«’Si ritiene che i Mogadorian, insieme coi loro complici nelle forze di sicurezza nazionale, abbiano combattuto a lungo in New Mexico contro gli eroici Garde’», legge a voce alta Sam. «’Le mie fonti affermano che i Mogadorian sono stati costretti a battere in ritirata quando il loro leader è rimasto ferito. Nessuno sa dove si trovino attualmente i Garde.’»
«È tutto vero. Ma dove ha preso queste informazioni?» chiede Malcolm, girandosi a guardare me.
«Non ne ho idea. Non siamo rimasti in contatto, dopo Paradise.» Mi sporgo sopra la spalla di Sam per leggere l’articolo successivo. Sono sconcertato dalla quantità di informazioni che Mark James – o chiunque sia – ha pubblicato su Sono tra noi. Un resoconto della nostra battaglia alla base di Dulce, ipotesi preliminari sull’attacco a Chicago, editoriali fin troppo approfonditi sull’aspetto fisico e sulle abilità dei Mog, e appelli all’umanità perché sostenga l’azione dei Loric. Ci sono articoli su argomenti che non avevo mai preso in considerazione: addirittura elenchi di membri del governo americano che sono complici dei Mogadorian.
Sam clicca su un articolo in cui Mark accusa il segretario della Difesa, Bud Sanderson, di usare il proprio potere per spianare la strada a un’invasione mog. Poi leggiamo un altro articolo, dal titolo: SEGRETARIO CORROTTO SI SOTTOPONE ALL’INGEGNERIA GENETICA MOGADORIAN. Il testo è accompagnato da due immagini di Sanderson, una vecchia di cinque anni e una di pochi mesi fa. Nella prima foto, è un quasi ottantenne dall’aria trasandata, sovrappeso; ha il doppio mento e il viso punteggiato di macchie d’età. Nella seconda è dimagrito, ha una folta chioma argentata e sprizza salute da tutti i pori. Sembra quasi che abbia viaggiato nel tempo. Scommetto che chiunque penserebbe a un trucco, magari a una foto di vent’anni fa spacciata per una foto di oggi. Ma, se c’è da credere alle parole di Mark, il segretario della Difesa è decisamente cambiato: non è solo questione di dieta e di esercizio fisico, e neppure di chirurgia plastica.
«Come può Mark sapere tutte queste cose?» Sam scrolla la testa, incredulo. «Sarah, tu e lui uscivate insieme. Sapeva leggere, almeno?»
«Sì», risponde stizzita Sarah. «Mark sapeva leggere.»
«Ma non è mai stato... be’, portato per il giornalismo, no? Questa roba sembra WikiLeaks.»
«Le persone tendono a cambiare, quando scoprono che gli alieni esistono davvero», ribatte Sarah. «A me sembra che stia cercando di aiutarci.»
«Non abbiamo la certezza che sia davvero Mark», osservo, perplesso.
Adam è rimasto in silenzio da quando abbiamo iniziato a consultare il sito. Ci ascolta pensieroso, col mento posato sulla mano.
«Potrebbe essere una trappola?» gli chiedo.
«Certo», risponde senza esitare. «Ma, se lo è, è una trappola complicata. E stento a credere che Setrákus Ra ammetterebbe di essere stato cacciato dalla base di Dulce, anche se servisse a ingannare te.»
«È vero quello che scrive sul segretario della Difesa?» gli chiede Malcolm.
Adam fa spallucce. «Non lo so. Può essere.»
«Ora gli scrivo un’e-mail», annuncia Sarah.
«Aspetta...» fa Adam, in tono un po’ più cortese rispetto a quando ha bocciato la mia idea di andare a salvare gli altri. «Se questo Mark ha davvero accesso a tutte quelle informazioni riservate...»
Sam sghignazza.
«... i miei simili staranno sicuramente monitorando le sue comunicazioni», conclude Adam, scoccando un’occhiataccia a Sam. Poi si rivolge di nuovo a Sarah. «E di sicuro leggono le tue e-mail.»
Sarah solleva lentamente le dita dalla tastiera. «E tu non puoi farci niente?»
«So come funzionano i loro sistemi di tracciamento informatico. Ero... molto bravo in queste cose, durante l’addestramento. Potrei elaborare un codice di cifratura, dirottare il nostro IP attraverso altri server in altre città.» Adam si gira verso di me, come per chiedermi il permesso. «Prima o poi se ne accorgerebbero, comunque. Per stare sul sicuro dovremmo andarcene da qui entro ventiquattr’ore.»
«Procedi», gli dico. «In ogni caso, è meglio non fermarci mai troppo a lungo nello stesso posto.»
Adam inizia subito a digitare sul proprio laptop.
«Dovresti dirottarli verso i posti più assurdi, fargli credere che Sarah sia in Russia o qualcosa del genere», suggerisce Sam.
Adam gli rivolge un sorriso complice. «Consideralo già fatto.» Impiega circa venti minuti per scrivere il codice che reindirizzerà il nostro indirizzo IP attraverso una dozzina di località remote.
Ripenso al complesso sistema informatico di Henri e alla rete telematica ancora più articolata che Sandor aveva costruito a Chicago. Poi immagino cento Mogadorian uguali a Adam, chini sulle tastiere a darci la caccia. Non ho mai dubitato che la paranoia dei nostri Cêpan fosse giustificata, ma vedendo lavorare Adam capisco finalmente quanto era necessaria.
«Accidenti!» esclama Sarah quando finalmente apre la casella di posta elettronica. I messaggi non letti, in grassetto, sono tutti di Mark James. «È davvero lui.»
«Oppure i Mog si sono infiltrati nella sua casella di posta elettronica», ipotizza Sam.
«Ne dubito.» Adam scuote il capo. «I miei simili sono meticolosi, certo, ma questo metodo mi sembra... troppo contorto.»
Guardo l’oggetto delle e-mail: sono tutti in stampatello e con molti punti esclamativi. Qualche mese fa, l’idea che Mark James inondasse di spam la mia ragazza mi avrebbe irritato, ma ora la nostra rivalità mi sembra appartenere a un’altra vita, come se quelle cose fossero successe a qualcun altro. «Quanto tempo era che non controllavi le e-mail?» chiedo.
«Qualche settimana? Non ricordo, di preciso», risponde Sarah. «Ho avuto un po’ da fare.» Apre il messaggio più recente di Mark.
Sarah,
non so perché continuo a spedire queste e-mail. Una parte di me spera che tu le legga, che le usi per aiutare i Loric, e che non possa rispondere per motivi di sicurezza. Un’altra parte di me teme che tu non ci sia più, che te ne sia andata. Mi rifiuto di crederci, ma...
Ho bisogno di avere tue notizie.
Pensavo di averti rintracciata in New Mexico, ma ho trovato soltanto una base militare deserta e le tracce di una grande battaglia. Molto più grande e cruenta di quella che si è svolta a Paradise. Spero che vi siate salvati tutti. Spero davvero di non essere rimasto da solo a combattere contro quegli stronzi. Sarebbe un vero schifo.
Un amico mi ha messo a disposizione un rifugio sicuro. Un nascondiglio. Un posto in cui possiamo impegnarci per far sapere al mondo intero la verità su quei mostri pallidi. Se riesci a metterti in contatto con me, troverò un modo per inviarti le coordinate. Abbiamo scoperto qualcosa di grosso. A livello internazionale. Ma non so come usare queste informazioni.
Se stai leggendo questa mail, se sei ancora in contatto con John, è il momento giusto per farti viva. Ho bisogno del tuo aiuto.
Mark
Sarah si gira verso di me, con un’espressione determinata stampata sul viso. Ho già visto quell’espressione, la conosco bene. È il modo in cui mi guarda sempre quando sta per dirmi che vuole fare qualcosa di pericoloso.
Non ha bisogno di dirmelo, lo so già: Sarah vuole trovare Mark James.
L’orologio sul cruscotto segna le 07:45. Abbiamo quindici minuti prima che l’autobus parta per l’Alabama.
Mi restano quindici minuti da trascorrere con Sarah Hart.
Un quarto d’ora è il tempo che Adam ha impiegato per cifrare l’e-mail di Sarah e proteggerla dagli hacker mogadorian. Sarah ha scritto un breve messaggio a Mark, che ha risposto quasi subito con l’indirizzo di un ristorante di Huntsville. Ha detto a Sarah che avrebbe tenuto d’occhio quel posto per qualche giorno: se lei era davvero Sarah Hart, si sarebbero incontrati lì e lui l’avrebbe accompagnata nel proprio nascondiglio. Almeno prende qualche precauzione, mi sono detto.
Dopo il breve scambio di messaggi, Adam ha subito cancellato entrambi gli account di posta elettronica.
E adesso eccoci qui.
Siamo in auto, fermi davanti alla stazione degli autobus al centro di Baltimora, affollata anche al tramonto. Io sono al volante, Sarah è seduta accanto a me. Non diamo nell’occhio: siamo due adolescenti a bordo di una vecchia macchina, che si salutano prima che uno dei due parta.
«Continuo ad aspettare il momento in cui cerchi di dissuadermi», dice Sarah, con un sorriso triste. «Dirai che è troppo pericoloso, litigheremo, vincerò io e partirò comunque.»
«È pericoloso, sì», dico, girandomi a guardarla. «E non voglio che tu parta.»
«Ecco, ora ti riconosco.» Mi prende la mano, intreccia le dita alle mie.
Passo l’altra mano tra i suoi capelli, poi gliela poso delicatamente sulla nuca per spingerla verso di me. «Ma non è più pericoloso che restare qui con me.»
«Questo è il John iperprotettivo che conosco e amo», dice Sarah, con un sorriso complice. «Questi addii sono sempre difficili, vero?»
«Sì. Non migliorano col tempo.»
Restiamo in silenzio, ci abbracciamo stretti e guardiamo passare i minuti sull’orologio del cruscotto.
Prima, nella fabbrica, non abbiamo dibattuto a lungo sull’opportunità che Sarah andasse a cercare Mark James: erano tutti convinti che fosse la cosa giusta da fare. Se davvero Mark è riuscito a trovare informazioni cruciali sui Mogadorian, e se rischia la vita per aiutarci, dobbiamo ricambiare il favore. Ma gli altri Garde sono ancora dispersi. E il piano di Adam per l’attacco alla roccaforte mogadorian di Washington sembra sempre più una buona idea, una mossa strategica, che servirà a raccogliere informazioni e a far vedere a quei bastardi che siamo ancora pronti a combattere. Stanno succedendo troppe cose insieme, non possiamo dedicare tutte le nostre risorse nella ricerca di Mark. E Sarah ha risolto il problema offrendosi volontaria.
Naturalmente, inviarla da sola in una missione potenzialmente pericolosa, e in compagnia di un suo ex, non mi sembra proprio un’idea geniale. Ma non riesco a non pensare che il terribile futuro che ho visto nel sogno di Ella stia per realizzarsi. E, se è così, abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile. Se c’è anche la minima possibilità che mandare Sarah in Alabama ci aiuti a vincere questa guerra, è un rischio che dobbiamo correre, a dispetto del mio egoismo.
E comunque non viaggerà da sola.
Sul sedile posteriore, Bernie Kosar appoggia le zampe sul finestrino e scodinzola furiosamente guardando la gente che entra ed esce dalla stazione degli autobus. Il mio vecchio amico sembrava messo davvero male dopo la battaglia a Chicago, ma quando ci siamo rimessi in viaggio gli è tornata un po’ di energia. Un tempo, a Paradise, proteggeva me: ora proteggerà Sarah.
«Non devi pensare a me come alla tua ragazza, adesso», dice all’improvviso Sarah, in tono pacato.
Mi tiro indietro e la guardo di sottecchi. «Non sarà facile.»
«Voglio che tu pensi a me come a un soldato», insiste lei. «Un soldato che combatte in questa guerra e fa il proprio dovere. Non so bene cosa troverò laggiù, ma ho la strana sensazione che da lì riuscirò ad aiutarti di più. Se non altro, non ti sarò d’intralcio nelle battaglie.»
«Non mi sei d’intralcio.»
Sarah liquida la mia replica con un cenno della mano. «Non importa, John. Voglio stare con te, voglio vedere che stai bene, voglio vederti vincere. Ma non tutti i soldati possono combattere in prima linea, no? Qualcuno può rendersi più utile lontano dal fronte.»
«Sarah...»
«Ho con me il telefono», continua indicando lo zaino, che ha riempito in tutta fretta. Dentro c’è un telefono usa e getta comprato da Malcolm, oltre a qualche vestito e una pistola. «Mi farò viva ogni otto ore. Ma anche se non hai mie notizie devi andare avanti, continuare a combattere.»
Capisco cosa sta cercando di fare. Non vuole che io corra in Alabama se non ricevo una delle sue telefonate. Vuole che mi concentri sul mio lavoro. Forse percepisce anche lei che ci stiamo avvicinando alla fine di questa guerra, o almeno a un punto di non ritorno.
«Questa cosa è più grande di noi, John.»
«Più grande di noi», ripeto. So che è vero, ma non riesco a farmene una ragione. Non voglio perderla, non voglio dirle addio, ma devo. Guardo le nostre mani intrecciate e ricordo com’erano semplici le cose, almeno per un po’ di tempo, quando ero arrivato a Paradise. «Sai, la prima volta che si è manifestata la mia telecinesi è stata durante quella festa del Ringraziamento a casa tua.»
«Non me l’avevi mai detto», ribatte Sarah, spiazzata dal mio improvviso sentimentalismo. «È stata la cucina di mia madre a ispirarti?»
Ridacchio. «Non lo so, forse. Quella sera Henri si è scontrato coi membri originari del gruppo di Sono tra noi, e coi Mogadorian che li usavano. Dopo la battaglia voleva che ce ne andassimo da Paradise, ma io mi sono rifiutato. E ho usato la telecinesi per immobilizzarlo sul soffitto.»
«La cocciutaggine non ti è mai mancata», commenta Sarah scrollando la testa, ma con un sorriso.
«Gli ho detto che non potevo ricominciare a fuggire. Non dopo Paradise. E dopo te.»
«Oh, John...» Sarah mi appoggia la fronte sul petto.
«Pensavo che non valesse la pena di combattere questa guerra se non potevo averti al mio fianco», le dico, sollevandole delicatamente il mento. «Ma ora, dopo tutto quello che è successo, dopo tutto quello che ho visto, ho capito che sto combattendo per il futuro. Il nostro futuro.»
Con la coda dell’occhio, guardo l’orologio: mancano solo cinque minuti. Mi concentro su Sarah: vorrei avere un’Eredità che mi permettesse di fermare il tempo, o di serbare per sempre questo momento. Asciugo coi pollici le lacrime sulle sue guance. Lei posa una mano sulla mia, la stringe forte, e capisco che sta cercando di farsi forza.
Fa un lungo respiro e ricaccia indietro altre lacrime. «Devo andare, John.»
«Mi fido di te», le dico, in un sussurro concitato. «Non solo ho fiducia che troverai Mark, ma che se le cose si mettono male sopravvivrai. Sono sicuro che tornerai da me tutta intera.»
Sarah mi afferra per la maglietta e mi tira a sé. Le sue lacrime mi bagnano la guancia. Cerco di non pensare a niente – gli amici scomparsi, la guerra, lei che se ne va – e di vivere soltanto nel suo bacio, per un istante. Vorrei poter tornare a Paradise con lei. Non come stanno le cose adesso, ma com’erano mesi fa: quando ci baciavamo di nascosto in camera mia mentre Henri era a fare la spesa, quando ci scambiavamo occhiate furtive durante le lezioni... Era una vita facile, normale. Ma quei tempi sono passati. Non siamo più ragazzini. Siamo guerrieri, e dobbiamo comportarci come tali.
Sarah si stacca da me e, in un unico movimento, per non prolungare troppo un momento così doloroso, apre la portiera e salta giù. Si mette lo zaino in spalla e fa un fischio. «Vieni, Bernie Kosar!»
BK salta sul sedile anteriore, poi mi guarda con la testa piegata di lato come per chiedermi perché non scendo anch’io dalla macchina. Gli do una grattatina dietro l’orecchio buono, e lui guaisce.
«Proteggila», gli dico con la telepatia.
Lui mi appoggia le zampe sulla gamba e si sporge a leccarmi la faccia.
«Quanti baci d’addio», dice Sarah, ridendo. Poi, dopo che BK è saltato giù dal pick-up, gli aggancia il guinzaglio.
«Questo non è un addio», ribatto.
«Hai ragione.» Sarah annuisce, ma il suo sorriso vacilla, una nota d’incertezza si fa strada nella sua voce. «Ci vediamo presto, John Smith. Sta’ attento.»
«Ci vediamo presto. Ti amo, Sarah Hart.»
«Ti amo anch’io.» Si gira e si avvia a lunghi passi verso le porte scorrevoli della stazione degli autobus, con Bernie Kosar che le trotterella dietro. Si volta a guardarmi una sola volta, subito prima di entrare, e io la saluto con la mano. Poi svanisce nella stazione, diretta in qualche località segreta dell’Alabama, in cerca di un modo per aiutarci in questa guerra.
Devo trattenermi dal correrle dietro, quindi stringo il volante finché non mi si sbiancano le nocche. Ma stringo troppo: improvvisamente mi si attiva il Lumen, le mani iniziano a brillare. Non mi succedeva di perdere il controllo da... be’, da quand’ero a Paradise. Faccio un respiro profondo e mi tranquillizzo. Mi guardo intorno per assicurarmi che nessuno mi abbia visto. Giro la chiave nel quadro, accendo il motore e mi allontano dalla stazione degli autobus.
Sarah mi manca. Mi manca già.
Mi dirigo verso uno dei quartieri più malfamati di Baltimora, dove mi aspettano Sam, Malcolm e Adam, impegnati a organizzare un attacco. So dove sto andando e cosa sto facendo, ma mi sento lo stesso alla deriva. Ripenso alla mia breve colluttazione con Adam nell’attico distrutto del John Hancock, quando ho rischiato di precipitare dalla finestra. Quel senso di vuoto alle mie spalle, l’impressione di barcollare sull’orlo di un precipizio... è così che mi sento.
Ma poi immagino le mani di Sarah che mi tirano via da quel baratro. Immagino il giorno in cui ci rivedremo, quando Setrákus Ra sarà stato sconfitto e i Mogadorian saranno stati ricacciati nel gelido vuoto dello spazio. Faccio un sorriso amaro. C’è un solo modo per far avverare quel futuro.
È il momento di combattere.