La fetta di carne davanti a me ha la consistenza del pesce crudo, e quando la infilzo con la forchetta tremola come gelatina. O forse è ancora viva e sta cercando di fuggire, di scivolarmi via dal piatto. Forse, se distolgo lo sguardo, vibrerà più forte e cercherà d’infilarsi in una ventola del condotto di aerazione.
Mi viene da vomitare.
«Mangia», ordina Setrákus Ra.
Ha detto di essere mio nonno. Quel pensiero mi dà ancora più nausea del cibo. Non voglio credergli. Forse è come le visioni, un trucco per mettermi ansia. Ma perché fare tanta fatica? Perché portarmi qui? Perché non uccidermi e basta?
Setrákus Ra siede davanti a me, al capo opposto di un tavolo assurdamente lungo che sembra scolpito nella lava. La sua sedia somiglia a un trono, è fatta della stessa pietra scura del tavolo, ma non è abbastanza grande per il gigantesco guerriero contro cui abbiamo combattuto alla base di Dulce. No, a un certo punto mentre io non lo guardavo Setrákus Ra ha assunto una statura più ragionevole, due metri e mezzo, per potersi chinare comodamente sul manicaretto mogadorian.
Questa capacità di cambiare statura potrebbe essere un’Eredità? Funziona in modo molto simile a quando io cambio età.
«Vuoi farmi delle domande, vero?» ruggisce.
«Cosa sei?»
Setrákus Ra piega la testa di lato. «Che vuoi dire, bambina?»
«Sei un Mogadorian. Io sono una Loric. Non possiamo essere imparentati.»
«Ah, che idea semplicistica. Umani, Loric, Mogadorian... sono solo parole, mia cara. Etichette. Secoli fa, i miei esperimenti hanno dimostrato che il nostro patrimonio genetico poteva essere modificato. Arricchito. Non dovevamo aspettare che Lorien ci donasse le Eredità: potevamo appropriarcene quando ne avevamo bisogno, sfruttarle come ogni altra risorsa.»
«Perché continui a dire noi?» gli chiedo, con voce incrinata. «Tu non sei uno di noi.»
Setrákus Ra accenna un sorriso. «Un tempo ero un Loric. Il decimo Antenato. Fino al giorno in cui sono stato bandito. Poi sono diventato quello che vedi ora: i poteri di un Garde uniti alla forza di un Mogadorian. Un accrescimento evolutivo.»
Iniziano a tremarmi le gambe sotto il tavolo. Smetto di ascoltarlo dopo la menzione del decimo Antenato. Ricordo quella storia, ne parlava la lettera di Crayton. Diceva che mio padre era ossessionato dal fatto che un tempo nella nostra famiglia c’era stato un Antenato. Poteva trattarsi di Setrákus Ra?
«Sei pazzo. E sei un bugiardo», dico.
«Non sono nessuna di quelle cose», replica lui. «Sono realista. Credo nel progresso. Ho alterato il mio patrimonio genetico per somigliare di più a loro, affinché mi accettassero. In cambio della loro lealtà, li ho aiutati a moltiplicarsi. Erano sull’orlo dell’estinzione, e io li ho salvati. Unirmi ai Mogadorian mi ha permesso di proseguire gli esperimenti che spaventavano così tanto i Loric. Ora il mio lavoro è quasi finito. Ben presto, tutte le forme di vita nell’universo – Mogadorian, umani, perfino ciò che resta dei Loric – verranno accresciute sotto la mia attenta guida.»
«Non hai migliorato la vita su Lorien», ribatto. «Li hai uccisi tutti.»
«Si opponevano al progresso», spiega Setrákus Ra, come se la morte di un intero pianeta fosse irrilevante.
«Sei malato.» Non ho paura di rispondergli a tono. So che non mi farà del male, o almeno non ancora. È troppo vanitoso, ci tiene troppo a convertire un’altra Loric alla sua causa. Vuole che accada esattamente ciò che ho visto nel mio incubo. Da quando mi sono risvegliata qui, una squadra di Mogadorian femmine si prende cura di me: mi hanno fatto indossare questo lungo abito da sera nero, molto simile a quello che indossavo nella visione. Prude da morire, devo continuamente sistemarmi la scollatura.
Fisso apertamente il suo volto orribile, e mi detesto perché cerco tracce di una somiglianza. La testa è pallida e tonda, coperta da intricati tatuaggi mogadorian; gli occhi sono neri e vuoti, come quelli dei Mog; i denti sono stati limati per renderli appuntiti. Se guardo attentamente, riesco quasi a vedere le tracce dei Loric nei lineamenti, come rovine archeologiche sepolte sotto il pallore e i disgustosi disegni sulla pelle.
Setrákus Ra alza gli occhi dal piatto e incontra il mio sguardo. «Mangia», ripete. «Devi rimetterti in forze.»
Mi dà ancora i brividi, devo sforzarmi per non distogliere gli occhi. Esito per un momento: non so fin dove posso spingermi con l’insubordinazione, ma non ci tengo proprio ad assaggiare la versione mogadorian del sushi. Lascio cadere la forchetta facendola sbattere rumorosamente sul bordo del piatto.
Il rumore riecheggia nella stanza dal soffitto alto, la sala da pranzo privata di Setrákus Ra, che è poco meno spoglia delle tante stanze fredde e vuote a bordo dell’Anubis. Le pareti sono tappezzate da dipinti in cui i Mogadorian si lanciano audacemente in battaglia. Il soffitto di vetro offre una vista mozzafiato sulla Terra che ruota impercettibilmente nello spazio.
«Non provocarmi, ragazzina. Fa’ come ti dico.»
Spingo via il piatto. «Non ho fame.»
Setrákus Ra mi punta addosso lo sguardo condiscendente di un genitore che vuole mostrare a un bambino indisciplinato di quanta pazienza è capace. «Posso farti riaddormentare e alimentarti con una flebo, se preferisci. Forse al prossimo risveglio, dopo che avremo vinto la guerra, saresti più beneducata. Ma poi non potremmo parlare. Non potresti assistere di persona alla vittoria di tuo nonno. E non potresti meditare sui tuoi vani propositi di fuga.»
Mi si serra la gola. So che prima o poi scenderemo sulla Terra: Setrákus Ra non tiene le sue astronavi in orbita intorno al pianeta solo per poi andarsene via, ci sarà un’invasione. Continuo a ripetermi che quando atterreremo avrò una possibilità di fuggire. Ovviamente Setrákus sa che preferirei morire piuttosto che essere sua prigioniera, o regnare al suo fianco, o qualsiasi cosa abbia in mente; ma, dall’aria tronfia che ha, si direbbe che non gliene importi nulla. Forse pensa di potermi fare il lavaggio del cervello prima che torniamo sulla Terra.
«Come faccio a mangiare, con la tua brutta faccia davanti?» gli chiedo, sperando di veder vacillare quell’arroganza. «Non è esattamente uno stimolo per l’appetito.»
Mi guarda come se cercasse di trattenersi dal saltare sul tavolo e strozzarmi. Dopo un momento allunga una mano verso il bastone posato sul bracciolo della sedia. Riccamente intagliato in un metallo dorato e brillante, con un minaccioso occhio nero sull’impugnatura, è lo stesso che gli ho visto usare durante la battaglia alla base di Dulce. Mi preparo a fronteggiare un attacco.
«Questo è l’Occhio di Thaloc», dice Setrákus Ra. «Come la Terra, un giorno sarà tuo.»
Prima che io possa chiedere spiegazioni, l’occhio di ossidiana lampeggia sull’impugnatura del bastone. Rabbrividisco, ma capisco subito di non essere in pericolo.
È Setrákus Ra che viene scosso dalle convulsioni. Lampi di luce rossa e viola escono dall’Occhio di Thaloc e lo avvolgono dalla testa ai piedi. Un raggio di energia si trasferisce dal bastone a Setrákus, che trema e si contorce: la pelle gli si stacca dal corpo, espandendosi verso l’esterno e vibrando come una bolla che si forma nella cera di una candela.
Al termine del processo, Setrákus ha l’aspetto di un umano. Anzi sembra una star del cinema. Ha assunto la forma di un bell’uomo sui quarantacinque anni, coi capelli brizzolati e impeccabilmente pettinati, con profondi occhi azzurri e con un accenno di barba. È alto, ma non più in modo innaturale, e indossa un elegante completo blu e una camicia ben stirata, aperta sul collo e senza cravatta. Del suo aspetto precedente rimangono solo i tre ciondoli loric con le pietre azzurre, intonate alla camicia.
«Così va meglio?» mi chiede. Al posto della voce roca c’è un baritono melodioso.
Lo guardo sconcertata.
«Ho scelto questa forma a beneficio degli umani», continua Setrákus Ra. «Le nostre ricerche evidenziano che i terrestri sono naturalmente attratti dagli uomini caucasici di mezz’età con queste caratteristiche fisiche. A quanto pare, li considerano affidabili e dotati di capacità di leadership.»
Cerco di far ordine tra i pensieri. «In che senso, a beneficio degli umani?»
Setrákus Ra indica il mio piatto. «Mangia e risponderò alle tue domande. Non è una richiesta irragionevole, no? Credo che gli umani lo chiamino do ut des.»
Guardo il pezzo di carne pallida che mi attende sul piatto. Penso a Sei e Nove e agli altri Garde e mi domando cosa farebbero al mio posto. Sembra che Setrákus Ra abbia voglia di parlare, quindi credo sia meglio dargli corda. Forse, mentre cerca di conquistarmi, si lascerà sfuggire il segreto per sconfiggere i Mogadorian. Se esiste. In ogni caso, un morso di carne bollita sembra un piccolo prezzo da pagare in cambio di informazioni importanti. Non dovrei considerarmi una prigioniera, ma un soldato in missione dietro le linee nemiche.
Ecco, sì, sono una spia.
Prendo coltello e forchetta, ritaglio un quadratino dal bordo della carne e lo infilo in bocca. È praticamente insapore, sembra di mangiare un pezzo di carta appallottolato. È la consistenza a darmi più fastidio: la carne inizia a sfrigolare e sciogliersi non appena tocca la lingua, tanto che non ho bisogno di masticare. Mi torna in mente il modo in cui i Mogadorian si disintegrano quando vengono uccisi, e a quel pensiero devo sforzarmi per trattenere un conato.
«Non è il genere di pietanza cui sei abituata, ma è quanto di meglio l’Anubis sia equipaggiata per produrre», dice Setrákus Ra, quasi in tono di scuse. «Il cibo migliorerà dopo che avremo conquistato la Terra.»
Lo ignoro, perché m’interessa ben poco la cucina mogadorian. «Ho mangiato, ora rispondi alla mia domanda.»
Setrákus Ra piega la testa di lato, sembra affascinato dalla mia schiettezza. «Ho scelto di assumere questa forma perché gli umani la trovano confortante. Mi vestirò così per accettare la loro resa e prendere possesso del pianeta.»
«Non si arrenderanno.»
«Certo che si arrenderanno. A differenza dei Loric, che combattono invano senza possibilità di vittoria, gli umani hanno una lunga tradizione di soggiogamento. Apprezzano le dimostrazioni di forza e accetteranno con gioia i principi del progresso mogadorian.» Setrákus Ra sorride. «E chi non li accetta morirà.»
«Progresso mogadorian?» ripeto. «Ma di che parli? Vuoi far diventare tutti come te? Dei mos...» Mi blocco. Stavo per dargli del mostro, ma poi mi è tornata in mente la visione che ho avuto, durante la quale condannavo spietatamente a morte Sei. E se, in qualche modo, Setrákus Ra si annidasse già dentro di me?
«Mi pare che ci fosse almeno una domanda, mescolata a tutto quell’astio», osserva Setrákus, sempre con quel sorrisetto, che mi fa infuriare ancora di più ora che sfoggia un bel volto umano, e indica il mio piatto: mando giù un altro boccone disgustoso. Lui si schiarisce la voce come se stesse per tenere un discorso. «Sei sangue del mio sangue, nipote, ed è per questo che ti verrà risparmiato il destino che ho in serbo per i Garde che credono di potermi sconfiggere. Perché, diversamente da loro, tu sei in grado di cambiare», spiega. «Un tempo anch’io ero un Loric, ma nei secoli mi sono trasformato in qualcosa di meglio. Una volta conquistata la Terra, assumerò il potere e potrò cambiare la vita di miliardi di persone. Dovranno solo accettare il progresso mogadorian, e il mio lavoro darà finalmente i suoi frutti.»
«Il potere?» Lo guardo socchiudendo gli occhi. «E da dove?»
«Lo vedrai quando sarà il momento, bambina. Allora capirai.»
«Capisco già. Capisco che sei un mostro disgustoso e assassino che si è travestito da Mogadorian.»
Il suo sorriso vacilla per un istante, e mi chiedo se ho esagerato. Poi Setrákus Ra sospira e si passa le dita sulla gola, dove la pelle da umano si scosta rivelando la spessa cicatrice viola. «Pittacus Lore mi ha fatto questa, quando ha cercato di uccidermi», dice, con voce fredda e misurata. «Ero uno di loro, ma lui e gli altri Antenati mi hanno bandito. Sono stato esiliato da Lorien a causa delle mie idee.»
«Immagino che si rifiutassero di eleggerti comandante supremo. Giustamente.»
Setrákus Ra si passa di nuovo una mano sulla gola: la cicatrice scompare. «Avevano già un comandante», dice a voce più bassa, come se quel ricordo lo facesse arrabbiare. «Solo che rifiutavano di ammetterlo.»
«Non capisco.»
«Mia cara, gli Antenati erano governati dal pianeta stesso. Lorien prendeva le decisioni al posto loro: chi diventava Garde e chi Cêpan. Pensavano che il nostro compito fosse custodire il pianeta e lasciare che la natura determinasse il nostro destino. Io non ero d’accordo. Le Eredità concesse da Lorien sono semplicemente una risorsa, come ogni altra cosa. Lasceresti scegliere ai pesci dell’oceano chi ha il diritto di mangiarli? Permetteresti al ferro di decidere quando dev’essere forgiato? Certo che no.»
Cerco di assimilare tutte quelle informazioni e confrontarle con quelle che ho appreso da Crayton e dalla sua lettera. «Volevi solo comandare.»
«Volevo il progresso», ribatte Setrákus Ra. «I Mogadorian l’hanno capito. A differenza dei Loric, erano un popolo pronto per la gloria.»
«Tu sei pazzo.» Spingo via il piatto. Non ne posso più di questa conversazione.
«Sei ancora una bambina», ribatte Setrákus Ra, di nuovo con quel tono condiscendente. «Quando inizierai i tuoi studi, quando scoprirai cos’ho fatto per te e cosa i Loric ti hanno negato, allora capirai. Imparerai ad amarmi e a rispettarmi.»
Mi alzo, anche se non so dove andare. Setrákus Ra è stato cortese con me, finora, ma mi ha fatto capire chiaramente che la mia libertà di movimento negli sterili corridoi dell’Anubis è limitata. Se vuole tenermi qui e costringermi a finire la cena, lo farà. Forse sarebbe più facile lasciar correre tutte le sue bugie e mezze verità, ma non ci riesco. Penso a Nove, a Sei e agli altri: so che loro non terrebbero mai la bocca chiusa di fronte a questo mostro.
«Hai distrutto il nostro pianeta e sei riuscito soltanto a fare del male alla gente», dico, cercando d’imitare il suo tono di superiorità. «Sei un mostro. Non smetterò mai di odiarti.»
Lui sospira, i suoi bei lineamenti si contraggono per un istante in un’espressione costernata. «La rabbia è l’ultimo rifugio degli ignoranti», sentenzia, alzando la mano. «Lascia che ti mostri qualcosa che ti hanno negato, nipote.»
Intorno alla sua mano alzata si forma una spirale luminosa di energia rossa. Intimorita, indietreggio di un passo.
«Gli Antenati hanno scelto chi poteva fuggire da Lorien, e tu non eri tra loro», continua. «Ti hanno negato i privilegi che spettavano agli altri Garde. Rimedierò a questa ingiustizia.»
L’energia si condensa in una sfera crepitante davanti alla mano di Setrákus Ra, resta sospesa lì per un momento e poi schizza verso di me. Mi tuffo di lato. La sfera cambia direzione, viene dritta verso di me come se agisse di propria iniziativa. Rotolo sul pavimento freddo e cerco di schivarla, ma è troppo veloce. Mi brucia l’orlo del vestito e mi si avvinghia alla caviglia.
Grido. Il dolore è lancinante, come una scarica elettrica sulla pelle. Tiro indietro la gamba e cerco di schiaffeggiare il punto in cui la sfera mi ha toccata, come se andassi a fuoco e dovessi percuotere le fiamme per spegnerle.
Ed è allora che la vedo. La sfera rossa di energia è svanita, lasciandosi indietro una banda di tessuto cicatriziale dai contorni irregolari intorno alla caviglia. Ricorda i tatuaggi che ho visto sulle teste dei Mogadorian, ma ha anche qualcosa di familiare e perciò inquietante. È una cicatrice molto simile a quelle che hanno i Garde, e che simboleggiano l’incantesimo loric.
Quando alzo lo sguardo su Setrákus Ra, devo mordermi il labbro per trattenere un grido. La gamba del suo pantalone è stata divorata dal fuoco, e la caviglia è marchiata a fuoco con un simbolo identico al mio.
«Ora siamo uniti anche noi, proprio come loro», dice, con un sorriso beato.