Notte fra venerdì 6 e sabato 7 febbraio
Penso che ormai Fran e le figlie mi conoscano abbastanza. Fingono che i miei silenzi e la mia testa “altrove” siano normali, lo fingono con molto impegno. Ludo parla della sua giornata scolastica ma le sue occhiate sono indagatrici.
Più cresce e più mi somiglia.
Fran si è ritirata nello studio. “Devo consegnare un lavoro entro questa sera”. Le figlie hanno rigovernato e le loro chiacchiere e i loro scherzi sono un filo meno rumorosi del solito: una parte di me lo registra mentre l’altra si dibatte cercando una via non ancora battuta.
Sono sul terrazzino, seduto sulla panchetta sistemata nell’angolo riparato. Il cellulare è accanto a me. Rispondo al primo squillo: la Petri.
– La disturbo.
– No, dimmi.
– Non riuscivo a mettermi in contatto con Nicoletta Filippi, la figlia della paziente. Ho scoperto il motivo, commissario. È in ospedale. Ho parlato con i sanitari. – Esita. – Veramente a me non volevano dire nulla. – Un’altra esitazione. – Mi sono rivolta a… A Nazareni. A lui hanno spiegato che la Filippi ha avuto problemi di alcolismo, ne è uscita, ma la sua salute è ancora compromessa.
– Quando potremo parlarle?
– Due o tre giorni, non prima.
Ho chiuso la comunicazione. Poco dopo ho sentito i passi di mia moglie. Si è sistemata accanto a me, ha spostato il cellulare e l’ha spento.
Le passo un braccio attorno alle spalle. – Nessun passo avanti?
– Ogni volta che credo di aver trovato una via, sbatto contro un ostacolo. Ostacoli, soltanto ostacoli.
Mi ha ascoltato come tante altre volte.
– Forse ti ho già detto che nel mio lavoro, quando troviamo un ostacolo, proviamo ad aggirarlo e cerchiamo un nuovo inizio.
– Me l’hai detto. Ho tentato, Fran. Ma niente.