Immaginati questo, la madre e il padre ancora vivi dopo averti perso, quando ogni giorno somiglia a una nebbia: non si può andare avanti, non si può tornare indietro, non si capisce niente, c’è solo e sempre la sensazione fredda, pesante e incolore di galleggiare, da soli in mezzo al nulla. Immagina il lavoro che fanno comunque, il padre a spostare i bagagli dai nastri ai carrelli e poi alla pancia degli aerei, scintillii di luce sul metallo, la vampa del sole e l’odore pulito e urticante del kerosene, il rombo costante delle partenze e degli arrivi. La madre che incollata al volante per ore porta l’autobus dalle strade del lungomare piene di salsedine ai quartieri freschi, verdi e ordinati e ritorno, coi grattacieli di vetro di downtown che luccicano come coltelli, il tremore, gli urti e gli scossoni della strada. Avanti e indietro. Immagina la telefonata che arriva, è sempre una telefonata, stavolta riguardante l’altro figlio, fermato e trattenuto nel carcere della contea in attesa di giudizio, regolamenti e procedure sconosciuti come il territorio – l’Oregon – in cui li stanno applicando. Immagina l’impotenza, la mancanza di soldi, gli orari di lavoro e la distanza, e il padre e la madre costretti ad ascoltare da lontano la figlia che descrive i prossimi passaggi.
Immagina la mente del padre, svuotata via via come un lago artificiale durante una siccità, che adesso deve fare i conti con un’altra perdita, l’altro figlio, che forse era più lontano di quanto lui avesse mai creduto, più lontano di una telefonata, di un biglietto aereo, e adesso ancora più lontano. Immagina lo scintillio vivace di una mente sana al lavoro e poi quella stessa mente – quella del padre – che di tanto in tanto si inceppa, si ingolfa e si strozza. Va in tilt.
La moglie lo vede? Vede l’inizio, le lunghe camminate notturne, i sussurri del marito rivolti a fantasmi che lei non conosce. Ma non può vedere tutto, non può sapere esattamente come la pazzia colpisca il marito sul suo luogo di lavoro. Forse si allontana barcollando dal nastro trasportatore avventurandosi fra le strisce segnaletiche della pista, intralciando le traiettorie di volo e mettendo in pericolo interi equipaggi, i bagagli dei passeggeri nonché se stesso. Forse invece se ne va gironzolando verso la rete metallica della recinzione, ansioso di tornare al giardino di preghiera che scava di notte fra le montagne; o forse sta seduto e basta, seduto, seduto, e borbotta fra sé nella saletta del personale mentre i bagagli si accumulano e cadono dal nastro durante una giornata con poche persone in servizio, e i colleghi lo chiamano urlando, pretendono che torni al lavoro. La moglie tutto questo non lo vede, vede solo che la sua uniforme smette di uscire dall’armadio, che la macchina non si allontana più dal marciapiede davanti casa a Kalihi e che il conto in banca boccheggia.
Immagina la conversazione in un ufficio, la madre che supplica, cosa che non avrebbe mai immaginato di fare, e il funzionario della compagnia aerea che le dice: Mi spiace, non è proprio possibile. Non era più in condizioni di lavorare qui.
Immagina la madre, la moglie, ormai le ultime ossa della famiglia. Dura, vecchia e fredda, l’unica a tenere tutto in piedi. Non chiamiamola speranza. Assomiglia più a un lungo travaglio, tutto qui. Immagina quando capisce di non poter più andare al lavoro, per via del padre, delle attenzioni costanti che richiede, e di lì a un attimo si ritrova disoccupata. Non fa più soldi lui, non fa più soldi lei. Il che significa, lì in città, morire.
Rimane solo un posto dove andare, tornare a Big Island, la tua terra natale, dove abbiamo ancora famiglia, c’è il fratello di tuo padre con la sua attività ben avviata, degli immobili che non usa e dove possiamo andare a stare noi, ora che siamo in numero così ridotto.
Anche se non arriva proprio a supplicare, la madre ha comunque addosso una muta rassegnazione. C’è comunque un inginocchiarsi, un protendere le mani, chiedendo che ci si metta dentro qualcosa. Mani che un tempo si facevano strada nel mondo da sole, spingendo, prendendo e afferrando.
Immagina cosa siamo diventati senza di te, figlio mio.
Lo vedi?