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Non era vero che Karoline Berg aveva paura di volare. Era soltanto una scusa. La verità era che aveva paura di spostarsi in generale. Le piaceva stare a casa. Le piaceva la routine, no, anzi, ne aveva bisogno.

«Non puoi venire a trovarmi tu, mamma?»

«Lo farei volentieri, Vivian, ma sai che ho paura di volare...»

«Non puoi prendere il treno, mamma?»

«Sedici ore bloccata in una scatola chiusa ermeticamente insieme a gente che non conosco?»

«No, capisco, ma mi piacerebbe così tanto che mi vedessi ballare...»

«Ti ho già vista ballare, Vivian. Un’infinità di volte.»

«Sì, ma questa volta non si tratta della Culture House di Bodø. È l’Opera di Oslo, mamma. L’Opera! Non ti ho detto che ho avuto un posto nella compagnia di Alexander Ekman? Danzerò nel Lago dei cigni. Il lago dei cigni! Non è pazzesco?»

«Vivian, è meraviglioso. Congratulazioni, cara.»

«Finirai per mettere le radici lassù, mamma, completamente sola. Non vuoi venire a fare un giro a Oslo? Andremo al ristorante. Hai presente Maaemo? Quello che sta nella Guida Michelin, non potremmo...»

Ovvio che avrebbe voluto vedere la figlia danzare.

Buon Dio, non c’era cosa che desiderasse di più.

«Ci vedremo quando tornerai a casa, non possiamo fare così?»

«Certo, mamma. Però adesso devo scappare, abbiamo le prove. Tu stai bene?»

«Sto bene, Vivian, non pensare a me.»

«Ok, mamma, ci sentiamo presto.»

«Certo.»

Dio, da quanto tempo le cose erano diventate così?

I giorni che andavano e venivano.

Dov’era la sua vita?

La vita che aveva sognato?

Quarantadue anni, ma si sentiva come se ne avesse cento. Ogni sabato, con un panino imburrato ai gamberetti, giù a sud-ovest, non parlavano ad alta voce, ma nel suo intimo lei sapeva che ridevano di lei. Le amiche. Le stesse di allora, tanto tempo prima. Il liceo di Bodø. I giorni della maturità. Era lei quella che millantava che avrebbe fatto qualcosa di grande. Sarebbe andata in India. In Africa. Avrebbe raccolto le mele in Guatemala. Suonato la chitarra per le strade di Amsterdam. Le altre no, non avrebbero combinato nulla, si sarebbero sposate, avrebbero avuto dei figli, un lavoro in comune, al supermercato, comunque senza mai lasciare Bodø, ma ora a quanto pareva tutte quante erano state in giro per il mondo, tutte tranne lei.

La primavera di due anni prima Vivian era andata a Oslo per un provino. La forte, dolce Vivian, arrivata così all’improvviso, quasi dal nulla. L’aeroporto di Bodø. Da lì gli aerei partivano per tutto il mondo e vi arrivavano i soldati della NATO per le esercitazioni. Karoline Berg allora aveva vent’anni, e nessun pensiero. Lui veniva dall’Inghilterra, l’aveva lasciata con il pancione e nessun indirizzo.

Era colpa sua?

Di Luke Moore di Leeds, l’energico pilota dai ricci scuri?

Del fatto che non hai mai lasciato Bodø, Karoline?

No, puoi dare la colpa soltanto a te stessa.

Abitava in un piccolo appartamento a soli duecento metri dall’aeroporto, ma all’aeroporto non ci era mai stata.

Non era mai stata in nessun posto.

Dovete assolutamente andare ad Alicante, è trooooppooo bello!

Mette.

Che era stata la sua migliore amica, per la verità, ma ora non lo era più, un marito, dei figli, una bella casa a Hundstad, vacanze ogni estate, in luoghi lontani.

Buon Dio, Key West, avevo sentito che era un bel posto, ma non hai idea!

Synnøve.

Che alle elementari sapeva a malapena fare due più due, ma poi aveva accalappiato un imprenditore di Harstad che amava la barca a vela e investiva in proprietà all’estero.

Ridevano di lei, proprio così, era quello che facevano.

Ogni volta che entravano al supermercato.

Non ad alta voce, eppure lei se ne accorgeva.

«Scontrino? Sacchetto?»

La spesa sul nastro trasportatore e sempre quel suono.

Dio come odiava quel suono.

Pane nero.

Biip.

Latte.

Biip.

Quattro Coca-Cola in offerta.

Biip.

Sei brutta.

Biip.

Non vali nulla.

Biip.

Ma poi, in gran segreto – già, se solo l’avessero saputo – aveva chiamato un numero che aveva trovato in internet. Aveva bevuto diversi bicchieri di vino rosso, poi si era lanciata. E sì, le prime volte aveva riagganciato senza dire nulla, le mani sudate, ma alla fine, al terzo tentativo, era riuscita ad aprire la bocca.

Psicologo.

Ossignore, un’altra cosa ancora di cui parlare, un altro motivo per ridere di lei, ma l’aveva fatto ugualmente.

Per fortuna.

Aeroporto di Bodø.

Ci abitava accanto ormai da quasi trentacinque anni, ma non era mai passata attraverso le sue porte.

Karoline Berg trascinò la grossa valigia rossa nuova fino agli ultimi metri prima dell’ingresso, si fermò e fece un sospiro.

Che cosa aveva detto lo psicologo?

Un passo alla volta.

Ok, Karoline, questo lo sai fare.

Poteva vedere la propria immagine sulle lucide porte scorrevoli. Quasi non riusciva ad affrontarle, sembrava si trovassero su un altro pianeta. Si era comprata degli abiti nuovi. Era stata dal parrucchiere. Sì, proprio così, dopo che finalmente era riuscita ad afferrare quel telefono, aveva fatto tutto ciò che lui le aveva detto. Non dopo i primi incontri, no, allora aveva provato solo repulsione. Come se uscissero porcherie ogni volta che apriva la bocca. Lui le aveva fatto un sacco di domande personali. Cose alle quali non aveva mai pensato. Che rapporto aveva con suo padre? Come andavano le cose tra lei e sua madre? Buon Dio, le erano venute le vertigini, la nausea, avevano cominciato a imperversare pensieri e sentimenti che non aveva mai saputo di avere, non ci dormiva la notte. Ma poi, dopo qualche settimana, quel nodo si era come sciolto. E aveva lasciato il posto a una valanga, che non si poteva più fermare.

Sorrise alla propria immagine riflessa.

Come sei bella, Karoline.

Come sei intelligente, Karoline.

Cappotto nuovo, Karoline? Era elegante.

Le aveva dato compiti come quello.

Devi imparare a piacerti.

Oslo?

La capitale.

Da quanto tempo desiderava andarci.

Vedere il Palazzo reale. Il Parlamento. Il Teatro Nazionale. Il Frognerparken con tutte le statue. E poi l’Opera.

Fece un respiro profondo, si costrinse a fare gli ultimi passi. Un piede. Poi un altro. Adesso era dentro. Era nel salone delle partenze. Le girava un po’ la testa, ma non si fermò. Va tutto bene, Karoline. Ancora un poco avanti, così. Laggiù. Uno schermo blu. SK4111. SAS. Oslo. Partenza 12.35.

Sto arrivando, Vivian.

Ora la mamma viene a vederti ballare!