Sono tentato di fermarmi di scatto, ma Adam non sembra intenzionato a rallentare e quindi mantengo il passo. «Stai scherzando?»
«No.» Adam si rabbuia, guarda la strada davanti a sé. «Non andiamo molto d’accordo.»
«Vuoi...?» Non so neppure come dirlo. «Riuscirai a...?»
«Combattere? Uccidere? Sì. Non avrò compassione di lui, perché lui non ne avrà di noi.»
«Ma... tuo padre? Insomma, anche per un Mogadorian mi sembra una cosa un po’ spietata.»
«A questo punto, sconfiggerlo in battaglia è l’unico modo per renderlo orgoglioso di me», ribatte Adam, e aggiunge debolmente: «Non che me ne importi».
Scrollo la testa. «Siete tutti malati.»
Procediamo in silenzio verso l’ingresso delle Residenze Ashwood. Il Mogadorian davanti al cancello ci vede e si ripara gli occhi dal sole per guardarci meglio. Procediamo a velocità costante e non tentiamo di nasconderci. Ci separano dal cancello meno di cinquanta metri, ma agli occhi del Mog potrebbe sembrare che stiamo semplicemente facendo jogging. Non può ancora vedere le pistole che Adam ha addosso.
«Aspetta che siamo un po’ più vicini», dico tra i denti, e Adam annuisce.
Quando siamo a trenta metri da lui, il Mog gira la testa e si rivolge ai due compari nella guardiola. Li avverte che forse sta succedendo qualcosa. Li vedo alzarsi, sono sagome in controluce davanti alla finestra: ci guardano. Il primo arretra leggermente e allunga la mano verso l’arma che sicuramente porta nascosta sotto la giacca. Ma esita. Non pensavano proprio che saremmo venuti a cercarli. Non sono preparati.
Quando mancano venti metri, accendo il Lumen: le fiamme mi si sprigionano dalle mani. Accanto a me, senza smettere di correre, Adam estrae entrambe le pistole e prende la mira.
Il Mog più vicino cerca di sguainare il fucile, ma è troppo lento. Adam spara due colpi, uno da ciascuna pistola, entrambi smorzati dal silenziatore. Colpito due volte al petto, il Mog barcolla per un momento e poi esplode in una nube di cenere.
Lancio una sfera di fuoco verso la guardiola del cancello. I Mogadorian all’interno cercano di reagire, ma neanche loro sono abbastanza rapidi. La sfera di fuoco manda in frantumi la finestra e avviluppa nelle fiamme uno dei Mog. L’altro riesce a lanciarsi fuori dalla porta, col fuoco che gli lambisce la schiena. Si ferma proprio di fronte al cancello chiuso di Ashwood, quindi attivo la telecinesi e sollevo dai cardini la pesante struttura di ferro battuto, mandandola a schiacciare il Mog.
«Pensi che gli altri ci abbiano sentiti?» chiedo a Adam, mentre giriamo intorno al cancello divelto ed entriamo nelle Residenze Ashwood.
«Be’, non siamo stati molto discreti.»
Sento la voce di Sam nell’auricolare: «Ne arrivano quattro dal vialetto d’accesso, coi fucili spianati».
Il vialetto è in salita e fa una leggera curva in cima, prima di raggiungere le case. Non ci sono molti nascondigli.
«Sta’ dietro di me», dico a Adam.
In quell’istante i Mog svoltano la curva e senza fare domande aprono il fuoco. Adam s’infila dietro di me mentre il mio scudo si apre come un paracadute: un tessuto rosso che si espande a partire dall’avambraccio per parare i colpi.
Adam mi agguanta per la maglietta. «Non ti fermare.»
Avanzo verso i Mog, mentre lo scudo incassa altri raggi infuocati dai loro fucili. Il braccialetto continua a tremarmi dolorosamente sul polso. Seguendomi da vicino per non essere colpito, Adam si sporge per un istante oltre il bordo dello scudo e abbatte due Mog in un colpo solo. Gli altri due battono in ritirata. Io abbasso lo scudo e scaglio una sfera di fuoco che esplode tra i due, scaraventandoli entrambi a terra. Adam li finisce con qualche pallottola ben mirata. Ora che siamo momentaneamente fuori pericolo, lo scudo si ritrae nel braccialetto.
«Niente male», dico.
«Era solo l’inizio», ribatte Adam.
Percorriamo di corsa il vialetto, svoltiamo la curva e vediamo le lussuose case di Ashwood. Fuori non c’è nessuno e tutte le finestre sono buie; sembra una città fantasma. Alla nostra destra vedo la vecchia casa di Adam, e poco più avanti il camion dei rifiuti e la sedia supertecnologica che il meccanico stava ispezionando. Le squadre di recupero, il meccanico e il generale sono spariti.
«Arrivano dal giardino sul retro!» grida Sam.
Io e Adam ci giriamo appena in tempo per vedere uno squadrone di guerrieri mog avanzare verso di noi nascosto tra due case. Sarebbe stata un’imboscata efficace se non avessimo avuto le vedette sugli alberi. Quando i Mog alzano i fucili, Adam è già pronto: batte un piede sul terreno, e una vibrazione fortissima si propaga verso di loro, sollevando pezzi di asfalto e zolle di prato. I Mog più vicini vengono scaraventati a terra, altri barcollano e uno spara per errore alla schiena di un altro.
«Li finisco io!» dico a Adam. «Tu va’ a controllare che non chiamino i rinforzi.»
Lui annuisce e si avvia di corsa sul prato verso la sua vecchia casa. Nel frattempo, accanto ai Mogadorian storditi, noto un serbatoio di metallo che si è staccato dal muro di un edificio. Tendendo l’orecchio sento uscire un lieve sibilo. Mi viene quasi da ridere al pensiero del colpo di fortuna che mi è capitato: sono le tubazioni del gas.
Lancio una sfera di fuoco contro i Mog, prima che riescano a riprendersi. La sfera sfreccia a un millimetro dal capopattuglia, e mi sembra di vederlo ghignare, convinto che io abbia mancato il colpo, in quei due secondi prima che il serbatoio di propano esploda incenerendoli tutti. Le finestre delle due case vicine esplodono verso l’interno per la forza dell’onda d’urto, e all’esterno si formano grandi chiazze nere di bruciato; l’erba prende fuoco. Devo sforzarmi per non trovare affascinante quella scena di distruzione: mi sembra quasi catartico fare a pezzi quel posto, abbattere ciò che i Mog hanno costruito, dopo tutte le volte che loro mi hanno impedito di costruirmi una vita normale.
«Accidenti, l’abbiamo sentito fin quaggiù!» esclama Sam.
Tiro fuori il walkie-talkie dalla tasca posteriore dei jeans. «Com’è la situazione?»
«Via libera. Ma è strano, pensavo che ce ne sarebbero stati di più.»
«Potrebbero essere giù nelle gallerie», dico, avviandomi verso la casa in cui è entrato Adam. Lungo il tragitto guardo nelle finestre, temendo di vedere dei Mog appostati. C’è davvero troppo silenzio.
«E quell’energumeno del generale...» aggiunge Sam. «Non era con gli altri che hai fatto esplodere.»
Sto attraversando il prato davanti alla casa di Adam quando la finestra della facciata esplode e Adam viene scaraventato fuori. Batte con forza le gambe sulla ringhiera della veranda, finisce a testa in giù e atterra sul prato come una bambola di pezza.
Corro da lui mentre tenta faticosamente di rialzarsi. «Cos’è successo?» grido.
«Mio padre... non è contento», risponde, in un lamento, alzando lo sguardo su di me mentre mi accovaccio. Una grossa scheggia di vetro gli esce dalla guancia, un rivolo di sangue gli cola sul collo. Estrae la scheggia e la getta via.
«Riesci ad alzarti?» gli chiedo, prendendolo per la spalla.
Prima che Adam possa rispondere, una voce tonante c’interrompe: «Numero Quattro!»
Il generale Sutekh esce a lunghi passi dalla porta della casa e resta a guardarmi dalla veranda. È altissimo e muscoloso. I tatuaggi sul cranio pallido sono i più intricati che abbia mai visto, dopo quelli di Setrákus Ra. Percepisco un movimento alle sue spalle: altri Mogadorian, non so quanti. Sono ancora dentro la casa. Sembra quasi che il generale voglia risolvere la questione da solo.
Lo fronteggio, con le mani lucenti e calde: una sfera di fuoco mi galleggia sul palmo. «Sai chi sono, eh?»
«Sì. Da molto tempo speravo d’incontrarti.»
«Meglio così. Se mi conosci, allora sai che non hai speranze contro di me.» Allungo il collo per guardare dietro di lui. «Non avete speranze.»
Il generale sorride. «Strafottenza: una gradevole novità. L’ultimo Loric che ho incontrato è fuggito, e ho dovuto pugnalarlo alla schiena.»
Ne ho abbastanza di parlare: gli scaglio addosso la sfera di fuoco. Il generale la vede arrivare, si china e, con un movimento sorprendentemente fluido, sguaina la spada. Fende l’aria davanti a sé proprio mentre la sfera di fuoco si avvicina, e la lucente lama mogadorian intercetta il mio attacco.
Così non va.
Il generale salta giù dalla veranda, con la spada sollevata sopra la testa, e vibra un colpo potentissimo verso di me. È veloce, molto più degli altri Mog contro cui ho combattuto, e ho appena il tempo di aprire lo scudo prima di essere affettato. Lo scudo para il colpo con un gran rimbombo, ma la forza dell’urto basta a farmi cadere all’indietro.
«John!» grida Adam.
Il generale, atterrato proprio accanto a lui, si prende un momento per sferrargli un calcio in faccia facendolo rotolare via. «Sei una perenne delusione», sibila, a voce così bassa che lo sento a malapena. «Sta’ giù, e forse avrò pietà di te.»
Mi rialzo subito in ginocchio e mi preparo a lanciare un’altra sfera di fuoco. Il generale punta la spada su di me e sento una corrente d’aria, quasi come se la lama stesse risucchiando l’energia intorno a sé. La sfera di fuoco vacilla e si rimpicciolisce, costringendomi a uno sforzo maggiore per tenerla accesa. Nel frattempo l’erba intorno al generale diventa marrone: la lama la sta seccando. Non vedevo un’arma mog di quel genere dai tempi della battaglia nei boschi intorno alla scuola di Paradise.
«Non lasciarti colpire!» mi avverte Adam, sputando sangue.
Ma l’avvertimento arriva troppo tardi.
Un lampo a forma di pugnale schizza fuori dalla spada mog e saetta verso di me: è un’energia nera, o per meglio dire priva di qualsiasi colore, e modifica la consistenza stessa dell’aria che attraversa, risucchiando vita e ossigeno come un piccolo buco nero.
Non faccio in tempo a schivarla. Il mio scudo si riapre, espandendosi a mo’ di ombrello come al solito, ma quando viene colpito diventa nero e fragile. Lentamente inizia a sbriciolarsi, va in cenere come un Mog appena morto. Venature scure, come di ruggine, si formano anche sul braccialetto, e mi affretto a togliermelo prima che arrivino a toccarmi la pelle. Quando tocca terra, il braccialetto si spezza a metà.
Il generale mi sorride di nuovo e chiede: «Come pensi di fuggire, ora?»