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La pioggia martellava la carrozzeria dell’Audi nera. Munch, fradicio, attraversò di corsa il piazzale e andò a prendere posto dietro al volante.

«Cambio di programma. Non andiamo.»

«Perché no?» domandò Mia secca.

«Raymond Greger si è dato malato. E non riesco a contattarlo al telefono. Potrebbe essere ovunque.»

Mia tirò fuori dalla tasca del giubbotto di pelle una pasticca, mentre il ritmo e la forza della pioggia aumentavano. Adesso tamburellava come un’orchestra, i passanti scattavano alla ricerca di un riparo come gatti spaventati.

«Ho mandato una volante. Se lo beccano possiamo riconsiderare la cosa, per il momento non mi va di fare tre ore di viaggio per niente.»

«La polizia di Larvik?»

Munch annuì e tirò fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca del montgomery fradicio.

«Che te ne pare della Spidsøe?»

«Sembra sincera, no?» rispose Mia.

Munch scrollò le spalle.

«Ho avuto la sensazione che non ci abbia detto qualcosa, ma non saprei dire esattamente cosa.»

Accese la sigaretta e abbassò appena il finestrino. Le gocce balzarono all’interno dell’auto andando a mischiarsi con il fumo grigio, ma Mia non batté ciglio.

«Come fa uno che rapisce bambine a riottenere un lavoro come insegnante?» disse Munch irritato guardando fuori dal finestrino.

«Se persino noi non abbiamo niente su di lui nelle banche dati, non vedo come avrebbero potuto fermarlo» disse Mia secca.

Munch scosse la testa.

«C’è qualcosa di veramente storto nel sistema» mormorò prendendo un’altra boccata dalla sigaretta mentre il telefono di Mia prese a squillare.

«Parlo con Mia Krüger?» domandò una voce maschile.

«Sì.»

«Buongiorno, sono Torfinn Nakken, telefono dal Servizio di sorveglianza di Bislett. Lei abita in Sofies plass 3?»

«Sì, perché?»

«Terzo piano?» proseguì la voce cupa.

«Da dove ha detto che sta chiamando?»

«Servizio di sicurezza di Bislett, siamo noi che sorvegliamo il cortile. Mi dispiace disturbarla, ma c’è stata un’effrazione nel nostro ufficio, capisce, e ci mancano alcune chiavi. Lei ha notato qualcosa di strano nel suo appartamento?»

Mia agitò la mano per dissipare il fumo della sigaretta di Munch e abbassò il finestrino.

«Strano in che senso?»

«Visite di estranei. Oggetti scomparsi, roba del genere...»

«Niente che mi risulti, no.»

«Ok, benissimo» disse Nakken sollevato. «Sono dannatamente care queste chiavi, mi toccherà cambiare le serrature in tutto il palazzo... Centinaia di migliaia di corone, l’assicurazione dirà di sicuro che la colpa è nostra, ma non è il caso di allarmarci se il problema non sussiste, magari nessuno ha capito a quale edificio corrispondevano le chiavi, no?»

Fece una risatina.

«Mi scusi, sono impegnata in questo momento» disse Mia gettando un’occhiata verso Munch che, a quanto pareva, aveva ricevuto un messaggio.

«Sì, certo, mi scusi, dovevo soltanto fare un controllo. Allora scrivo tutto ok sotto Krüger, Mia.»

«Direi di sì» rispose Mia.

«Buona giornata.»

«Altrettanto» salutò Mia, e riagganciò.

«Anette» disse Munch.

«Sì?»

«Abbiamo il nome dello psichiatra.»

«Quale psichiatra?»

«Non te l’ho detto? Scusami. Sono state trovate delle medicine nell’appartamento di Vivian. Antidepressivi prescritti dal medico generico, a quanto pare su indicazione di uno specialista.»

Munch sollevò il telefono per mostrarglielo.

«Wolfgang Ritter?»

«Non senti un campanello?» la incalzò Munch visibilmente soddisfatto.

«No.»

«Sul serio? Wolfgang Ritter? Non leggi le notizie?»

Mia scosse il capo tirando fuori un’altra pasticca dalla tasca del giubbotto. Aveva buttato la tv da tempo ed evitava il più possibile i giornali. Da piccola era obbligatorio: tutta la famiglia raccolta intorno al notiziario, a casa a Åsgårdstrand, ma ora non le andava più. Un tempo i media avevano una responsabilità sociale, il loro principale obiettivo era informare la popolazione. Ora il grande capitale spadroneggiava indisturbato. Paura e idolatria pagina dopo pagina, in una rintronante corsa ai dati di vendita, di ascolto e di navigazione.

Evitava il più possibile anche di guardare le prime pagine nelle edicole.

Qual è la causa del conflitto tra Israele e Palestina?

Come si chiama lo scrittore che ebbe una fatwa dall’ayatollah Khomeini?

Perché gli studenti cinesi manifestavano in piazza Tienanmen?

Mamma Eva Krüger. Maestra alla scuola di Åsgård: era particolarmente importante per lei che le bambine fossero brave a scuola e fossero a conoscenza dei fatti del mondo. La più brava tra loro era Sigrid, ovviamente. Era la più brava in tutto. Mia aveva pensato spesso che poteva essere questa una ragione, che tutta quella perfezione alla fine era stata troppo e che la droga poteva essere stata una specie di ribellione, ma non era riuscita a far quadrare del tutto i conti. Mamma e papà. Eva e Kyrre. Lui rivenditore di colori e vernici. Una coppia senza figli per la quale l’adozione di due gemelle era stata come un dono del cielo. Mamma poteva essere brusca qualche volta, ma non era assolutamente troppo dura.

Markus Skog.

Era sua, la colpa.

«Il dottor LSD...?» insistette Munch.

«Chi?»

«Wolfgang Ritter? Il direttore del Blakstad? Lo psichiatra che si è fatto portavoce della cura dei pazienti con forti dolori con le sostanze psichedeliche?»

«Mai sentito.»

«Hanno dato un documentario alla tv solo una settimana fa...» disse Munch. «Ricordi quel programma, Brennpunkt

«Non l’ho visto. Ma non si faceva già negli anni Settanta?»

«Sì, certo, ma ora non più, cazzo, ma dove vivi?»

Munch si voltò sul sedile e la guardò negli occhi.

«Scusa» disse Mia, cercando di dissipare i pensieri. «Eccomi qua.»

«Una ragazza giovane e sana? Il nostro piccolo ’raggio di sol’? Sotto pesanti antidepressivi? Non ti pare un tantino strano?»

Munch si grattò la barba, si allungò per prendere un’altra sigaretta, ma cambiò idea.

«Molto» ribatté Mia. «L’abbiamo contattato?»

«Ci serve prima l’approvazione di un giudice.»

«Per via del segreto professionale?»

«Ci sta lavorando Anette, una formalità, non dovrebbe volerci molto» disse Munch mentre il suo telefono squillava di nuovo.

«Sì?»

Gli aveva sparato.

Due colpi nel petto.

Markus Skog.

«E siete stati a casa sua?»

No, adesso basta.

«Ha famiglia? Contatta la scuola e controlla se qualche collega sa qualcosa.»

I ricordi rinchiusi negli scatoloni a casa.

«Piazza una macchina davanti a casa sua. E dai il via a una ricerca a tappeto. Sì. È fondamentale per noi. Tutte le risorse che avete a disposizione, se è possibile. Tienimi aggiornato. Bene, grazie.»

Munch riagganciò e corrugò le sopracciglia.

«Larvik?»

«Sì. Non lo trovano. Non è a casa. I vicini non lo vedono da una settimana.»

«Addirittura.»

«Una coincidenza un po’ strana, non ti pare?» commentò Munch.

Mia lo guardò. «Dobbiamo tornare di nuovo da lei, no?»

«Karoline Berg?»

«Sì...»

«Detesto l’idea di farlo, ma direi proprio di sì.»

Munch fece un sospiro e prese a tamburellare con le dita sul volante.

«Vieni anche tu dal medico legale?»

«No, voglio fare due chiacchiere con Halvorsen, alla Scientifica. Strano che non abbiano nulla per noi, tu che dici...»
«Ok, ti ci lascio per strada» disse Munch svoltando fuori dal parcheggio.

«Chiedi delle ferite alla bocca» disse Mia una volta arrivati alla sede della KRIPOS in Brynsalléen.

«Quali ferite alla bocca?»

«Vivian Berg aveva delle ferite intorno alla bocca. Non ricordo di aver mai visto nulla di simile prima d’ora.»

«Ok.»

«Riunione nel pomeriggio?»

«Tra le sei e le otto» confermò Munch.

«Ci vediamo» si accomiatò Mia scendendo dall’auto.