Doveva essere sceso per almeno cento scalini. Innanzi a lui il corridoio proseguiva diritto. Proseguì ancora velocemente. Non vedeva niente e dovette fermarsi fino a quando i suoi occhi non si furono abituati al buio pesto. Tenendo la mano destra sulla parete e la sinistra tesa in avanti, continuò a camminare velocemente. Rimase ad ascoltare l'ambiente che lo circondava. Il suo cuore batteva velocemente, nel silenzio di quel luogo riusciva quasi a sentirlo. I passi di corsa che aveva sentito riecheggiare in lontananza, ora non si sentivano più.
Fece una pausa... «Se mi avessero attirato in una trappola? Nessuno mi troverebbe mai qui» pensò e si mise in allerta. Accese per un secondo la torcia del suo iPhone tenendo la mano in alto e dietro la testa per non accecarsi e vide il corridoio continuare diritto per molti metri. La spense all'istante.
Continuò a procedere più velocemente. «Che è qui sotto? Dove diavolo mi trovo, dove vado? Forse devo tornare indietro?» pensò. «E quel tipo... il soggetto… dove diavolo stava andando? C'era, si chiedeva, un rapporto con l'accaduto all'ingresso del Parlamento o era finito lì dentro senza motivo?» intanto continuava a camminare, la mente in subbuglio, i pensieri come foglie secche di un giardino autunnale che in ottobre il vento fa vorticare in piccoli turbini.
Strinse la sua arma nella fondina. Era in uno stato di tensione assoluta. Il senso di soffocamento per i sotterranei gli si era presentato improvvisamente, come un sottomarino che affiora in stato di "emergenza" sulla superficie dell'acqua e scuote con schiume e fracasso le acque. Per il sovraccarico di adrenalina aveva i nervi tesi come le corde di un arco pronto a scagliare la sua freccia.
Il suo istruttore in tecnica di autodifesa Kran Maga, a Kallithea, spesso spegneva tutte le luci in palestra e metteva forti luci stroboscopiche e musica punk rock durante l'ora di addestramento, ed era come trovarsi all'inferno col diavolo dj.
In questo modo lo aveva abituato ad operare anche al buio tanto in difesa quanto in attacco. Vista periferica... «Guarda intorno intorno al punto che vuoi e vedrai meglio, gli diceva» e ora il trucchetto funzionava. «Al massimo entro 5 minuti i suoi occhi si sarebbero abituati». Il suolo sotto i suoi piedi recava le tracce di parecchi calpestii, non c’erano ostacoli, solo alcune pietre qua e là, le pareti di pietra, lisce ed umide. Il forte odore di muffa faceva a gara con quello di umidità ed era al limite della tolleranza.
Aveva percorso un centinaio di metri in linea retta quando sentì un fruscio 15-20 metri davanti a lui. Si fermò. Rimase immobile, gli occhi cominciavano ad abituarsi al buio... gli sembrava di aver visto una sagoma scura in fondo. Trattenne il respiro e si appoggiò al muro con la schiena.
Si abbassò sulle ginocchia, tenendo la schiena attaccata al muro.
La sua giacca si sarebbe ridotta in uno stato pietoso, ma era l'ultimo dei suoi pensieri in quel momento.
«Abbassarsi fino al pavimento, il nemico solitamente spara all’altezza del petto».
Rimase immobile. Prese una pietra da terra e la lanciò tre metri più avanti, nel buio.
Silenzio... E poi, improvvisamente... un soffocato rumore metallico familiare ruppe il silenzio e sentì il tipico sibilo di un proiettile sopra la sua testa.
Sobbalzò in avanti come leopardo in atto di afferrare una giovane antilope. «Μi sta sparando... Spara col silenziatore». Si stese giù e prese l'arma in mano. Lo sentì riprendere a correre veloce. Non sapeva se lo avesse mirato o se semplicemente avesse sparato a casaccio.
Forse non lo aveva visto con quel buio. Sicuramente tuttavia se correva… stava scappando. E se ha occhiali a visione notturna e mi vede? si chiese… impossibile! gli occhiali erano grandi e quello non aveva borsa. Si alzò lentamente. Cominciò a seguirlo quanto più silenziosamente possibile. Le scarpe nere di pelle Todd's erano ottime in quella circostanza. «Torna indietro. E se ha un complice e mi intrappolano tra i due?». Continuò a procedere a passi veloci ma lievi, esercitando sulle punte dei piedi una pressione leggera, quasi da ballerino.
In base alla distanza percorsa… era sicuro di essere già fuori dell'edificio del Grande Bretagne. Dove andava questo corridoio, e dove finiva? E se si fosse imbattuto in un qualche labirinto e si fosse perso? I suoi pensieri lo fecero riandare alle missioni difficili e alle ricerche che avevano fatto insieme con il Generale per il gruppo terroristico del 17 Novembre. Il Generale Nikolaos, oltre ad essere una biblioteca ambulante, era anche un ufficiale operativo di gran valore. Si era persino travestito anche lui in ragazzo per la consegna della Pizza Hut, oltre che conducente di un taxi giallo, per studiare alcuni condomini a Vrilissia, cercando il covo del gruppo.
In lontananza si udì il cigolio di una porta arrugginita e Kosmàs si fermò. Cominciò a camminare più velocemente e le sue gambe si imbatterono in un grosso masso: un passaggio. Gli salì sopra e la sua testa sbattè sul soffitto. Il pavimento non era più di terra ma lastricato. Procedendo chino nella piccolissima luce fioca vide una apertura ad arco di pietra e accovacciandosi la attraversò con attenzione.
Il silenzio continuava ad essere allarmante, il suo battito veloce e il respiro difficile. Accendendo, ancora una volta con attenzione, la sua torcia del cellulare, si accorse di trovarsi in un vano, una camera cinque per cinque, con una piccola colonna dorica nel mezzo e un cancello sul fondo. Si avvicinò al cancello, una grande X formava le diagonali della porta e all’interno di queste diagonali spiccavano le lettere Α Ρ Ω, il tutto pareva un architrave di una iconostasi in una chiesa.
Procedette piano con la stessa attenzione di una madre che non vuole svegliare il suo bambino e tirò verso di sé il cancello. La porta emise lo stesso cigolio che aveva sentito poco prima.
Dunque il soggetto era passato da qui. Si trovò in un'altra stanza, disseminata di frammenti di marmo apparentemente dell'antichità e sul fondo un altro cancello aperto. Procedette, superò il secondo cancello e vide una scala di pietra stretta che in sommità girava verso destra. Dall'alto della scala filtrava un po' di luce. Cominciò a salire lentamente e con molta attenzione con la pistola spianata e i sensi ben all’erta. I suoi occhi si erano ormai abituati del tutto al buio. Salendo lentamente gradino per gradino vide l’ultimo in alto fermarsi su una grande placca metallica, quasi una botola, che sigillava dall'alto la scala e vietava ogni ulteriore proseguimento.
Si concentrò e cercò di ascoltare. Dall'interno del corridoio non proveniva alcun rumore. Sotto i suoi piedi vide qualcosa di scuro. Si chinò e lo prese tra le mani. Una barba di plastica all’interno ancora umida di colla. Dietro la porta-cancello si udiva un gran frastuono. Chiasso, come di motore in funzione. Non motore, motori che rinforzavano e poi si indebolivano. Poi sentì un colpo di clacson.... Spinse con tutta la sua forza verso l'alto. Il portone di metallo a due battenti era molto pesante.
I raggi del sole filtravano dalle fessure e davano un debole chiarore. Spinse nuovamente e con più forza e allora con un gran rumore i due battenti si aprirono a destra e sinistra e il sole accecante gli bruciò gli occhi. Uscì sul mondo esterno con due falcate e, con lo stesso imbarazzo di un prigioniero rilasciato dopo vent'anni di reclusione che veda per la prima volta il mondo intorno alla sua prigione, si guardò intorno.
Ripose subito la pistola nella fondina e respirò a pieni polmoni l'aria fresca. Era all'interno di un piccolo boschetto. Dietro a lui una chiesa e avanti a lui un viale rumorosissimo. «Merda! Dove mi trovo adesso?» si chiese. Uscì dal boschetto e procedette sul marciapiede del viale. Si guardò intorno cercando il soggetto. In nessun posto... Sparito. Un gruppo di turisti lo guardava curiosamente. Si guardò e vide che il suo vestito blu era tutto bianco di polvere. Costituiva anche lui una attrazione turistica adesso. Guardando i negozi di fronte, capì dove si trovava. Era fuori della Chiesa Russa16, in via Filellinon.