LA BOTTIGLIETTA

Stava scomparendo tutto: la carta nella macchina, il cibo nella dispensa, la mente di mio padre. Un giorno lui disponeva tutte le nostre provviste sul tavolo, il giorno dopo allineava le boccette rimaste nei cassetti, contandole prima di rimetterle meticolosamente al loro posto. Non bruciava più i foglietti dall’odore ormai fioco, vi si aggrappava come se gli fornissero sostentamento. Lo guardavo chiedendomi se anche lui vedesse che ormai la bilancia pendeva tutta da una parte.

«Papà», dissi, «abbiamo bisogno d’aiuto.»

«Dobbiamo tenerli al sicuro», si limitò a replicare, e a quel punto capii che si riferiva ai foglietti odorosi.

“E io?” pensai. “E tenere al sicuro me?”

Qualsiasi cosa ci fosse fuori dalla nostra isola non poteva essere terribile come la certezza di morire di fame. Le sirene non ci avevano mai portato casse durante l’inverno, papà aveva sempre detto che faceva troppo freddo perché loro organizzassero un party. Adesso capivo che dipendeva dalle tempeste e dall’incapacità delle barche di percorrere il canale. Non sarebbe arrivato alcun soccorso prima della primavera. Se volevamo essere tratti in salvo dovevamo fare in modo che la salvezza venisse da noi, ma lui era restio ad attirare l’attenzione sull’isola. Almeno finché c’erano le bottigliette.

Ogni giorno andavo sulla scogliera a guardare il mondo. L’inverno soffiava lungo lo stretto, facendo schiumare l’acqua. Le isole in lontananza erano nere come l’inchiostro, senza la minima traccia di altre persone. Sapevo di non poter contare sulla fortuna che venissimo salvati.

La notte, stesa a letto, riflettevo. I sussurri dei foglietti odorosi nei cassetti erano svaniti quasi del tutto, le loro storie cancellate. Mio padre si sbagliava: non volevano essere salvati.

Ma forse loro potevano salvare noi.

piccolo fregio usato per separare

Aspettai qualche giorno, finché papà non lasciò il capanno e si avviò verso il bosco. Non appena scomparve alla vista, entrai in azione. Mi misi in spalla una sacca per raccogliere provviste e salii la scaletta fino a raggiungere i cassetti più in alto. Lassù sembrava pericoloso, l’aria più pesante e calda. I palmi delle mie mani erano scivolosi contro i pioli. Avevo un piano, ma per un attimo non mi sentii sicura di quello che stavo facendo.

Mentre allungavo la mano verso la boccetta più in alto, guardai giù e all’improvviso vidi il nostro mondo, disposto sotto di me come le pagine di un libro aperto. Il soppalco che papà mi aveva costruito, con la trapunta fatta di rettangoli di indumenti che avevo indossato nel corso degli anni. La stufa a legna dove lui mi aveva insegnato a cucinare, il tavolo su cui mi aveva insegnato a scrivere. I nostri scaffali di libri. La poltrona su cui li avevamo letti. I cestini che avevamo confezionato durante le sere d’inverno, intrecciando striscioline di corteccia di cedro accanto al fuoco.

Era la nostra esistenza, una creatura viva, non un ricordo catturato dentro una bottiglietta. A quel punto capii che avrei fatto tutto il necessario per salvarla.

Mi allungai con cautela in avanti, presi le boccette da un cassetto dopo l’altro e le riposi nella sacca, guardando i loro sigilli di cera rossa scomparire nei suoi abissi. Quando fu piena sistemai la parete di cassetti, lasciandola come l’avevo trovata, poi scesi la scaletta, ascoltando il sommesso tintinnio del vetro.

Sarebbero serviti diversi viaggi, e avrei dovuto sbrigarmi prima che papà capisse cosa stavo facendo, ma ero molto determinata. Mi sistemai la sacca sulla spalla e mi incamminai verso la scogliera percorrendo il sentiero. I cespugli mi invitavano alla cautela, sussurrandomi contro le gambe dei pantaloni: “Fermati fermati fermati fermati”. Non ascoltai.

Quando arrivai sulla scogliera posai la sacca ai miei piedi. Ritta sul bordo della roccia estrassi una bottiglietta, tastando il rigido sigillo di cera intorno alla sua sommità. Per un attimo mi chiesi quale fragranza avesse racchiuso, quale miracoloso ricordo avesse un tempo contenuto. Poi scossi il capo, la sollevai bene in alto e la lanciai il più lontano possibile. Vi fu un lungo silenzio, come se l’aria stesse trattenendo il fiato, poi uno splash. Per un attimo il mio cuore smise di battere mentre un intero mondo scompariva. Non avrei mai scoperto perché Jack lo avesse amato tanto o perché mio padre fosse disposto a tutto pur di proteggerlo.

Ma desideravo il nostro mondo più di quanto desiderassi quelli, così lanciai le boccette, ancora e ancora, fino a svuotare la sacca.

piccolo fregio usato per separare

Impiegai due giorni per disfarmi delle bottigliette con il sigillo di cera rossa e fu per pura fortuna che papà non aprì i cassetti durante quel lasso di tempo. Il terzo giorno ne aprii uno che era rimasto nascosto dietro una ghirlanda di erbe aromatiche che lui aveva appeso molto tempo prima senza mai tirarla giù. Diceva scherzando che ci proteggeva, proprio come noi proteggevamo i foglietti degli odori.

Cercai di essere delicata mentre la toglievo dal suo gancetto, ma le erbe aromatiche erano secche e friabili e si sbriciolarono piombando a terra. Sentii il profumo polveroso di origano e timo, tenue e un po’ triste. Mi ressi alla scaletta e aprii il cassetto. Stavo per infilare la boccetta nella sacca quando mi bloccai. Il sigillo di lacca era azzurro.

Per un attimo lo fissai. Non ne avevo mai visto uno di quel colore. Non sapevo perché papà non avesse mai estratto quella bottiglietta dal cassetto né me l’avesse mai mostrata. Era sempre rimasta nascosta lì. Per un attimo pensai di lasciargliela, ma dovevano scomparire tutte, altrimenti sarebbe stato inutile, così la riposi nella sacca e uscii. Dovevo essere forte per entrambi, mi dissi.

È incredibile la facilità con cui riusciamo a calarci nel ruolo dell’eroe.

piccolo fregio usato per separare

Rimasi in piedi sul bordo della scogliera, guardando tutte quelle isole, e ancora una volta lanciai le boccette, una dopo l’altra, finché non rimase solo quella azzurra. L’acqua sotto di me era costellata di vetro che sobbalzava su e giù, frammenti di rosso simili a pesciolini che galleggiavano nel mare, allontanandosi tra i flutti. Mi chiesi chi le avrebbe trovate, se a quel punto sarebbe rimasto qualche odore. A qualcuno sarebbe venuto in mente di bruciare i foglietti?

Ma era inutile pensare a simili cose in quel momento. Quelli non erano messaggi. Avrei potuto bruciarli, nasconderli, ma sapevo che le bottiglie dovevano essere irrecuperabili. Solo a quel punto papà sarebbe stato disposto a cercare aiuto.

Sollevai l’ultima e toccai il sigillo azzurro che girava intorno al tappo. La cera era vecchia e cominciava a creparsi, ma non era mai stata rotta. La tentazione di aprire la boccetta per scoprire se era rimasto qualche odore mi fece tremare le mani.

“Cosa sei?” chiesi mentalmente. “Cosa ti rende speciale?”

Mi piegai in ascolto, come se potesse rispondere. Mi sembrò quasi di cogliere un sussurro.

Fu a quel punto che sentii dei passi avvicinarsi lungo il sentiero.

La mia mente prese a vorticare, avevo solo pochi secondi prima che lui mi trovasse. Strinsi con forza la bottiglietta. Dovevo fare in fretta, dovevo sbarazzarmene, altrimenti tutti i miei sforzi sarebbero stati vani. Il mio sguardo intercettò l’azzurro del sigillo. Non volevo farlo. Dovevo farlo.

Mio padre emerse dal folto degli alberi. Sollevai il braccio.

Lo sentii avvicinarsi alle mie spalle, emettendo un grido angosciato mentre lanciavo la bottiglia. Mi sfrecciò accanto, con le mani protese in avanti. Non cercò nemmeno di vedere dov’era il bordo della scogliera.

La boccetta descrisse un arco nell’aria, il corpo di papà spiccò il volo, e in un attimo scomparvero entrambi. Sentii uno splash molto più giù, nell’acqua nera.

«Papà!» gridai mentre mi sporgevo dal pianoro, cercandolo fra quelle stupide bottiglie sobbalzanti. La sua testa riemerse. Lui aveva un’espressione disperata ma i suoi occhi fissarono i miei per un lungo istante. Poi guardò l’acqua e le scogliere intorno a lui. Sapevo cosa stava facendo.

Valuta la situazione, Emmeline. Elimina le variabili. Stabilisci qual è la linea di condotta migliore.

O forse stava cercando la boccetta azzurra.

«Papà!»

Alzò di nuovo gli occhi. La sua pelle stava cambiando colore a causa del freddo. «Laguna!» gridò, indicando un punto sulla destra, dietro la curva della ripida parete dell’isola.

«Mi dispiace», singhiozzai. «Mi dispiace.»

«Ti voglio bene», disse muovendo solo le labbra, poi cominciò a nuotare.

«Ti aspetto là!» urlai. Anche se penso che lo sapessimo tutti e due.