LA SPIAGGIA

Mio padre rimise le boccette vuote nei rispettivi cassetti, dove rimasero in attesa, non sapevo di cosa. Passavo quanto più tempo possibile all’aperto, volevo restare lontana dalla claustrofobia del capanno.

L’unico posto in cui non andavo era la laguna. Lo avevo promesso a papà subito dopo l’arrivo di Cleo, ed era molto rischioso infrangere le promesse: era il monito di ogni favola, lo sapevo.

Ma con il passare delle settimane cominciai a mettere in discussione quell’accordo. Papà si stava chiudendo in sé stesso. Non usciva quasi mai di casa ed ero costretta a rammentargli che l’orto e le galline avevano bisogno di cure. Era arrivato l’autunno, dovevamo accumulare ed essiccare il pesce, le vongole e le alghe che ci avrebbero consentito di affrontare l’inverno. Tutte quelle cose si trovavano sulla spiaggia, ma lui non sembrava volerci andare.

«Tempo di raccolta, papà», annunciai una mattina, porgendogli il cestino.

Non rispose e poi, lentamente, scosse il capo. Capii che non voleva lasciare le bottigliette.

A quel punto presi una decisione: se lui non intendeva badare a noi lo avrei fatto io. Ritrassi la mano che stringeva il cestino e uscii, chiamando con un fischio Cleo, che arrivò subito. Quando raggiunsi il bivio del sentiero, non visibile dal capanno, puntai verso la laguna.

Era una giornata splendida, il profumo del terriccio e degli alberi intorno a me iniziava giusto ad addolcirsi dopo un’estate di crescita vertiginosa. C’era una miriade di mirtilli e bacche, avrei potuto raccoglierla ma puntavo alla spiaggia. Ignorai il ronzio nervoso nelle mie orecchie, il modo in cui il mio naso sembrava fare gli straordinari. Ci serviva cibo, mi dissi, e intendevo raggiungerne la fonte principale. In pratica era tutto lì.

Mi fermai comunque quando raggiungemmo il confine fra alberi e sabbia. La laguna era piena e vasta, l’azzurro soprastante privo di nubi. Lo spazio aperto mi sembrò esposto, un luogo dove persino il cielo poteva vedere cosa stavo facendo. Ebbi un attimo di esitazione, cominciai a voltarmi, ma Cleo non si faceva scrupoli e sfrecciò verso la sabbia.

«Cleo», gridai, «torna qui!»

Non mi diede retta, presa dall’euforia della spiaggia e dell’acqua e dello spazio in cui correre. Quello era il suo posto preferito e non ci passava mai tutto il tempo che avrebbe desiderato. Cominciò a saltellare qua e là, mentre gli zoccoli lasciavano minuscole orme sulla sabbia bagnata e le zampe posteriori scalciavano nell’aria. Dietro di lei l’acqua danzava nella luce del sole, rispecchiando la sua felicità. Il canale era pieno e ribolliva: il ponte levatoio era alzato.

“Nulla di cui aver paura”, pensai. Papà si preoccupava troppo. Scesi sulla sabbia, me la lasciai scivolare fra le dita dei piedi. Eravamo reduci da una settimana nuvolosa e quell’azzurro sconfinato sopra di me trasformò l’esitazione in euforia. Staccai un pezzetto bitorzoluto di asparagi di mare e lo sgranocchiai. Il mio scoglio preferito era stato scaldato dal sole e mi ci stesi, percependone la cordiale solidità sotto la schiena. Chiusi gli occhi e lasciai che la luce del sole vi danzasse sopra. Sulla spiaggia c’erano alghe in abbondanza, mi dissi, avrei potuto fare provviste di lì a breve.

Non so dopo quanto tempo fui svegliata da un suono cupo e ringhiante. Mi drizzai a sedere di scatto e mi guardai intorno. Non era cambiato nulla, a parte il canale che appariva piatto e calmo. Non l’avevo mai visto così, prima, e non potei fare altro che fissarlo. Il rumore si avvicinò, risalendo il canale con un rombo.

«Cleo!» chiamai, e stavolta mi raggiunse subito. Ci arrampicammo fin dentro il bosco proprio mentre una barca entrava nella laguna.

Avevo già visto alcune imbarcazioni dalla sporgenza sulla scogliera. Da lontano erano sembrate uccelli in volo rasenti l’acqua, persino cordiali, ma il rumore di quell’affare, così da vicino, era davvero enorme. Il suo odore, denso e viscido, riempì l’aria cancellando il profumo del sale e della sabbia. Dal mio nascondiglio vidi un uomo al timone.

“Un pirata”, pensai, e sentii la pelle raffreddarsi di colpo.

La barca attraversò la laguna con un rombo, zittendosi quando raggiunse le secche. Gli alberi intorno a me vibrarono nell’improvviso silenzio. L’uomo raddrizzò la schiena, quasi ponendosi in ascolto. Lo osservai da dietro il mio albero mentre cercavo di rimanere invisibile. Era magro e muscoloso, non molto alto, con la pelle abbronzata e i capelli bianchi che spuntavano da sotto il berretto di un rosso acceso. Quando mi concentrai riuscii a captare l’odore del suo sudore, diverso da quello di mio padre, e l’aroma di qualcosa di simile alla pasta del pane.

Saltò giù nell’acqua dalla fiancata della barca, afferrò una fune sul davanti e avanzò a guado fino a uno degli scogli più massicci; vi legò la corda con un’efficienza disinvolta e poi diede qualche colpetto sulla sommità della sua superficie scoscesa. Non somigliava a un pirata, almeno non a quelli di cui avevo letto.

Accanto a me Cleo tremava di eccitazione. Le tenni una mano sul collo, tentando di calmare sia lei che me, ma dopo una rapida scrollata della testa corse via e scese a balzelloni verso l’uomo.

«Daisy!» disse lui, e spalancò le braccia. Cleo lo raggiunse e io sgranai gli occhi quando lo vidi inginocchiarsi, sfregandole la sommità del capo.

«Guardati», le disse. «Ormai sei una signorina. A quanto pare ti fanno mangiare bene.»

Cleo belò tutta contenta e l’uomo le strofinò la testa con vigore. «Ora zitta», aggiunse. «C’è un orso che nuota fuori nell’acqua profonda. Non vogliamo fargli sapere che sei qui.»

Il suo sguardo perlustrò il perimetro della spiaggia, cercando qualcosa. “Me, sta cercando me”, pensai. Mi immobilizzai, diventando parte degli alberi. Poi lui sembrò udire qualcosa dietro di sé e si voltò a osservare il canale che aveva ripreso a muoversi, con le prime increspature sulla superficie. Si raddrizzò.

«Devo andare», disse a Cleo. «La marea sta cambiando.» Tornò alla barca e tirò fuori qualcosa. Mi dava la schiena quindi non riuscii a vedere cos’era, ma notando la curvatura delle sue spalle capii che non doveva essere leggero.

Lo guardai portare il suo carico appena sopra il segno dell’alta marea, dove le alghe stese formavano strampalati festoni sulla sabbia. Raddrizzò la schiena e rivolse un’ultima occhiata attenta alla spiaggia. Con un sospiro si voltò e diede una pacchetta sulla groppa di Cleo.

«Ora vai a casa», disse. Sciolse la fune della barca e accese il motore, poi si immise nell’acqua del canale che stava giusto cominciando a schiumare.

Prima di lasciare il riparo degli alberi aspettai di non sentire più alcun rumore. Cleo corse da me e mi strofinò il muso contro la mano, ma non la accarezzai. Rimasi ferma lì, fissando l’alta marea. Fissando la cassa di plastica nera annidata fra le alghe.

Non aveva senso. L’uomo non era una sirena. Non c’era stato nessun party. Non riuscivo a capire.

Ma poi, all’improvviso, compresi… e tutto cambiò.