22

«Ne ho abbastanza di obbedire, di fare quello che mi dicono loro

Apro gli occhi di scatto. Dormivo profondamente: un sonno che non pensavo fosse possibile nel mio gigantesco letto mogadorian con le sue strane lenzuola scivolose. Mi sto abituando fin troppo bene alla vita a bordo dell’Anubis. Mi è sembrato di sentire una voce nel sonno, ma forse era solo la mia immaginazione o il residuo di qualche sogno. Per non rischiare resto immobile e faccio respiri regolari come se dormissi ancora. Se c’è un intruso, non voglio fargli sapere che sono sveglia.

Dopo qualche secondo di silenzio, a parte l’onnipresente ronzio dei motori dell’astronave, una voce riprende a parlare: «Una delle fazioni ci scarica su un pianeta sconosciuto e, in pratica, ci costringe a lottare per salvarci la pelle. L’altra fazione parla di pace attraverso il progresso, ma sono solo chiacchiere perché in realtà vogliono uccidere tutti quelli che gli si mettono tra i piedi».

È Cinque. È nella mia stanza. Non lo vedo al buio, lo sento soltanto borbottare sottovoce. Non so neppure se sta parlando con me.

«Tutti volevano solo usarci», sibila. «Ma non glielo permetterò. Non combatterò la loro stupida guerra.»

A questo punto si muove, e finalmente lo vedo. È seduto sul bordo del letto e ha la pelle scura e liscia come le lenzuola, probabilmente perché le sta toccando e usa il suo Externa. Dunque ha riacquistato il controllo delle Eredità. E mi fa molta paura, perché sembra un mostro uscito da sotto il letto.

«Lo so che sei sveglia», mi dice senza girare la testa. «L’astronave ha iniziato la discesa, non siamo più in orbita. Se vuoi scappare, è il momento giusto.»

Mi tiro a sedere sul letto, stringendomi le coperte al petto. Per un attimo valuto se sia il caso di disarmarlo di nuovo, caricando le lenzuola col mio Dreynen. Ma cosa ci guadagnerei? Decido di non farlo. Per ora.

«Pensavo che tu stessi dalla loro parte. Perché vuoi aiutarmi?» gli chiedo.

«Non sto dalla parte di nessuno. Ho chiuso con questa storia. Per un po’, dopo che il mio Cêpan è morto, sono rimasto solo. Non era così male, mi piacerebbe tornare a quella situazione. Sai quante isolette ci sono nell’oceano? Ne sceglierò una e resterò lì finché non sarà tutto finito. Non me ne frega niente di chi vince, purché mi lascino in pace.»

«Sei un codardo», ribatto, scrollando la testa. «Non ho intenzione di rintanarmi con te su un’isola deserta.»

Cinque sbuffa in una risata. «Non ti avevo invitata, Ella. Io me ne vado da questa nave, e pensavo che volessi venire anche tu. Tutto qui.»

Mi viene in mente che Setrákus Ra potrebbe averlo mandato da me per mettermi alla prova. Ma poi ricordo come Cinque si è comportato nel nostro incontro precedente e decido di rischiare, di credere che sia sincero. Salto giù dal letto e infilo le pantofole mogadorian dalla suola sottile. «Okay, qual è il tuo piano?»

Cinque si alza, la sua pelle torna normale. Quando le luci della stanza si accendono in automatico, lo vedo finalmente in faccia. Si è cambiato le bende sull’occhio, non sono più imbrattate di sangue, ma non si è ancora fatto curare. Nell’occhio sano ha una scintilla, come se non vedesse l’ora di cacciarsi in qualche guaio. Inizio a dubitare della mia decisione di allearmi con lui.

«Aprirò una delle camere di compensazione e salterò fuori», dice, esponendomi il suo brillante piano.

«Buon per te, ma tu sai volare. Io cosa dovrei fare, invece?»

Infila una mano in tasca e mi lancia un oggetto rotondo. Lo prendo al volo: è un sasso. Lo riconosco, era nello scrigno di John.

«Pietra Xitharis», spiega. «L’ho... presa in prestito dai nostri amici.»

«L’hai rubata.»

Cinque fa spallucce. «L’ho caricata con la mia Eredità di volo. Usala per volare via e salvare il pianeta.»

Nascondo la Xitharis nel vestito. «Tutto qui? Pensi che possiamo andarcene da qui come se niente fosse?»

Non porta scarpe né calze, probabilmente perché vuole che i suoi piedi siano in contatto costante coi pannelli metallici dell’Anubis. Inoltre ha uno strano oggetto legato all’avambraccio, sembra un’arma. «Non riusciranno a fermarmi», dice con cupa determinazione.

Non è proprio confortante, ma è l’unica speranza che ho. «Va bene, fa’ strada.»

La porta della stanza si apre, scorrendo nel muro. Cinque tira fuori la testa e si assicura di avere via libera, poi esce in corridoio e mi fa cenno di seguirlo. Percorriamo a passo sostenuto i labirintici corridoi dell’Anubis.

«Non dare nell’occhio», mi dice a voce bassa. «Ci sono guardie ovunque. Ma hanno anche paura di noi. Di te, in particolare: hanno ordine di trattarti come un membro della famiglia reale. Non interferiranno, purché non ci comportiamo in modo sospetto. E, anche se pensano che ci sia sotto qualcosa, prima che uno di loro trovi il coraggio di dirlo al Benevolo Condottiero noi ce ne saremo già andati...» Parla in fretta, quindi dev’essere nervoso.

Senza rifletterci – perché se ci riflettessi forse sarei troppo disgustata – lo prendo per mano. «Siamo solo due ragazzini appena fidanzati, che iniziano a conoscersi», gli dico. «Stiamo facendo una bella passeggiata nei corridoi di un’enorme astronave da guerra.»

La sua mano è sudata e fredda. Cerca di tirarla via, perché il suo istinto è di non farsi toccare, ma dopo un momento si calma e la sua mano resta flaccida nella mia. «Fidanzati?» bofonchia. «Setrákus Ra vuole che io e te ci sposiamo?»

«Così ha detto.»

«Dice un sacco di cose.» Cinque è paonazzo, rosso fino all’attaccatura dei capelli. Non so se sia imbarazzato o arrabbiato, oppure una combinazione delle due cose. «Non ho mai detto che mi stava bene. Sei una bambina.»

«Be’, naturalmente neanch’io ho detto di sì. Sei un disgustoso assassino e un tradit...»

«Sta’ zitta», sibila.

Per un attimo credo di averlo offeso davvero, ma poi mi accorgo che stiamo passando davanti alla porta aperta del ponte panoramico. Non riesco a non rallentare il passo.

Lo spazio buio e vuoto fuori dalle vetrate è stato sostituito dalla familiare immagine azzurra della Terra. L’Anubis è ancora in fase di discesa, ma sono già visibili i primi segni della civiltà: strade che corrono tra campi verdi, schiere di casette nei sobborghi delle città. Decine di Mogadorian sono riunite a guardare la Terra che si avvicina, e nell’aria c’è un certo nervosismo: parlottano tutti tra loro, probabilmente si stanno già spartendo gli appezzamenti di terreno.

Cinque mi fa svoltare l’angolo. Andiamo a sbattere contro due guerrieri mog che corrono verso il ponte panoramico.

Il più vicino dei due piega un angolo della bocca in un ghigno sdegnoso. «Che state facendo, voi due?»

Per tutta risposta, drizzo le spalle per sembrare una vera principessa e scruto con freddezza il Mog troppo curioso. Smette di ghignare e abbassa gli occhi a terra, perché si è ricordato che non sono una Loric qualunque ma una parente del suo Benevolo Condottiero. Inizia a mormorare qualche parola di scuse, ma un sibilo metallico lo interrompe.

Una lama sottile come un ago fuoriesce dall’imbragatura di cuoio sull’avambraccio di Cinque, che in un istante infilza la fronte del primo Mog tramutandolo istantaneamente in cenere. L’altro Mog sbarra gli occhi per il terrore e cerca di fuggire. Sul viso di Cinque si disegna un sorriso soddisfatto. Prima che il Mog possa fare più di due passi nel corridoio, il braccio libero di Cinque assume una consistenza gommosa e si allunga a dismisura, girando intorno al collo del Mog e trascinandolo all’indietro per poi finirlo con la lama.

Il tutto si svolge in una decina di secondi.

«E meno male che non dovevamo dare nell’occhio», bisbiglio, consapevole che non siamo lontani dall’affollato ponte panoramico.

Cinque mi guarda battendo le palpebre, come se non sapesse cosa gli è preso. Rinfodera attentamente la lama. «Ho perso la calma.» Si strofina nervosamente i capelli rapati quasi a zero. «Tanto ormai non importa, siamo quasi arrivati.»

Guardo il pazzo furioso che ho di fronte. Fa lunghi respiri, gli tremano le spalle, stringe i pugni per l’impazienza. Pochi minuti fa sembrava quasi fragile, mentre borbottava nel buio della mia stanza. È a pezzi, è crollato definitivamente: per reprimere il moto di compassione che provo per lui devo rammentare a me stessa che ha ucciso Otto. Compassione, sì, ma ho anche paura di lui. Ha perso il controllo senza essere stato minimamente provocato: sembrava quasi felice di uccidere quei Mog.

Questo traditore pazzo, violento e codardo è la mia unica speranza concreta di andarmene dall’Anubis.

Scrollo la testa e sospiro. «Andiamo.»

Cinque annuisce e ci rimettiamo a correre, senza più badare a tenerci per mano e puntando dritti a destinazione. Vedo che stringe e allenta i pugni. Non ha niente nelle mani.

«Come sei riuscito a fare quella cosa col braccio?» gli chiedo, ripensando a quelle sfere di gomma e d’acciaio che ha usato per cambiare pelle nella sala conferenze della casa di Nove, a Chicago. «Pensavo che tu dovessi toccare qualcosa...»

Gira l’occhio buono verso di me e si tocca le bende fresche. «Perdere un occhio mi ha dato nuove... be’, possibilità di stoccaggio.»

Rabbrividisco, immaginando la sfera di gomma infilata nell’orbita. «Come hai fatto a perderlo?»

«Me l’ero meritato», risponde, senza rancore.

«Non ne dubito.»

Svoltiamo un altro angolo ed entriamo nell’enorme stazione d’attracco: il corridoio si allarga, il soffitto si alza. Dagli oblò vedo il cielo azzurro e sgombro; la luce del sole passa tra le decine di navicelle da ricognizione ancorate ai moli. Per il resto, la stazione è vuota. I meccanici e i tecnici devono essere sul ponte panoramico, ad ammirare il mondo che progettano di conquistare.

Siamo così vicini...

«Aspetta. Se apriamo la camera di compensazione non verremo risucchiati fuori?» chiedo.

«Ora siamo nell’atmosfera, non nello spazio», replica Cinque, impaziente. Si china su una console per esaminare l’interfaccia. «Ci sarà vento. Non vorrai tirarti indietro perché hai paura, eh?»

«No.» Mi guardo intorno nella stazione d’attracco. «Pensi che potremmo far saltare in aria un po’ di questa roba? Magari abbattere l’Anubis prima che riesca a fare qualcosa di brutto?

«Hai un’Eredità che ti permette di far esplodere le cose?»

«No.»

«Nemmeno io. Sai costruire una bomba?»

«No.»

«Allora dovremo accontentarci di fuggire.» Cinque preme un pulsante sulla console. «Questo li rallenterà», dice, riferendosi a inseguitori che non abbiamo ancora.

Una spessa porta di metallo si chiude rumorosamente dietro di noi. È il portellone della camera di compensazione, abbastanza resistente per proteggere l’astronave dal vuoto interstellare. Ci isola completamente dal resto della nave.

«Buona idea», ammetto mentre sbircio dal piccolo oblò del portellone, aspettandomi di vedere da un momento all’altro i Mog lanciati all’inseguimento.

Cinque preme qualche altro tasto e, con un sibilo idraulico e una ventata d’aria fredda, i portelloni sul fondo della stazione d’attracco si aprono. Quando il vento mi sferza il viso, tiro un gran sospiro di sollievo. Prendo la pietra Xitharis e lentamente m’incammino verso i portelloni aperti, chiedendomi cosa proverò tuffandomi in quel cielo azzurro. Sarà molto meglio che restare sull’Anubis, questo è certo.

«Allora, se stringo questa pietra riuscirò a volare?» chiedo.

«Dovrebbe funzionare così. Immagina che il tuo corpo sia leggero come una piuma, che galleggi nell’aria. È così che ho imparato a usare la mia Eredità.»

Guardo il cielo sgombro e azzurro che mi aspetta. «E se non funziona?»

Cinque sospira e viene verso di me. «Coraggio, saltiamo insieme.»

«Non andrete da nessuna parte.»

Setrákus Ra era nascosto tra due navicelle. Non so se fosse lì fin dall’inizio ad aspettarci o se si è teletrasportato qui in qualche modo. Ma non importa: ci ha trovati. Ancora in forma umana, si piazza tra noi e i portelloni aperti: il vento gli scompiglia leggermente i bei capelli castani, gli solleva i risvolti della giacca. Stringe in una mano il bastone dorato, l’Occhio di Thaloc.

«Togliti dai piedi, vecchio», ringhia Cinque. Cerca di fare il duro, ma non riesce quasi a guardare Setrákus negli occhi. Mi posa una mano sulla spalla e cerca di spingermi indietro per farmi scudo.

Me lo scrollo di dosso: affronteremo Setrákus Ra fianco a fianco.

«Non ne ho la minima intenzione», replica Setrákus, con voce carica di disprezzo e delusione. «Mi aspettavo un comportamento del genere da te, Ella: ti sei unita a noi solo di recente e ci vorrà tempo per disfare il lavaggio del cervello che i Garde ti hanno fatto. Ma, Cinque, figliolo, dopo tutto quello che ho fatto per te...»

«Sta’ zitto», dice Cinque a bassa voce, quasi in tono di supplica. «Parli tanto, ma non dici niente di vero!»

«La mia è l’unica verità», ribatte severo Setrákus. «Verrai punito per la tua insolenza.»

Cinque non riesce ancora a guardarlo in faccia, ma le sue spalle si alzano e si abbassano rapidamente come quand’eravamo nel corridoio coi guerrieri mog. Gli risale in petto un ringhio basso, che mi ricorda una teiera in ebollizione. Faccio un piccolo passo di lato, temendo che Cinque possa letteralmente esplodere.

«Basta con queste sciocchezze, bambini.»

La voce di Setrákus Ra è parzialmente coperta dall’urlo rabbioso che prorompe dai polmoni di Cinque, che parte all’attacco.

All’inizio sento i suoi piedi nudi sbattere contro il ponte di metallo. Ma quando si avvicina a Setrákus il rumore diventa quello del metallo sul metallo: l’Externa gli ha trasformato la pelle nello stesso materiale del pavimento. Setrákus Ra si limita a inarcare un sopracciglio, per nulla impressionato o intimorito.

Non resto a guardare con le mani in mano: mentre Cinque attacca, mi metto a correre verso uno dei carrelli per attrezzi. Se riesco a prendere una chiave inglese o un altro oggetto in cui infondere il mio Dreynen, forse posso rifare quello che ho fatto durante la lezione di ieri. Ma stavolta il mio bersaglio sarà Setrákus Ra.

Il mio piano – e quello di Cinque, qualunque fosse – viene sventato quando Setrákus spazza l’aria con un braccio tenuto in orizzontale. Un’ondata di forza telecinetica c’investe, sollevandomi da terra e scaraventando gli attrezzi contro la parete di fondo. La telecinesi è così potente che qualche navicella inizia a ondeggiare cigolando.

Atterro rovinosamente a pancia in sotto e subito mi rotolo a terra per ritrovare l’orientamento. Anche Cinque è stato sbalzato in aria, ma ha attivato l’Eredità di volo e ora è sospeso a pochi metri da Setrákus Ra. La sua pelle non ha più il color grigio opaco del pavimento: ora è cromata e lucente, come il cuscinetto metallico che porta sempre con sé: deve avere infilato anche quello nell’orbita dell’occhio.

«Fermati subito», ordina Setrákus Ra.

Ma Cinque si avventa su di lui sferrando pugni, con l’intenzione di spaccargli quella bella faccia umana. Setrákus Ra para facilmente i colpi col bastone, però la furia di Cinque lo fa indietreggiare verso i portelloni aperti della stazione d’attracco.

Vedendoli impegnati a combattere, mi rendo conto di avere una via d’uscita: che si ammazzino pure a vicenda, io devo solo tuffarmi nel cielo azzurro e sperare che la Xitharis faccia quello che Cinque ha detto.

Ma proprio quando inizio a muovermi vedo lampeggiare gli occhi di Setrákus Ra e percepisco un campo invisibile di energia passarmi sopra: sembra quasi che la pressione dell’aria si sia alterata. Cinque riacquista la pelle normale proprio mentre sta sferrando un pugno. Quando la sua mano si scontra col bastone di Setrákus Ra, precipita con un grido.

Sta andando proprio come alla base di Dulce: Setrákus Ra ha generato un campo di forza che annulla l’effetto delle Eredità. È un Aeternus come me, e ora so che abbiamo in comune anche il Dreynen. La sua tecnica è diversa da quella che sono riuscita a imparare io: è come se avesse caricato di energia le molecole dell’aria intorno a sé creando una bolla entro cui le Eredità diventano inutilizzabili.

Ma su di me non funziona. Sento ancora la forza del Dreynen dentro di me e so che, se volessi, potrei usare l’Aeternum. Non so come sia possibile, ma sono immune al Dreynen di Setrákus Ra. Sarà perché siamo parenti? Oppure una delle mie Eredità consiste nell’immunità ai poteri di Setrákus? Ha detto un mucchio di fesserie sul fatto che le nostre Eredità si presentano in modo casuale, e che Lorien non sarebbe altro che caos. E se invece si sbaglia, e le mie Eredità sono state appositamente selezionate per distruggerlo? E soprattutto: sa che il suo potere non ha effetto su di me?

Non mi presta attenzione, è concentrato su Cinque. So che dovrei fuggire, ma non riesco a muovermi. Nonostante tutto quello che ha fatto, posso davvero lasciare Cinque nelle sue grinfie? È in ginocchio davanti a Setrákus Ra, si preme sullo stomaco la mano ferita.

La forma umana di Setrákus è cresciuta di una ventina di centimetri: ora è più alto e più largo, gonfio in modo quasi grottesco. Abbassa una delle enormi mani e afferra la testa di Cinque. «Dovevi solo obbedire agli ordini», sibila. Gli spinge la testa all’indietro per guardarlo in faccia. «Saremmo potuti entrare insieme nel Santuario, se soltanto mi avessi portato quel maledetto ciondolo. E ora mi fai questo: osi alzare la mano contro il tuo Benevolo Condottiero. Mi disgusti, ragazzo.»

Non so cosa intenda con «Santuario», ma memorizzo quella parola. Faccio un passo verso di loro, ancora indecisa se fuggire o aiutare Cinque, e incerta su come me la caverei in uno scontro diretto col leader dei Mogadorian.

Cinque ha la testa riversa all’indietro, quindi può solo gorgogliare in risposta al rimprovero.

«Avrei dovuto sapere che era impossibile redimere un Garde», continua Setrákus Ra. «Sei il mio peggior insuccesso. Ma sarai anche l’ultimo.» Gli stringe più forte il cranio, e Cinque grida.

Mi si rivolta lo stomaco quando capisco che vuole letteralmente schiacciargli la testa: non posso permettere che succeda. Con tutta la forza telecinetica di cui sono capace, spingo Setrákus Ra verso i portelloni aperti della stazione d’attracco.

Lui sgrana gli occhi per la sorpresa e barcolla all’indietro, l’aria aperta gli strattona il completo elegante che ora sta per strapparsi, dopo la sua mostruosa crescita. Perde la presa sulla testa di Cinque, le sue unghie gli graffiano lo scalpo. Riesce a fermarsi prima che io possa spingerlo fuori dall’Anubis, e sento la sua telecinesi lottare contro la mia.

«Ella, come...?» inizia a chiedere, con stupore misto a frustrazione.

Ma poi Cinque gli si avventa contro con la lama estratta dall’avambraccio. «Muori!» grida.

Setrákus Ra cerca di farsi da parte, ma non riesce a schivarlo completamente. La lama gli penetra nella spalla.

Lancio un grido: ho sentito una fitta di dolore. Mi si apre uno squarcio sulla spalla, il sangue caldo mi cola sul petto. Barcollo e mi appoggio a una navicella, mi stringo la spalla ferita, cerco di fermare il sangue. Sono ferita proprio nel punto in cui Cinque ha pugnalato Setrákus.

Cinque si ritrae di scatto da Setrákus, con gli occhi sbarrati.

Il Mogadorian sembra incolume: sorride mentre Cinque si gira a guardare me. «Guarda cos’hai combinato!» esclama.

L’incantesimo mogadorian, mi dico, mentre mi sento svenire. Qualsiasi ferita inferta a Setrákus Ra si trasferisce su di me.

Cinque è sconcertato. Prima che possa reagire, Setrákus Ra lo afferra per la gola e gli fa sbattere ripetutamente la nuca sullo scafo della navicella più vicina, fino a stordirlo. Poi lo lancia fuori dai portelloni aperti dell’Anubis.

Cerco di raggiungere Cinque con la telecinesi, ma sono troppo debole. Il suo corpo precipita e sparisce alla vista.

Mi accascio a terra, il sangue mi scorre tra le dita. Non ho più forze. Non fuggirò dall’Anubis, oggi. Mio nonno ha vinto.

Setrákus Ra incombe su di me nella sua forma umana, ma col completo strappato. Scuote la testa, col sorriso di un maestro deluso. «Vieni, Ella, dobbiamo lasciarci alle spalle questo episodio.»

Gli mostro la mano coperta di sangue. «Perché mi hai fatto questo?»

«Era l’unico modo per farti capire che il progresso mogadorian è più importante della tua vita.» Setrákus Ra mi prende in braccio. Mentre inizio a perdere conoscenza, bisbiglia: «Non disobbedirai più al Benevolo Condottiero, giusto?»