse sono soltanto invidioso. Non perché Sam si è messo con Sei, ma perché l’amore della mia vita è a molti chilometri da me. Naturalmente non ho nessuna intenzione di rivelare queste cose davanti a Nove, a Walker e al taciturno tizio dell’FBI che guida la macchina. Meglio concentrarsi sulla missione.
Stiamo percorrendo l’Interstatale 95 da Washington a New York. Malcolm è rimasto alle Residenze Ashwood per finire di consultare gli archivi dei Mogadorian, sperando di trovare qualcos’altro di utile. Anche la grande maggioranza degli agenti fedeli a Walker è rimasta lì, a presidiare il forte e usarlo come base operativa per coordinare l’azione contro i ProMog. Non mi fido ancora degli uomini di Walker – e probabilmente non arriverò mai a fidarmi del tutto, dopo quello che il governo ci ha fatto passare –, quindi ho lasciato lì le cinque chimere rimaste, con l’ordine di proteggere Malcolm.
Dietro di noi c’è un altro SUV pieno di agenti. In totale sei agenti più io, Nove e Sam. Non siamo proprio un esercito; ma d’altronde la guerra non è ancora scoppiata. Forse, se tutto andrà secondo i miei piani, non scoppierà affatto.
«Il segretario della Difesa soggiorna in un albergo a Midtown Manhattan, vicino al palazzo dell’ONU», dice Walker, guardando il telefono sul quale digita da tutta la mattina. «Avevo una talpa nella sua squadra di sicurezza, ma...»
«Cos’è successo?»
«Li hanno rimossi stamattina. Tutte le guardie del corpo, sostituite con una nuova squadra. Tizi pallidi in impermeabile scuro. Vi ricorda qualcosa?»
Nove strofina un pugno nel palmo dell’altra mano. «I Mog tengono al sicuro il loro politico preferito prima del grande discorso di resa.»
«Penso che in realtà la cosa vada a nostro vantaggio», replica Walker. «I miei uomini non ci tenevano particolarmente a neutralizzare i loro colleghi per arrivare a Sanderson. Insomma, alcuni di quegli agenti fanno solo il loro lavoro.»
«Neppure noi abbiamo l’abitudine di prendercela con gli umani», preciso. «A meno che non ci costringano.»
«Quindi il piano è tutto qui?» chiede Sam, in tono scettico. «Andiamo in questo albergo, ci sbarazziamo di qualche Mog e poi ammazziamo Sanderson?»
Walker annuisce. «Sì.»
«No», ribatto.
Tutti mi guardano. Anche il nostro stoico autista mi fissa dal retrovisore.
Walker inarca le sopracciglia. «Mi pareva che fossimo d’accordo.»
«Non uccideremo Sanderson», dico. «Noi Loric non ce la prendiamo con gli umani. E di sicuro non li ammazziamo.»
«Ragazzino, se me lo trovo davanti, io premo il grilletto», replica Walker.
«Può arrestarlo, se vuole. Accusarlo di alto tradimento.»
«La pena prevista per l’alto tradimento è la morte!» esclama, esasperata. «Comunque, i suoi compari ProMog non permetteranno che venga arrestato. E tu credi che i tribunali conteranno qualcosa, una volta che Setrákus Ra sarà qui?»
«L’ha detto lei. È Setrákus Ra quello importante.»
«Esatto. E, al posto di Sanderson, ci sarete voi ad accoglierlo all’ONU. Mostreremo al mondo la differenza tra gli alieni buoni e quelli cattivi. Nel frattempo, dietro le quinte, i miei uomini si occuperanno dei ProMog.» Walker si massaggia le tempie. «Ho già fatto mettere in posizione gli altri agenti. Mentre noi eliminiamo Sanderson, una dozzina di altri traditori ProMog sarà...»
La interrompo: «Se sta per parlarmi di altre uccisioni, non voglio saperlo».
Nove alza la mano. «Io voglio saperlo.»
«Non è questo che facciamo», insisto. «Non siamo fatti così.»
«Ragazzino, se vuoi che il mondo sappia dei Mog, presto o tardi dovrai sporcarti le mani.»
«E se fosse Sanderson a spargere la voce, al posto nostro?»
Walker aggrotta la fronte. «Ma che dici?»
«Sta per tenere un discorso all’ONU, giusto? Parlerà bene di Setrákus Ra, dirà agli umani che non c’è pericolo nell’accogliere la flotta mogadorian.» Faccio spallucce, cerco di sembrare sicuro del mio piano. «Potrebbe tenere un discorso diverso. Potrebbe lanciare un avvertimento.»
«Stai dicendo di convertire lui alla nostra causa?» sbotta Walker. «Sei pazzo.»
«Non credo proprio.» Mi giro a guardare Nove e Sam. «Io e i miei amici siamo molto persuasivi.»
«Sì», interviene Nove, sorridendo all’agente Walker. «So essere molto convincente.»
Walker mi fissa per un lungo momento, poi si gira e ricomincia a digitare messaggi in codice sul telefono. «Non avevo capito di essere alleata con alieni hippie e pacifisti», sospira. «E va bene. Se riuscite a convincere Sanderson a cambiare casacca di fronte all’ONU, fate pure. Ma, se non sono convinta del risultato, gli sparo.»
«Certo, è lei il capo», le dico.
Ci fermiamo a un distributore nel New Jersey per riempire i serbatoi dei SUV. Posso allontanarmi per qualche minuto e decido che è un buon momento per sentire Sarah. Tiro fuori il telefono e m’incammino nel parcheggio.
«Dove vai?» mi chiede Walker, gridando.
«A chiamare la mia ragazza», rispondo. «Ricorda? Una volta l’ha arrestata illegalmente.»
«Ah, fantastico», la sento borbottare rivolta all’autista. «Dobbiamo salvare il mondo e siamo alla mercé di adolescenti in tempesta ormonale.»
Meglio noi che gente come lei, penso, ma fingo di non avere sentito.
Il telefono squilla cinque volte, e a ciascuna il mio cuore batte un po’ più forte.
Poi Sarah risponde, appena prima che scatti la segreteria. «Prima che tu dica qualsiasi cosa...» esordisce, senza neppure salutare. «Voglio dirti che sto bene.» Le trema la voce.
«Cos’è successo?» Cerco di nascondere il panico.
Sarah è in macchina, si sente il rumore del traffico in sottofondo. «Siamo andati in città per fare provviste e ci siamo imbattuti in alcuni Mog», dice, ancora col fiatone. «Non so come ci abbiano rintracciati, ma non sono molto contenti di Sono tra noi. Non preoccuparti, stiamo tutti bene. Se n’è occupato Bernie Kosar.»
«Sei al sicuro ora?»
«Lo saremo presto. L’amico hacker di Mark, Guard, ci ha dato l’indirizzo della sua base ad Atlanta.»
Mark aveva parlato di Guard in una delle sue e-mail a Sarah. È un altro fanatico complottista, come uno dei vecchi redattori di Sono tra noi. Ma è anche un ottimo hacker e, secondo Mark, ha accesso a una quantità incredibile di informazioni.
M’innervosisce un po’ l’idea che Sarah e Mark stiano andando da lui senza che noi conosciamo la sua identità. «Cosa sa Mark di questo tizio?»
Sarah ripete la mia domanda a Mark, poi mi riferisce la sua risposta: «Dice che probabilmente è un nerd che se ne sta rinchiuso nel seminterrato della casa di sua madre. Ma che è un ’tipo a posto’ e che possiamo fidarci di lui».
Sbuffo. «Molto confortante. Ma per sicurezza t’invio per SMS l’indirizzo di un nascondiglio. È una base che abbiamo conquistato a Washington, piena di tizi del governo che sono dalla nostra parte. Se avete bisogno di rifugiarvi da qualche parte, potete andare lì.»
Sento accendersi due motori dietro di me. Mi giro e vedo che tutti gli agenti sono risaliti in macchina. Nove e Sam sono ancora fuori dal nostro SUV, aspettano me. Nove mi rivolge un gesto d’impazienza.
«Che succede lì?» mi chiede Sarah. «State per fare qualcosa di stupido ma che forse salverà il mondo?»
«Più o meno», rispondo, e mi concedo un sorriso. «Hai ricevuto i documenti che ti ho mandato?»
«Sì. Li metteremo online quando arriveremo ad Atlanta.»
«Perfetto. Ho la sensazione che il sito di Sono tra noi stia per ricevere molte più visite del solito.» Esito, non ho voglia di riattaccare. «Gli altri mi aspettano. Devo andare.»
«Mark dice di farli a pezzi. E ti amo.» Sarah scoppia a ridere. «L’ultima parte non l’ha detta Mark, è farina del mio sacco.»
Ci salutiamo e mi assale la stessa nostalgia mista a paura che provo dopo ognuna di queste telefonate. Mi riavvio verso il SUV. Sono saliti tutti tranne Sam.
«Quindi vuoi mettere i documenti di Walker su Sono tra noi?» mi chiede. «È una buona idea. Propaganda anti-mogadorian.»
«È un’idea disperata, ecco cos’è. Gli umani non andranno a fare ricerche su Internet mentre le loro città vengono bombardate.»
«Ah, che pensiero confortante», replica Sam, rabbuiandosi. «C’è molto da leggere in quei documenti. Se vuoi portare la gente dalla nostra parte, non devi parlare solo dei Mogadorian. Non devi soltanto cercare di spaventare gli umani. Saranno già spaventati a sufficienza. Devi dare loro un po’ di speranza.»
«Tu cosa proponi?»
Sam ci pensa un istante, poi si stringe nelle spalle. «Non lo so ancora. Mi verrà in mente qualcosa.»
Annuisco e gli do una pacca sulla spalla. Risaliamo in macchina. So che vuole solo aiutarmi: per questo non gli dico che qualsiasi buona idea gli venisse... potrebbe arrivare troppo tardi.
Arriviamo a New York circa un’ora dopo. Non c’ero mai stato, e neppure Nove e Sam: mi sarebbe piaciuto visitarla in circostanze diverse. Mentre procediamo a passo d’uomo, bloccati da un ingorgo in un canyon di grattacieli, allungo il collo per guardare fuori dal finestrino. Chicago è una città enorme, ma non può competere con la marea convulsa di pedoni sui marciapiedi di New York. Ci sono insegne lampeggianti che pubblicizzano spettacoli di Broadway, taxi gialli che saettano tra le macchine, un brusio di attività tutt’intorno a noi.
E tutte quelle persone non hanno idea di cosa sta per succedere.
Mentre procediamo verso nord diretti all’albergo di Sanderson, passiamo davanti a un tizio in mutande e con un cappello da cowboy che suona una chitarra acustica di fronte a un gruppo di turisti.
Nove scoppia a ridere. «Non la passerebbe liscia a Chicago.»
Mi sporgo verso Walker. «Manca molto?»
«Pochi isolati.»
Mi assicuro di avere ancora il pugnale loric legato alla gamba. Mi tocco anche il polso, sovrappensiero, per controllare il bracciale-scudo: ma non c’è più, distrutto dal generale Sutekh.
«Il vostro uomo in avanscoperta vi ha detto quanti Mog dobbiamo aspettarci?» chiedo a Walker.
«Una dozzina, forse più.»
«Una passeggiata.» Nove infila i guanti che Marina gli ha dato. Stringe i pugni, e io mi tiro indietro per il timore che faccia scattare inavvertitamente qualche arma. Per fortuna non succede niente.
«Vuoi combattere con quelli?» gli chiede Sam. «Non sai neppure a cosa servono.»
«Quale modo migliore di scoprirlo? Questi oggetti loric, amico, hanno il brutto vizio di aiutarti soltanto dopo che hai rinunciato a capire come chiederglielo.»
«O forse servono solo a tenere calde le mani.»
«Basta che non faccia niente di stupido», dico a Nove.
Lui mi fissa serio. «Non preoccuparti, John. Puoi fidarti di me.»
Capisco che si sente ancora in colpa per ciò che è accaduto in Florida e vuole dimostrare quanto vale. Mi limito ad annuire, perché so che se ne parlassi lo metterei in imbarazzo. Sono contento che sia qui a combattere con me.
Walker si gira a guardare Sam. «Questi ragazzi lanciano sfere di fuoco e hanno guanti magici, a quanto pare. Ma tu cosa sai fare?»
Sam sembra colto alla sprovvista, e vedo che si tocca le cicatrici sui polsi. Dopo un momento di riflessione, dice: «Probabilmente ho ucciso più Mog di lei, signora».
Nove mi dà di gomito, io non trattengo un sorriso.
Sembra proprio la risposta in cui Walker sperava, gliene va dato atto. Apre il cassetto del cruscotto, ne estrae una pistola nella fondina e la porge a Sam. «Be’, sto ufficialmente armando un minorenne. Fa’ onore al tuo Paese, Samuel.»
Un minuto dopo, l’autista accosta sul ciglio della strada, in doppia fila; l’altro SUV si ferma dietro di noi. Siamo in uno degli isolati più tranquilli di Manhattan. Dall’altra parte della strada, poco più avanti, c’è l’ingresso di un albergo di lusso. Fuori ci sono un ampio tendone e un tappeto rosso, un posto in cui i clienti possono lasciare le chiavi della macchina a un parcheggiatore e posare i bagagli su uno dei carrelli in attesa.
Ma fuori dall’albergo non si muove foglia. Nessun turista passeggia sul marciapiede, nessun portiere aspetta le mance. Niente. La zona è stata evacuata, o i suoi occupanti sono stati messi in fuga, dai tre Mogadorian che stanno di guardia alla porta coi soprabiti aperti a scoprire i fucili. Ormai non si curano neanche più di nascondersi.
«Vogliamo un’azione rapida e pulita», ci dice Walker, abbassandosi sul sedile per guardare i Mog dal retrovisore. «Abbattete i Mog e raggiungete Sanderson prima che qualcuno possa dare l’allarme, chiamare i rinforzi via radio o fare qualsiasi altra cosa.»
«Okay, capito.» Tiro su il cappuccio della felpa. «L’abbiamo già fatto altre volte.»
«Lasciate andare avanti i miei uomini. Mostreremo i distintivi, forse riusciremo a coglierli alla sprovvista. Poi voi colpite duro.»
«Certo, voi distraeteli, ma poi toglietevi dai piedi», dice Nove.
Walker prende un walkie-talkie e si collega via radio agli agenti della seconda macchina. «Siete pronti?»
«Affermativo», risponde una voce maschile. «Andiamo.»
«Ci siamo!» Nove batte le mani coperte dai guanti.
Il suono che si sprigiona dai guanti non supera letteralmente il muro del suono, ma ci va molto vicino. È come se un tuono fosse rintronato sul sedile posteriore; tutti i finestrini del SUV vanno in frantumi e l’intero veicolo viene sospinto in aria di qualche centimetro. L’altro SUV, dietro di noi, non se la passa molto meglio: anche quei finestrini si rompono, ma verso l’interno, facendo piovere le schegge di vetro sugli agenti. Si rompono anche le vetrine dei negozi vicini, e una donna all’angolo dell’isolato finisce a terra. Accanto a me Sam si stringe le tempie, stordito.
Per i primi secondi non sento molto, a parte un cinguettio sommesso che ben presto identifico come gli allarmi delle macchine di tutto l’isolato. Mi giro verso Nove con tanto d’occhi e vedo che si sta guardando le mani, sorpreso quanto me. Non sento cosa dice e non sono bravo a leggere il labiale. Ma sono quasi sicuro che stia dicendo: «Ops».
All’ingresso dell’albergo, uno dei Mogadorian è in ginocchio e si tiene la testa tra le mani. Gli altri due indicano il nostro SUV e imbracciano i fucili.
E meno male che potevamo contare sull’elemento sorpresa.