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Theo Halvorsen sedeva chino su un microscopio nel laboratorio, ma si alzò di scatto dalla sedia non appena la vide entrare.

«Raggio di Luna» sorrise il tecnico cinquantenne della Scientifica. «È passato fin troppo tempo, dove sei stata?»

«Da nessuna parte, purtroppo» sorrise di rimando Mia.

«Sospesa di nuovo? Allora era vero?» domandò Halvorsen togliendosi gli occhiali.

«È questo che dicono?»

«Dipende da quello che chiedi» osservò gentile il tecnico scrollando le spalle. «Qualcuno ha detto che ti eri presa un bel calcio nel sedere. Altri che te ne andavi via, in barca a vela...»

«L’ultima cosa corrisponde, ma devo ancora partire. Sei alle prese con la ballerina, vero?»

«Ah, sì» sospirò Halvorsen. «Più una montagna di altro lavoro, mi sembra che il tempo non basti mai. Credi che riesca a staccare qualche volta?»

Il tecnico aprì le braccia e si guardò intorno. Il laboratorio era pieno di scartoffie e scatoloni dal pavimento al soffitto. La stanza non aveva finestre e Mia ebbe la sensazione di trovarsi in una cantina, anche se erano al quarto piano. Sapeva che Halvorsen aveva chiesto che le finestre venissero coperte per evitare ogni disturbo.

Theo Halvorsen. Mia conosceva il tecnico da quasi dieci anni e per quanto ogni volta sciorinasse quella litania sui carichi di lavoro, lei non sarebbe andata da nessun altro quando si trattava di avere una risposta o risolvere un dubbio. Halvorsen era un piccolo Einstein. Non gli piaceva lavorare insieme ad altri, voleva fare tutto da solo, ma il risultato del suo lavoro era sempre il migliore.

«Non sei stato alla baita?» disse Mia seguendolo all’interno della stanza.

«Ti pare che ne abbia il tempo?» rispose Halvorsen inforcando di nuovo gli occhiali.

Prese un piccolo sgabello e tirò giù una scatola di cartone da una mensola.

«E Britt come sta?»

«Non mi ha ancora lasciato, purtroppo per lei» ammiccò Halvorsen e portò la piccola scatola al microscopio.

«È roba mia?» domandò Mia.

«In che senso?»

«Questa scatola... È roba già archiviata?»

«Raggio di Luna» sospirò Halvorsen scuotendo leggermente la testa. «So che tutti scattano al tuo comando lasciandosi abbagliare dal tuo fascino vittoriano, ma io no, io qui seguo alla lettera il protocollo» rispose Halvorsen.

«E allora cosa c’è lì dentro? Non c’entra con il mio caso, giusto?»

«Denti» disse lui infilandosi un paio di guanti di lattice azzurri. «Non tutti gli omicidi hanno valenza estetica, lo sai, cara. Non tutti sono eseguiti con acume, intelligenza e joie de vivre, di modo che poi Hercule Poirot o la giovane Krüger possano usare la loro materia grigia e alla fine approdare ai libri di storia.»

Halvorsen fece un sospiro e aprì la scatola.

«Un giovane spacciatore colpito a morte alla testa con un piede di porco dietro al centro commerciale di Manglerud, e adesso vogliono sapere se il fatto può essere collegato con un altro balordo che hanno trovato con la bocca sanguinante al Sofienbergparken. Bello, no?»

Di nuovo la litania. Mia non ci fece caso.

«Allora, niente baita?»

«Sì, qualche volta» rispose Halvorsen attaccando nuovamente l’occhio al microscopio.

Mia attese pazientemente che finisse di esaminare i reperti.

«Allora, eccoci a noi» disse Halvorsen togliendosi di nuovo gli occhiali.

«Vivian Berg?» disse Mia prendendo un’altra pasticca dalla tasca del giubbotto.

Halvorsen fece ruotare la sedia sul pavimento e tornò con una cartelletta che le mise davanti.

«Questo lo sapevamo già...» disse Mia dopo aver sfogliato il fascicolo.

«Appunto» rispose il tecnico. «Ma io non ne so di più.»

«Questo è il fascicolo richiesto dalla KRIPOS, no?»

«Sì, e la stessa cosa l’ho detta a loro.»

«Che cosa?»

«Che sono soltanto sciocchezze. Cosa dovrei tirar fuori da qui?»

«Spiegati» domandò Mia.

«Hai letto...?»

«Sì, o meglio... no. Non in modo approfondito. A cosa ti riferisci?»

Halvorsen sospirò.

«Siete fottuti.»

«Cioè?»

Halvorsen fece un altro sospiro e indicò l’elenco che le aveva dato.

«DNA.»

«Sì...?»

«Le tracce biologiche dell’intera popolazione norvegese nello stesso luogo? Come posso fare il mio lavoro se nell’auto e sulla scena del crimine ci sono più capelli che negli scarichi delle piscine di Frogner?

«Sedici campioni di capelli. Quarantanove di pelle. Otto di escrementi. Nessuna corrispondenza di DNA per nessuno di essi. Stando a quanto abbiamo qui, centinaia di persone sono state sulla scena del crimine e anche all’interno dell’auto.»

«Ha contaminato la scena del crimine?»

«Questo, Sherlock, credo di poterlo affermare con certezza» disse Halvorsen lasciando cadere sul petto gli occhiali appesi al laccio. «La questione è piuttosto come diavolo abbia fatto a mettere insieme tutta questa roba. Raccogliere in giro capelli e frammenti di derma? Escrementi? Chi può aver fatto una cosa del genere?

«Ah, tra l’altro» aggiunse Halvorsen alzandosi all’improvviso. Scomparve all’interno del laboratorio e tornò con una macchina fotografica. «Qui vedi che cosa accade quando si ha troppo da fare.»

«È quella che avete trovato sulla scena del crimine?»

«Già. Nikon E300. Niente impronte digitali, ovvio, né sulla macchina fotografica, né sul cavalletto, ma...»

Halvorsen sorrise sornione e le porse la macchina fotografica.

«Guarda dentro.»

Mia la sollevò alla luce e guardò attraverso l’obiettivo.

Ci volle qualche istante, ma poi all’improvviso lo vide.

Il graffio sulla lente.

«Cazzo» mormorò. «Può corrispondere?»

A quel punto lo vide chiaramente.

Un numero.

«Non ci credo» esclamò guardando ancora una volta per essere sicura.

«Mi sembra un quattro, ma la detective sei tu» disse Halvorsen scrollando le spalle.

Mia sentì il cuore battere più forte sotto il giubbotto di pelle.

Un numero?

Riappoggiò la macchina fotografica all’occhio.

Sì, era un numero.

Nessun dubbio.

«Scatto una foto» disse lui alzandosi di nuovo.

«Con questa?»

«Sì, guarda qui» disse Halvorsen.

Mia osservò rapidamente la fotografia, non c’era dubbio.

Quattro.

L’incisione fatta a mano nella lente.

«Posso portarla via?»

«Certo.»

«Grazie, Theo» disse Mia infilando la foto nella tasca del giubbotto di pelle. «Davvero.»

«Figurati, Raggio di Luna.»

«Saluta Britt da parte mia.»

«Tra poco mi pianterà in asso, se ha un po’ di senno.»

«Fammi sapere se scopri qualcos’altro.»