La quiete regnava nel luogo sacro di Dodoni mentre il mattino ritrovava lentamente la sua vitalità. Il caldo sole di giugno faceva evaporare la piccola rugiada dalle foglie degli alberi. Alcune colombe saltellavano di ramo in ramo e se ne udiva il frullare tipico delle ali.
L'antica tradizione greca riconosceva Dodoni come il più antico oracolo greco «perché si pensa che questo oracolo sia il più antico della Grecia, e in quel tempo era il solo» (Erod. 2.52.2), il solo che lo stesso dio amò e nominò come suo oracolo preziosissimo per gli uomini (Esiod. Eoie, fr. 240).
Il frammento di Esiodo fornisce anche informazioni preziose sulla natura ctonia di Giove e il modo in cui le profezie vengono date dallo stesso dio che viveva con la moglie.
Nei tempi omerici (Odis. ξ 327-330, τ 296-299) si conosceva l'importanza della divinazione attraverso il fruscio delle foglie della quercia sacra, simbolo primario della divinazione.
Nell'epoca di Pausania, la quercia era ancora nel Santuario e, insieme con il giunco di Heraion di Samo e l'olivo dell'Acropoli e di Delos, era considerata tra gli alberi più antichi (Paus. 8.23.5). A proposito di qualità profetiche della quercia a Dodoni, elementi interessanti vengono offerte anche nelle «Argonautiche» (Apollod. 1.19.16).
Quando gli Argonauti costruirono Argo, Giasone, su suggerimento di Atena, prese un pezzo di legno della quercia profetica di Dodoni e lo collocò a prua della nave. Così Argo acquisì potere profetico e avrebbe potuto condurre e proteggere gli Argonauti contro i pericoli durante il loro avventuroso viaggio.
Come si evince nelle fonti letterarie e dai dati archeologici, significativo ruolo nella divinazione a Dodoni giocavano anche le colombe, dal momento che attraverso il loro volo e il loro tubare la casta sacerdotale poteva interpretare i messaggi della coppia divina.
Anche se la colomba non è menzionata presto, in letteratura, collegata a Dodoni è molto probabile che suggerisca un rapporto simile una testimonianza indiretta nell'Odissea, durante la storia degli Argonauti. Secondo il racconto non era solo il legno della quercia profetica che guidava Argo nel suo viaggio avventuroso, ma anche la colomba. A questa direzione conducono anche i dati archeologici dal Santuario, secondo i quali la colomba era il simbolo per eccellenza del culto della Madre Terra, che precedette a Dodoni e successivamente di Dione che venne dopo questo culto. (Pind. fr. 259, 263).
Secondo la versione precedente, Elleno il boscaiolo (Filostr. Im. 2.33), l'antenato mitico degli Elleni o dei Selli, figlio di Tessalo, tentò di tagliare la quercia sacra. Ma una colomba che nidificava sull'albero glielo impedì con voce umana (Omero Il. v.234).
Elleno, dopo aver rinunciato al suo atto, da boscaiolo divenne primo sacerdote di Zeus. L'altra tradizione, che si deve al Prosseno (Omero Odis. ξ327), riporta una storia simile: un pastore, Mardylas, arrabbiato con la quercia che ne aveva rivelato un furto, si accinse a tagliare l'albero sacro, ma nuovamente la colomba intervenne e impedì tale oltraggio. Tuttavia, la tradizione post-omerica riporta altri «simboli» divinatori indeterminati e «segni» per i quali non si conosce il significato esatto. Probabilmente tra questi segni, dal IV sec. a.C. almeno, c'era anche il suono dei calderoni con i treppiedi, che circondavano l'albero sacro.
Il suono continuo dei calderoni che venivano utilizzati come mezzo di divinazione a Dodoni, da cui poi venne fuori il proverbiale appellattivo riferito a chi chiacchera incessantemente «Rame Dodoneo» (Stef. Bisanzio l.) Durante il IV sec. a.C. (350-325 a.C.) al posto dei calderoni divinatori fu collocato l'ex voto «di rame» di Corfù, la «Frusta dei Corciresi», che secondo la testimonianza letteraria rappresentò un nuovo modo di profetizzare nel Santuario. L'offerta era costituita da due piccole colonne: una sosteneva una statua di bronzo di un bambino che teneva un flagello con tre sferze armate di aliossi in rame, l'altra un calderone in rame. Le fruste, quando oscillavano per il vento, facevano "gracchiare" il calderone e producevano un suono, con l'aiuto del quale i Sacerdoti di Dodoni vaticinavano.
Riassumendo i dati attuali si osserva che i metodi di divinazione nel Santuario di Dodoni variano e non sono limitati solo a fenomeni naturali (quercia, colombe), ma anche a intervento umano (treppiedi, calderoni, ex voto di Corfù).
Ma la letteratura più recente, e soprattutto il latino, torna e cerca qualità divinatorie nella natura e in particolare nella Fonte Naia, che si collega con la quercia divinatoria. Il villaggio di Servio (nell'Eneide di Virgilio 3.468) fornisce informazioni utili sulla posizione della sorgente alle radici della quercia, per le qualità profetiche e per una vecchia donna, la Pelia, che interpretava le profezie o i messaggi che Dio mandava attraverso la fonte.
Un altro modo di divinazione a Dodoni erano gli oracoli in metallo, che contengono le domande di coloro che si rivolgevano agli oracoli. Per quanto riguarda il rito della divinazione ed i modi con i quali coloro che chiedevano gli oracoli presentarono le loro domande, dalla ricerca ad oggi si evince che le domande degli interessati in principio erano orali, mentre dalla metà del VI sec. a.C. le domande vengono sottoposte anche in forma scritta.
Dal V sec. a.C. in poi la domanda scritta divenne una regola. Le domande sono state incise con uno strumento tagliente in due o tre righe nella superficie morbida delle lastre di piombo la cui forma era rettangolare o a striscia. La risposta del dio sul retro delle lastre raramente viene indicata, contrariamente a questo lato di solito viene inciso un simbolo, le inziali dall'argomento della domanda che è stata sottoposta sulla parte anteriore, come anche le iniziali o anche il nome intero del richiedente perché sia riconosciuto il proprietario della lastra dopo il processo di profetizzazione, perché la maggior parte di queste sono stati trovate piegati con cura.
La maggior parte delle domande sorprende per l'ingenuità del contenuto. Il matrimonio, la procreazione, i problemi familiari, il recupero di oggetti smarriti, l'emigrazione, il commercio e l'orientamento professionale alimentano in maniera scritta il testo delle lastre di piombo.
Dal contenuto delle interrogazioni risulta che il maggior numero di richiedenti responsi erano cittadini privati. Le piastre con contenuto pubblico erano comparativamente minori e le più antiche risalgono alla fine del V sec. a.C. Le più antiche piastre oracolari di contenuto privato risalgono dopo la metà del VI a.C. e le più nuove alla fine del III e del II sec. a.C. Sono scritti in alfabeti diversi e di solito con errori di ortografia e di parola. In generale, le iscrizioni oracolari di Dodoni costituiscono un tesoro prezioso di informazioni linguistiche, storiche e folcloristiche.
L'oracolo continua a funzionare anche nel I sec. a.C., come possiamo supporre, tra le altre cose, da una iscrizione di quegli anni scritta in esametri dattilici e incisa in strigile di ferro, ex voto dell'atleta Ziniketi al Santuario di Dodoni.
La quiete e la sacralità del luogo veniva interrotta dal lungo volo di un elicottero che ad intervalli regolari sorvolava il luogo ad una altezza superiore ai 2.500 piedi, volando in un cerchio di cinque miglia al cui centro era il luogo sacro.
I turisti avevano cominciato a scorrere e insieme a loro decine di agenti in borghese, vestiti da turisti anche loro, riempivano il luogo. La polizia locale aveva avuto istruzione di una maggiore prontezza, senza dettagli specifici sul motivo della grande mobilitazione. La sicurezza parallelamente aveva avuto ordine di passare a setaccio la zona alla ricerca di una qualche già avvenuta attività criminale.
I sospetti e le piccole conversazioni dei membri riguardavano soprattutto l'eventualità di un transito di ricercati latitanti dalle carceri nel tentativo di giustificare la portata e le dimensioni di questo stato di allerta.
Ad Atene, tutta la squadra era in costante comunicazione con Dodoni e al 14o piano dell'EYP era stato istituito un piccolo centro operativo che gestiva comunicazioni e informazioni ricevute tanto da Dodoni che dai siti dei crimini precedenti. Tutti aspettavano con ansia la mossa successiva e l'attenzione era concentrata sulla zona di Dodoni.
I calcoli di Eva e Kosmàs erano chiari e motivati... e poiché non si era ancora trovato nulla, Dodoni doveva essere il prossimo luogo.
Volanti e auto di servizio pattugliavano la zona. In alcuni punti, in alto, i cecchini della Ekam erano diventati tutt'uno con l'ambiente e supervisionavano il luogo attraverso i cannocchiali delle loro armi.
Ad Egina, nello stesso momento, l'agente Chomatàs che aveva avuto un permesso, andava direttamente dal suo Comandante, in Sezione.
«Signor Comandante, mi dispiace ma mi era rimasto questo pezzo di carta in tasca...» la agitò sotto il volto del Comandante... «l’ho trovato nel veicolo dei sospetti l'altro ieri, l'avrei buttato, ma non so... potrebbe essere importante», disse esitante, «veda lei stesso».
«Dai dammelo, imbecille… c'è scritto niente? Che dice?
«Non saprei... non è greco, qualcosa di incomprensibile. Mi scusi davvero...» esitò... «so che avrei dovuto portarglielo prima ma... l'ho completamente dimenticato».
«Non importa eh... in altre condizioni avresti subito delle conseguenze... ma se non fosse stato per te che li hai visti al tempio, non avremmo avuto nessuna novità, ed essenzialmente il signor Ambasciatore ti deve la vita», sorrise il Comandante, pensando dentro di sé che la sua possibile promozione l'avrebbe dovuta a Chomatàs.
Lo prese tra le mani.
«Cazzo... i ragazzi dell'ufficio foto-segnalamento sono andati via poco fa. Fagli una fotocopia ingrandita che lo inviamo via fax alla centrale… ora... subito... vai!», gli disse e gli scrisse il numero di fax dell'ufficio foto-segnalamento su un post it giallo.
L'ufficio ricevette ad Atene il fax e vedendo che riguardava il caso di Egina ne trasmise immediatamente, come aveva avuto ordine, la copia all'ufficio del Comandante dell'EYP in quanto tutti i documenti del caso erano trasmessi direttamente lì, come era loro stato detto, per ragioni di Sicurezza Nazionale.
In meno di un'ora il Comandante ebbe tra le mani il prezioso biglietto da Egina e alzò il suo telefono:
«Generale, vengo lì a discutere qualcosa che penso sia molto importante... devo parlarle direttamente».
Nello stesso istante Eva e Kosmàs discutevano sul tavolo del salone chini sulle mappe.
«Non ti vedo da tanto tempo e di nuovo di sabato, piuttosto che andare a fare una passeggiata e prenderci un caffè, siamo persi dentro un caso... Che fare con te?» gli chiese e toccò teneramente la sua mano. «Ogni volta che vieni a trovarmi, scoppia una guerra o una crisi».
Quello ritirò la mano. Sollevò la testa e la guardò. Era tanto bella, aveva dimenticato come fosse bella Eva, aveva dimenticato la sensazione di una mano femminile sulla sua con tanto amore.
Per un attimo rimase muto… la guardò profondamente nei suoi occhi così azzurri... in seguito il tempo sembrò fermarsi per un po' mentre una forza, irresistibile anche per un indomito agente addestrato, si impadroniva di lui e cominciò, intanto che erano chini sul tavolo, ad avvicinare la sua testa. Lentamente, ma inesorabilmente. Eva lo guardava altrettanto magnetizzata.
Kosmàs aveva perso il solito tenace controllo di sé… Passò la mano tra i capelli di lei e avvicinò la testa dolcemente verso di lui senza che lei opponesse alcuna resistenza... mentre lo avvolgeva un'ubriachezza non specificata.
Era la prima volta che la guardava in quel modo, che la toccava così. Era sorpresa. Il profumo di lei lo ubriacò e così stordito, appoggiò le sue labbra in quelle di lei chiudendo gli occhi.
Reagì con forza ed incollò il suo corpo su quello di lui abbracciandolo.
La baciò con forza inspirando il momento, con tutta la sua esistenza.
Le si mozzò il respiro per la sua passione. Gli si consegnò... nel suo abbraccio stretto sentì divampare dentro di lei un inconfessabile desiderio che durava da anni.
Il telefonino di lui squillò improvvisamente e, come risvegliato da un lungo sonno, sobbalzò, interrompendo con gran sforzo il loro bacio.
«Pronto, signor Comandante... sì, con Eva a casa mia... studiamo... Da Dodoni abbiamo niente? Va bene ci terremo in contatto... se succedesse qualsiasi cosa... Mi auguro che li cogliamo in flagrante, penso che siamo molto vicini ora, se parlate col Generale ... va bene noi studiamo qui, se ha bisogno di parlarmi».
Chiudendo il telefono la guardò nuovamente... La magia del momento era svanita... ma... qualcosa era cambiato dentro di lui... la vedeva come... altrimenti... diversamente... molto diversamente....
Il Generale con David e l'Italiano studiavano la pagina che avevano appena avuto dalla Sicurezza quando entrò anche David.
«Che abbiamo dunque qui? Nessuna nuova da Dodoni?»
«Ancora niente», mormorò il Generale, «vieni a vedere questo», e gli diede la pagina, «ti ricorda niente?»
L'Israeliano la guardò attentamente...
«No, non mi ricorda niente, ma... se vuoi lo invio direttamente a Tel Aviv, ad una mia vecchia amica glottologa del Mossad che faccia qualche ricerca per noi, che dici?»
«Procedi David, urgente», rispose il Generale e spinse la carta verso di lui.
A Dodoni, poiché avevano dispiegato risorse e forze numericamente importanti, non c'erano ancora novità. Forse gli autori avevano realizzato la numerosa presenza di rappresentanti delle autorità e annullato la loro missione. Forse, semplicemente, non era stato ancora scoperto il risultato dell'operazione precedente. In ogni caso continuavano ad attendere, ma senza avere ancora un risultato.
E questa attesa era terribilmente snervante...
David raddrizzò bene la carta sul tavolo e scattò un paio di foto col suo cellulare. Una volta scelta la migliore e trasformata in modo da essere più facile da leggere il testo, la inviò con un'email direttamente nella sua nazione.
Nello stesso istante squillò il telefono del Generale.
«Ciao Kosmàs, che abbiamo? No, da Dodoni tutto tranquillo, niente di nuovo».
«Generale, per ricordarle che, secondo l'antico calendario attico, il mese Targelione che è quello critico, si conclude oggi, domani al massimo. Quindi non c'è tanto tempo perché venga commessa una qualche azione, mi rendo conto che ora è il momento che avverrà ciò che deve avvenire, se veramente qualcosa deve succedere a Dodoni».
«Corretto, Kosmàs, questo è importante: il tempo incalza infatti e non abbiamo nessun elemento essenziale di dove siamo e dove andiamo. Se hai qualcosa di nuovo tu informami».
Chiuse il telefono e sedette guardando la carta.
Il Generale prese la brocca e servì il caffè francese ai suoi ospiti. L'attesa... la nota attesa dei servizi segreti... fino a quando l'obiettivo non commette l'errore... sempre l'attesa...