La rotta di volo prevista da Adam ci porterà lungo la costa atlantica sino alla Florida, poi a ovest sopra il golfo e infine sulla punta sudorientale del Messico. Mantenendo lo skimmer alla velocità massima e restando abbastanza bassi per evitare d’incrociare altri velivoli, dovrebbero volerci circa quattro ore.
Viaggiamo in silenzio. Mi appoggio allo schienale e guardo sotto di noi le insenature e le rientranze della costa. Adam non dice granché: tiene lo sguardo fisso in avanti, ogni tanto modifica la rotta quando i sistemi indicano la presenza di un altro velivolo. Dust sonnecchia ai suoi piedi. Quanto a Marina, sta impettita come al solito: la sua paura di volare non è migliorata con un Mogadorian come pilota.
«Puoi riposarti per qualche ora», dice Adam, in tono incerto. Stavo già per appisolarmi, quindi evidentemente parlava a Marina, che siede a schiena diritta ed emana una leggera aura fredda. Adam deve averla vista con la coda dell’occhio.
Marina sembra rifletterci su per un momento e poi si sporge in avanti fin quasi a posare la testa sulla spalla di Adam. Lui inarca un sopracciglio, ma lascia le mani sul volante.
«L’ultima volta che io e Sei abbiamo viaggiato verso sud è stata meno di una settimana fa», dice Marina, con voce misurata. «Abbiamo scoperto troppo tardi che un traditore viaggiava con noi. Ho finito per pugnalarlo all’occhio. Perché ho avuto pietà di lui.»
«So cos’è successo in Florida. Perché me lo stai raccontando?» chiede Adam.
«Perché voglio che tu sappia cosa succederà se ci tradisci», risponde Marina, tirandosi indietro. «E non dirmi di riposare.»
Adam mi guarda come a chiedere aiuto, ma mi stringo nelle spalle e mi volto. Marina non ha ancora deciso quanto vuole essere arrabbiata, e io non ho intenzione di mettermi in mezzo. E poi penso che instillare un po’ di paura nel nostro compagno di viaggio mog non sia una pessima idea.
Immagino che Adam voglia chiudere lì la conversazione, ma dopo qualche minuto riprende a parlare: «Ieri, per la prima volta, ho impugnato una spada che è nella mia famiglia da generazioni. Finora non mi era mai stato permesso di toccarla, solo di ammirarla da lontano. Apparteneva a mio padre, il generale Andrakkus Sutekh. Stava combattendo contro il Numero Quattro... contro John. Ho infilzato mio padre con quella spada, alla schiena, e l’ho ucciso». Lo dice in tono inespressivo, come se leggesse un notiziario.
Lo guardo battendo le palpebre, poi mi giro a guardare Marina. Ha gli occhi fissi a terra, è immersa nei pensieri. Mentre il freddo che emana da lei inizia ad attenuarsi, Dust il lupo si alza e va a posarle la testa in grembo.
«Bella storia», dico a Adam quando diventa dolorosamente chiaro che qualcuno deve spezzare quel silenzio. «Non avevo mai conosciuto nessuno che andasse in giro con una spada.»
«Bella...» ripete Adam perplesso. «Quello che voglio dire è che non avete motivo di dubitare della mia lealtà.»
«Mi dispiace che tu abbia dovuto fare questo a tuo padre», dice Marina, dopo un momento. «Non lo sapevo.»
«A me non dispiace, ma grazie delle condoglianze», replica Adam, brusco.
Per sciogliere la tensione inizio a toccare qualche manopola sulla plancia di comando dello skimmer. «C’è una radio, su questo coso? O vogliamo raccontarci storie macabre per tutto il viaggio?»
Adam rimette subito a posto tutte le manopole che ho toccato. Mi sembra di vederlo accennare un sorriso, probabilmente è sollevato all’idea che le minacce di morte siano terminate. «Non c’è radio. Posso canticchiare qualche classico mogadorian, se vuoi.»
«Bleah, che schifo», ribatto, e sento Marina ridacchiare.
Mi accorgo che Adam mi guarda in modo strano: non avevo mai visto il suo viso spigoloso così espressivo, senza la solita impassibilità di cui si fa scudo. Per un momento sembra quasi a suo agio quassù, in compagnia di due nemiche mortali del suo popolo.
«Che c’è?» gli chiedo.
Lui distoglie subito lo sguardo: capisco che aveva la mente altrove. «Niente», mormora, pensieroso. «Per un attimo mi hai ricordato una persona che conoscevo.»
Il resto del viaggio prosegue senza avvenimenti di rilievo. Riesco ad appisolarmi un paio di volte, ma mai a lungo. Con Dust accoccolato sulle ginocchia, sembra che Marina riesca finalmente a rilassarsi. Adam non intona canti mogadorian.
Stiamo sorvolando la foresta tropicale di Campeche, in Messico: manca solo un’altra ora al Santuario loric, che dovrebbe essere nascosto tra le rovine di un’antica città maya, quando una luce rossa inizia a lampeggiare sul parabrezza dello skimmer. La noto solo quando vedo Adam irrigidirsi.
«Porca miseria!» esclama, e immediatamente inizia a premere una serie di pulsanti sul pannello di controllo.
«Che c’è?»
«Qualcuno ci ha presi di mira.»
Le telecamere montate sullo skimmer c’inviano immagini da sotto e da dietro il velivolo: non vedo altro che un limpido cielo azzurro e le fitte chiome degli alberi sotto di noi.
«Da dove vengono?» chiede Marina, scrutando fuori dal finestrino.
«Da lì.» Adam punta un dito sullo schermo: una navicella da ricognizione mogadorian uguale alla nostra ci si avvicina lentamente dal basso. Il tettuccio è dipinto in sfumature di verde, per camuffarsi nella foresta da cui proviene.
«Possiamo seminarli?»
«Ci posso provare», risponde Adam, tirando verso il basso la leva dell’acceleratore.
«Oppure possiamo abbatterli», suggerisco.
Mentre acceleriamo, alla luce rossa che lampeggia sulla console se ne aggiungono altre tre. Due skimmer identici spuntano dalla giungla davanti a noi, un altro ci si affianca. Il primo ci sta ancora alle calcagna. Circondato, Adam è costretto a rallentare. Gli altri skimmer ci accerchiano.
«Anche loro hanno i cannoni?» chiede Marina.
«Sì», risponde Adam. «Siamo in netto svantaggio.»
«Non del tutto», dico, e mi concentro sul cielo. Lentamente l’azzurro inizia a scurirsi, le nubi che ho evocato si addensano.
«Aspetta, meglio non fargli sapere che siete entrambe a bordo», avverte Adam.
«Sei sicuro che non ci abbatteranno?»
«Al novanta per cento.»
Smetto di evocare la tempesta. Le nubi si disperdono in cielo.
Un istante dopo, dalla plancia di comando risuona un allarme.
«Ci stanno chiamando, vogliono comunicare», dice Adam.
Mi viene in mente un altro piano, che non richiede di combattere a mezz’aria e in inferiorità numerica. «Hai detto che tuo padre era un generale, giusto? Allora non puoi... non so, far valere la tua autorità, o qualcosa del genere?»
Adam ci riflette, ma l’allarme suona di nuovo. «Non sono molto benvoluto dal mio popolo. Potrebbero non darmi retta.»
«Be’, è un rischio. La cosa peggiore che può succedere è che ti prendano prigioniero, no?»
Adam fa una smorfia. «Sì.»
«Perciò lasciamo che ci accompagnino a destinazione. Non preoccuparti, ti verremo a riprendere.»
«Be’, qualcosa devi fare», gli dice Marina, indicando il parabrezza: la navicella davanti a noi, impaziente o sospettosa, ha puntato su di noi il cannone.
«Va bene, diventate invisibili», dice Adam.
Mi giro sul sedile e prendo Marina per mano, facendo scomparire me e lei. Dust percepisce il pericolo, si trasforma in un topolino grigio e si rifugia sotto il sedile.
Adam preme un pulsante sulla console: si accende uno schermo.
Un ricognitore mogadorian dall’aspetto minaccioso, con occhi vacui e troppo vicini tra loro, denti corti e appuntiti, fissa Adam con aria di profonda irritazione e bercia qualcosa in lingua mogadorian.
«Il protocollo d’immersione prescrive di parlare in inglese quando siamo sulla Terra, brutto avanzo di laboratorio che non sei altro», ribatte gelido Adam. Si tira a sedere diritto, e all’improvviso ha un’aria così strafottente che mi viene voglia di prenderlo a schiaffi. «Stai parlando con Adamus Sutekh, figlio purosangue del generale Andrakkus Sutekh. Sono stato inviato da mio padre in una missione urgente. Conducimi immediatamente al sito loric.»
Devo ammettere che è un ottimo bugiardo.
L’espressione del ricognitore passa dall’irritazione alla perplessità e poi alla paura. «Sissignore, subito.»
L’uno dopo l’altro, gli skimmer si allontanano da noi e ci lasciano tornare in rotta.
«Ha funzionato», osserva Marina, un po’ sorpresa, lasciandomi andare la mano.
«Per ora», dice Adam, incerto. «Ma era soltanto una recluta. Con gli ufficiali sarà più dura.»
«Non puoi dire semplicemente che tuo padre ti ha mandato qui per controllare i loro progressi?»
«Ipotizzando che non sappiano che ho tradito il nostro popolo e che mio padre mi ha praticamente condannato a morte? Sì, potrebbe funzionare.»
«Devi solo distrarli per un po’», dico. «Finché io e Marina non scopriamo come entrare nel Santuario.»
«Eccolo lì.» Marina indica fuori dal finestrino, mentre lo skimmer inizia la discesa verso Calakmul.
Sotto di noi ci sono alcuni edifici piccoli e antichi, tutti in pietra calcarea reduce da secoli di erosione e di tentativi della giungla di riappropriarsene. Un’enorme piramide torreggia sugli altri edifici: costruito sulla sommità di un colle, il tempio è massiccio, tutto a gradoni ripidi e malandati. Non vedo bene da quella distanza, ma mi sembra che in cima ci sia una specie di porta.
Faccio un verso di disappunto. «Scommetto che dobbiamo arrampicarci su quel coso.»
«È il Santuario, ne sono sicura», replica Marina.
«Ne sono sicuri anche i miei simili, a quanto pare», dice Adam.
I Mogadorian hanno diboscato la giungla in un anello perfetto intorno al Santuario, abbattendo tutti gli alberi: sullo spiazzo è parcheggiata un’intera flotta di navicelle da ricognizione. Lì accanto vedo una serie di tende in cui devono essere accampati i Mog. Ci sono anche un paio di grossi lanciamissili e cannoni, tutti puntati sul tempio, eppure la struttura sembra incolume. Stranamente, alla base della piramide cresce ancora qualche albero; i folti rampicanti che si aggrappano alle pareti sono in netto contrasto con l’ordine assoluto che regna nell’anello di terra diboscato dai Mog, dove tutto ciò che era naturale è stato spazzato via.
«È come se qualcosa avesse impedito loro di avvicinarsi», commenta Marina.
Annuisco. «Malcolm ha detto che solo i Garde possono entrare.»
Le navicelle che ci hanno scortato atterrano sulla pista di fortuna, Adam si ferma a pochi metri da loro. Il Santuario incombe in lontananza: ci separano dal tempio solo una striscia di terra e un piccolo esercito di Mogadorian che ha iniziato a radunarsi sulla pista, imbracciando i fucili.
«Un bel comitato di accoglienza», dico.
Guardando i propri simili sullo schermo, Adam deglutisce con forza e si toglie la cintura di sicurezza. «Andrò io per primo. Troverò un modo per farli allontanare. Voi entrate nel Santuario.»
«Non mi piace, ce ne sono troppi», dice Marina.
«Andrà tutto bene. Entrate e fate quello che siete venute a fare», ribatte Adam. Poi apre il portellone dell’abitacolo e salta sulla carena dello skimmer. Lì sotto lo aspetta una trentina di Mog; altri stanno uscendo dalle tende.
Io e Marina ci accovacciamo dentro lo skimmer, con le mani vicine nel caso dovessimo diventare invisibili.
«Chi comanda, qui?» grida Adam, drizzando le spalle e dandosi arie da purosangue.
Si fa avanti una Mog alta, con un soprabito nero senza maniche e due grosse trecce che partono dalle tempie e girano intorno alla testa, circondando i tradizionali tatuaggi mog. Ha le mani bendate, come se si fosse ferita o ustionata di recente. «Sono Phiri Dun-Ra, figlia purosangue del benemerito Magoth Dun-Ra.» È impettita e fiera quasi quanto Adam. «Cosa ci fai qui, Sutekh?»
Adam salta giù dalla nostra navicella e scuote la testa per scostare i capelli dagli occhi. «Ho ordine dal Benevolo Condottiero in persona d’ispezionare questo sito per prepararlo al suo arrivo.»
Un fremito serpeggia tra i Mog quando Adam nomina Setrákus Ra. Molti di loro si scambiano sguardi nervosi.
Phiri Dun-Ra resta impassibile. Avanza a lunghi passi, lasciando dondolare il fucile lungo il fianco. I movimenti da predatore, la scintilla negli occhi che sembra promettere guai mi fanno stringere lo stomaco. È molto più intelligente degli altri guerrieri mog che ho conosciuto. «Ah, il Benevolo Condottiero. Ma certo.» Indica il tempio in lontananza. «Da dove volete iniziare l’ispezione, signore?»
Adam fa un passo verso l’accampamento mog e apre la bocca per parlare.
Con un gesto fulmineo, Phiri lo colpisce sulla bocca col calcio del fucile facendolo stramazzare a terra. «Che ne dici d’ispezionare l’interno di una cella, traditore?» ringhia, in piedi sopra di lui, puntandogli il fucile in faccia.