I grattacieli bruciano.
Scappiamo.
L’astronave mogadorian sorvola New York, bombardando un isolato dopo l’altro con gli enormi cannoni che sparano energia. Ha già partorito decine di navicelle da ricognizione, armate a loro volta, che s’infilano nei viali e scaricano a terra guerrieri pronti a sparare a tutti i civili che incontrano.
Anche altre cose sono saltate giù dall’astronave. Cose affamate, arrabbiate. Non ne ho ancora vista nessuna: ho solo sentito i loro terribili ululati sopra il frastuono delle esplosioni. I piken.
New York è perduta, questo è certo. Ormai è impossibile fermare i Mogadorian. Non so cosa stia succedendo nelle altre città in cui sono state avvistate astronavi da guerra. La rete cellulare è in tilt, il mio telefono satellitare è affondato nell’East River.
Possiamo solo fuggire. Come ho sempre fatto per tutta la vita. Ma ora, purtroppo, un milione di persone fugge con me.
«Correte!» grido a tutti quelli che incontriamo. «Correte finché non vedete più le loro astronavi! Sopravvivete, radunatevi e li sconfiggeremo!»
Sam è con me: è pallidissimo e sembra sul punto di vomitare. Non ha visto ciò che i Mogadorian hanno fatto a Lorien. Aveva passato momenti difficili con noi, ma mai niente del genere. Ho l’impressione che avesse sempre pensato che avremmo vinto. Non immaginava che questo giorno sarebbe davvero arrivato.
L’ho deluso.
Non so dove siano Nove e Cinque. Non ci sono nuove cicatrici sulla mia caviglia, quindi non si sono ancora ammazzati a vicenda.
Ho perso anche l’agente Walker. Lei e i suoi uomini sono rimasti soli: spero che sopravvivano. Forse avranno l’intelligenza di venirci a cercare alle Residenze Ashwood. Sempre che io e Sam riusciamo ad arrivare fin lì.
Corriamo nelle strade piene di fumo, aggiriamo auto ribaltate, ci arrampichiamo sulle macerie. Quando ci passa accanto una delle navicelle da ricognizione, ci tuffiamo in un vicolo o dentro un portone.
Potrei combattere. Con tutta la rabbia che sento dentro, sono sicuro che potrei fare a pezzi i Mog. Riuscirei ad abbattere una navicella, da solo.
Ma non sono solo.
Una ventina di superstiti segue me e Sam. Una famiglia che ho tirato giù con la telecinesi da un balcone in fiamme, due poliziotti imbrattati di sangue, un gruppo di persone uscite dal ristorante in cui si erano nascoste, e altri ancora.
Non posso salvare tutta la città, ma farò il possibile. Non devo cercare lo scontro coi Mog, almeno finché non avrò messo al sicuro queste persone.
Ma è lo scontro a trovare me.
Attraversiamo un incrocio in cui i cavi dell’alta tensione caduti dai pali sono avvolti intorno alla carcassa bruciata di un autobus, e ci ritroviamo davanti una dozzina di guerrieri mog. Ci puntano i fucili addosso, ma li respingo con una sfera di fuoco prima che riescano a sparare. Quelli che non finiscono inceneriti all’istante vengono colpiti dai poliziotti dietro di me.
Mi guardo alle spalle e rivolgo un cenno agli agenti. «Bella mira.»
«Ti guardiamo le spalle, John Smith», dice uno di loro.
Non mi viene neppure in mente di chiedergli come faccia a sapere il mio nome.
Percorriamo qualche altro isolato, poi sentiamo delle grida. Svoltando l’angolo troviamo una giovane coppia che cerca di fuggire da un condominio in fiamme passando per la scala antincendio. Sembra che i bulloni si siano staccati dal muro vicino al tetto, e ora la scala penzola sopra la strada come un dito piegato. Al quinto piano, il ragazzo è scivolato oltre la ringhiera, e la fidanzata sta cercando disperatamente di tirarlo dentro.
Rivedo il viso di Sarah. Non devo farmi ammazzare, mi dico. Presto saremo di nuovo insieme. Corro verso la scala antincendio e la sorreggo con la telecinesi. «Lasciatevi cadere! Vi prendo io!» grido alla coppia.
«Sei impazzito?» strilla il ragazzo.
Non abbiamo tempo di stare a discutere, quindi li afferro entrambi con la telecinesi e li stacco dalla scala. Mentre li sto calando a terra, sento passi pesanti venire verso di me.
«John, attento!» grida Sam.
Giro la testa. È un piken, e galoppa verso di me a tutta velocità: le sue fauci grondano bava, le zanne sono affilate come rasoi.
Sento gridare qualcuno nel mio gruppo. I poliziotti sparano al mostro, ma non lo rallentano neppure. Gli altri hanno il buonsenso di fuggire. Ma la direzione in cui fuggono li porta dritti sotto la scala antincendio. Che ovviamente sceglie proprio quell’istante per staccarsi completamente dall’edificio.
Ho ancora i due ragazzi sospesi in aria, e ora sorreggo con la telecinesi anche la scala. Cerco di trovare le energie per attivare il Lumen, ma non ci riesco. Sono esausto, è troppo faticoso.
Il piken mi è quasi addosso.
Mi torna in mente il viso di Sarah. Devo provarci. Stringo i denti e mi sforzo ancora.
Con un boato, un’onda di energia colpisce il piken e lo scaraventa in aria. Le zampe muscolose si agitano vanamente. Atterra di schiena sopra un segnale di stop, impalato all’altezza del cuore.
Non sono stato io.
Calo i due ragazzi a terra, al sicuro, getto da parte la scala e mi volto nella direzione da cui è provenuta l’onda di energia.
Sam mi fissa, immobile. Tiene le mani aperte di fronte a sé, come se avesse appena spintonato il piken e non avesse ancora completato il gesto. Batte lentamente le palpebre. Si guarda le mani, poi guarda me. «Porca miseria, sono stato io?»