Eva non riusciva a calmarsi al pensiero che Kosmàs avesse deciso di scendere da solo nelle gallerie. Era così pericoloso andare da solo e continuamente pensava che alla fine non doveva lasciarlo andare. Ora sedeva a casa sua con difficoltà. Non riusciva a stare serena. Il posto proprio non faceva per lei in quel momento. Non riuscì a trattenersi... doveva andare a cercarlo. Non c'era altro bisogno... prese la sua decisione in pochi minuti. Certamente le avrebbe urlato contro, sicuramente avrebbe brontolato, ma la sostanza era... sarebbe stata vicino a lui, accanto a lui...
L'unico ingresso alle gallerie che conosceva era quello dalla Chiesa Russa, dove si erano incontrati in mezzo alla polvere, così si diresse là. Erano quasi le sei e si avvicinava il momento dell'inaugurazione. I margini di tempo stringevano e la situazione soffocante la riempiva di preoccupazione.
Per le strade non c'era molto movimento e così arrivò in tempi relativamente brevi. Avvicinandosi al punto fortunatamente l'entrata del portello era sbloccata. Aprì con sforzo la porta pesante ed entrò con il cuore che batteva all'impazzata. Dentro la borsa aveva sempre la torcia e la sua piccola beretta.
Procedette esitante senza sentire nessun rumore e, marciando più velocemente, raggiunse presto il bivio sotterraneo, là esattamente ove l'ultima volta avevano svoltato a destra per il Giardino Nazionale. Si chiedeva dove fosse andato Kosmàs. Illuminò il terreno verso il basso e lo esaminò. Vide allora di nuovo i caratteristici segni delle sue scarpe nel terreno... fresche, indicavano verso la galleria di sinistra. Avvertì un forte odore di sigaro... qualcuno era recentemente passato da lì, fumando… non doveva essere passato molto. Seguì l'odore all'interno della galleria a sinistra e a dieci metri vide un sigaro gettato in terra che ancora fumava. Balzò indietro, c'erano altri qui dentro. E in effetti erano passati da poco. Erano ancora qui? Estrasse la pistola e la tenne nella mano destra incrociandola, tesa sopra la sinistra che teneva la sua torcia. Spense la torcia... Silenzio assoluto...
Continuò con passi più veloci e alla fine del percorso raggiunse la scala. Salì con cautela gli ampi scalini e si imbatté nella botola alla fine della scala. Sentì parlare... forte... da sopra. Una voce maschile. Alzò un poco il legno e vide un uomo in piedi mirare con una pistola un altro uomo seduto. Nel buio non riusciva a distinguerli con chiarezza. Fino a quando non udì...
«Mi spiace Kosmàs, ma non c'è altro modo...»
All'udire quelle parole le si gelò il sangue... Kosmàs era quello seduto ed era sotto tiro da parte di un uomo a lei sconosciuto. Nel momento esatto in cui lo sconosciuto premeva il grilletto, Eva aveva una frazione di secondo prima, mirato alla sua testa e fatto fuoco.
Grazie alla precisione del tiro di Eva lo straniero, con un'espressione di meraviglia sul volto, cadde sulle ginocchia e quindi cadde in avanti con la testa, rimanendo, ormai senza vita, bocconi sul pavimento, mentre Kosmàs colpito dal proiettile, cadde con la sedia all'indietro colpendo la testa sul pavimento di marmo.
Eva con adrenalina che scorreva a fiumi nel suo sangue, controllò se c'era nessun altro e dopo essersi accertata che non c'era niente e nessuno corse veloce verso Kosmàs caduto. Quello stordito la guardava perso.
«Parlami...» gli gridò. «Sei stato colpito? dimmelo Kosmàs, amore mio, parlami...» gli prese la testa con entrambe le mani.
Kosmàs intontito dal colpo non rispondeva.
«Dove ti fa male? Dimmelo», gli chiese mentre con una mano tentava di sciogliere la corda che gli teneva le mani legate.
Mentre lo scioglieva, Kosmàs cominciò a rinvenire, stordito ancora dal colpo alla testa.
«Dove siamo? Eva sei tu? Che fai qua? Come mi hai trovato?»
«Siamo nelle gallerie sotterranee, sei stato colpito da un proiettile, dove? Fammi vedere, dove?»
Alla sua domanda Kosmàs sentì un bruciore al petto in alto a sinistra e appoggiò la mano destra lì dove sentiva dolore.
Un buco nella giacca mostrava dove era andato il proiettile. Mise la mano nel taschino e tirò fuori un iPhone semifrantumato con un proiettile inchiodato sopra.
«Questo ti ha salvato la vita, Kosmàs?»
Gli aprì la camicia e vide chiaramente un livido e un graffio leggero che sanguinava leggermente nel punto in cui la pallottola si era fermata.
«Eva. Com’è che eri qui?»
Gli chiuse la bocca con le dita dolcemente...
«Ti avrei mai lasciato solo? Era possibile? Hai visto che hai avuto bisogno di me?»
Si chinò e lo baciò intensamente... molte volte... con passione... in lagrime... amava quell'uomo... era prezioso... non avrebbe mai lasciato che nessuno glielo portasse via... nessuno.
Mentre Kosmàs si riaveva, gli vennero in mente i dettagli del piano degli stranieri... pensò all'ora...
«Svelta, Eva, è necessario informare il Generale, all'Acropoli, colpiranno al Museo... forse facciamo giusto in tempo... corri in modo che arriviamo in tempo», le disse mentre si sosteneva per alzarsi con la testa che gli girava e il petto che gli faceva male come se avesse ricevuto testate da un toro.