Eva dentro al taxi stava andando al suo appuntamento con Kosmàs. Sapeva che lui avrebbe dovuto accompagnare il suo Comandante al Parlamento ma dopo era libero e sarebbero andati a mangiare insieme a Kolonaki. Anche Eva nel passato era stata un membro dell'EYP.
Aveva trentacinque anni ma ne dimostrava almeno dieci di meno. Il suo essere sempre vestita secondo le ultime tendenze della moda, il suo corpo armonioso, gli occhi azzurri e i lunghi capelli biondoscuro le causavano enormi problemi nei rapporti di collaborazione con tutte le donne dipendenti pubbliche. L’avrebbero volentieri voluta fuori dai loro sguardi, non erano sufficienti le sue alte cariche di funzionario: lei era troppo bella!
«Che vuoi ragazza mia?» le chiedeva con alterigia quella strega con lo chignon quando portava qualcosa alla firma del Generale.
«Ho portato una cartella per la firma da parte della IV Divisione, signora Sofia», le rispondeva con attenzione. Aveva proprio un problema con questa tipa segaligna nell'ufficio del Comandante. O meglio, Sofia aveva un qualche problema con lei, non Eva. Le parlava sempre bruscamente e con disprezzo, soprattutto dal momento in cui l'aveva vista con Kosmàs progettare le missioni antipedinamento. Non bastava che tutti spettegolassero nell’Agenzia per le sue costose abitudini sartoriali, c'era anche la segretaria del Comandante che la guardava come fosse una nullità. Questo era stato anche uno dei motivi per cui alla fine aveva fatto richiesta di allontanamento dall’Agenzia, sebbene fosse un’analista bella e spaventosamente brava con una acuta facoltà di giudizio e un archivio completo. Aveva fatto un salto nel vuoto, che comunque alla fine l'aveva portata a una carriera accademica interessante. Non sopportava quelle zitelle acide che facevano commenti e tentavano di sabotarla in continuazione. I relitti umani, gli ignoranti e le brutte persone le avevano reso la vita difficile.
Ora, la sua vita quotidiana era monopolizzata ormai dall'Università e il suo unico problema era quello di tenere a distanza i giovani studenti che spesso dimenticavano la sua qualifica di assistente e la vedevano come una bella collega bionda.
«Signor Rettore, buongiorno», aveva sorriso, facendo il primo passo nel suo ufficio, il primo giorno.
«Signorina, gli studenti si ricevono solo il martedì e il giovedì mattina», le aveva detto. E così il Rettore, che la prima volta che l'aveva vista l'aveva scambiata per una studentessa, ancora le chiedeva scusa, per quel loro primo incontro nel suo ufficio.
Kosmàs l'aveva invitata a pranzo. Nel suo profondo tuttavia sapeva che lo avrebbe aiutato in ogni caso ancora una volta. Lo ammirava da sempre... e lui non dimenticava mai la sua formazione. Vuoi per caso, vuoi per paura, vuoi per coincidenza non erano mai arrivati più vicino. Tuttavia ogni volta che lo incontrava le batteva il cuore. Non glielo aveva mai detto. E lui d'altra parte nonostante avesse un qualcosa di dolce nello sguardo, aveva cura di mantenere una certa distanza. La deontologia professionale di Kosmàs era implacabile: "Non mandare al diavolo l’equipaggio", le diceva ridendo e doveva riconoscergli che aveva ragione. Tuttavia tutti gli uomini intorno a lei, ma proprio tutti, in un modo o nell'altro, le sembravano abbastanza noiosi e con la scusa che erano senza senso dell'umorismo, in due giorni le venivano a noia. E i suoi amici più stretti sottolineavano costantemente, come stessero bene in coppia lei e Kosmàs.
Quando faceva parte dell’Agenzia erano solo semplici collaboratori. Da cinque anni, da quando Eva lo aveva abbandonato, erano rimasti solo amici. Il suo abbraccio era sempre caldo. Con lui si sentiva sicura, lo conosceva e sapeva che era un "bravo" ragazzo. Forse avrebbe voluto nel suo profondo qualcosa in più da lui, ma il mascalzone tornava a viaggiare in tutta la Grecia e per il mondo, era continuamente in giro per missioni e le narravano delle sue conquiste in ogni città. «Le belle gnocche saranno la tua rovina», gli diceva. Non avrebbe mai potuto dedicarsi ad una sola donna. La considerava un collaboratore e le diceva: «Adoro la tua mente maschile e analitica». Apparteneva a tutte. A tutte tranne che a lei.
«Abbiamo di nuovo un qualche corteo, i sindacati in mezzo», borbottò tra i denti il tassista, imprecando a bassa voce e in maniera incomprensibile.
La polizia aveva chiuso con il nastro via Vasilissis Sofias, davanti al Museo della Guerra e tutti quelli che passavano per il centro erano costretti a svoltare a sinistra, all’altezza di via Rizari. Chiuse lo specchietto, dopo essersi aggiustata in fretta il rossetto, decidendo di raggiungere a piedi il Parlamento.
«Scenderò qui, grazie», e intanto uscì dieci euro.
Senza nascondere il malcontento le girò il resto, continuando a inveire a bassa voce:
«Fanculo i vostri cortei e le vostre esigenze, ancora una volta non si guadagnerà niente oggi... la mia solita fortuna...»
Il tassista era più dispiaciuto che non avrebbe visto ancora le belle gambe con i sandali blu Jimmy Chou attraverso il piccolo specchietto incollato in alto a sinistra del parabrezza, spia astuta messa lì presumibilmente per motivi di sicurezza.
Scese dal taxi, sorrise all'autista di un'altra macchina ferma accanto che la guardava ammirato e, scuotendo i capelli biondi, camminò in fretta e chiese al vigile in piedi in mezzo alla strada in quale punto si trovasse il corteo. Questi le sorrise, si pavoneggiò un poco, alzò la mano con il TETRA e con cipiglio serio da dirigente di polizia le disse, guardando il foulard Hermes che lei teneva al collo:
«Non c'è nessun corteo, è successo “qualcosa di grave” davanti al Parlamento e abbiamo messo in atto le "deviazioni"».
Le parole «qualcosa di grave» e «deviazioni» le disse con un tono così carico di enfasi, così pesante, che se le parole fossero cadute, avrebbero fatto «bam». Un'ambulanza si avvicinava a sirene spiegate, scendendo in direzione opposta alla corrente di traffico diretta verso il Parlamento. Notò che non saliva nessuna auto verso l'Hilton. Il poliziotto velocemente abbassò il nastro per fare passare l'ambulanza che urlava assordante come a voler assordare tutti al suo passaggio.
Rabbrividì, nonostante la giornata fosse calda. Le sue orecchie ora ronzavano per la sirena. Pensò a Kosmàs e a quello che poteva essere successo al Parlamento. Tirò fuori il suo cellulare e subito premette il secondo nome nella lista dei favoriti, dopo quello di sua madre. Sentì il segnale di chiamata insieme con la solita musica classica di Wagner in sottofondo. Ma la chiamata fu rifiutata prima di rispondere. Kosmàs non poteva parlare con lei e questo la faceva preoccupare di più, voleva dirgli che era in ritardo e che stava arrivando a piedi a causa della «deviazione».
«Ritardo, aspettami sul posto», arrivò quasi subito l'SMS e contemporaneamente le restituì un po’ di tranquillità. Cominciò a scendere a piedi verso il Parlamento a passo rapido, quasi di corsa. Le donne, per istinto, presagiscono sempre se qualcosa è andato storto...