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Mia Krüger stava nuovamente sigillando l’ultimo scatolone quando sentì suonare Skype dal portatile aperto sul tavolo del salotto davanti a lei. Non poté fare a meno di sorridere quando vide da quale account proveniva la chiamata.

Endless Summer.

Sei mesi su una barca a vela nel Mar dei Caraibi.

Prese la tazza di caffè dal pavimento e si mise a sedere sul divano raccogliendo le gambe sotto di sé.

«Ehi, Mia, come butta? Hai prenotato il biglietto aereo?»

Viktor Vik. Un vecchio collega che aveva lasciato la gelida Norvegia e il servizio molti anni prima, per inseguire il sogno.

«Prenotato ieri» rispose Mia. «Volo via New York e poi giù.»

«Ottimo» sorrise il volto abbronzato all’altro capo del globo. «Quando atterri?»

«Martedì prossimo. Siete a St. Thomas, o dove?»

Alle spalle di Viktor spuntò un cameriere di colore che posò sul tavolo un drink con un ombrellino.

«No, siamo al porto di Road Town a Tortola. Di là c’è troppo casino.»

«A St. Thomas?»

«Sì, è un porto da crociere. E poi ci approdano tutti i turisti americani.»

«Volete che vi raggiunga dove siete ora?»

«No, no» si affrettò a rispondere Viktor pescando due dollari dal taschino della camicia variopinta.

Il cameriere lasciò il tavolo. Mia riuscì a intravedere una palma sullo sfondo. Un ventilatore sul soffitto. Una coppia abbracciata che passava ridendo, ciascuno con il proprio drink, lei in bikini bianco, lui a torso nudo.

I Caraibi.

Ancora non riusciva a credere che fosse vero

«Veniamo a prenderti. Zero stress. Cazzo, se fa caldo qui oggi, e lì? Ancora inverno?»

Ammiccò asciugandosi la fronte con il palmo della mano.

Un sole esangue proiettava i suoi deboli raggi sul pavimento del salotto quasi vuoto. Aprile. Primavera a Oslo. Tredici gradi. La pesante oscurità che aveva gravato sulla capitale per tutto l’inverno se n’era finalmente andata, ma era nulla in confronto a ciò che la aspettava.

Le Isole Vergini.

«Qui è estate tutto l’anno» sorrise Viktor Vik bevendo un sorso del suo drink. «Sono felice che ci siamo finalmente riusciti, Mia. Sarà una gioia rivederti. Mi chiami appena prima di imbarcarti? Così so che sei partita.»

«Certamente» disse Mia. «Credo che sarò a St. Thomas intorno all’una di martedì.»

«Sì, dovrebbe essere così, è il volo del mattino da New York» confermò Viktor. «Ti faccio sapere se dobbiamo attraccare altrove, ok?»

«Perfetto.»

«Endless Summer ti aspetta» sorrise Viktor Vik e sollevò il drink un’ultima volta prima di scomparire.

Mia Krüger chiuse il laptop e si sentì avvolgere da una sensazione di calore.

Sei mesi su una barca a vela.

Perché non ci aveva pensato prima?

Papà in cucina a Åsgårdstrand, chino su una rivista di barche alla quale era abbonato.

«Ah, guarda un po’ qui, Mia, una Endeavour Classe J! Hai mai visto niente di più bello?»

Otto anni. In un momento in cui le era capitato di trovarsi sola con lui. La sorella gemella Sigrid lontana per qualche ragione. Danza. Coro. Equitazione. Erano uguali, ma diverse. Sigrid, sempre attiva. Lei più tranquilla. Non le piaceva tanto mettersi in mostra. Due bambine nate nello stesso momento, per sempre legate una all’altra, eppure così diverse.

Facciamo che tu eri Biancaneve e io la Bella Addormentata?

Perché devo fare sempre io Biancaneve, Sigrid?

Perché tu hai i capelli neri e io biondi, non lo capisci?

No. Sono una stupida.

Stupida? Non dire mai più una cosa simile. Sei la più intelligente del mondo, Mia.

Mia Krüger posò la tazza di caffè sul pavimento.

Non pensarci più.

Acqua passata.

Fece scorrere il nastro adesivo sul coperchio dello scatolone e prese il pennarello. Le ci volle un po’ per decidere che cosa scrivere, ma alla fine scelse qualcosa di semplice.

Foto.

Sollevò lo scatolone da terra, lo portò nella minuscola camera da letto e lo mise insieme agli altri. I ricordi. Alla fine aveva trovato la forza di passarli in rassegna. L’ultimo scatolone era stato il peggiore. Soprattutto un album di fotografie, era stato arduo sfogliarlo. Album di Mia. L’aveva fatto sua madre. Sulla copertina, lei stessa neonata in una carrozzella, per una volta tanto da sola in una foto, e poi all’interno tutta una sfilza di immagini: Mia e Sigrid: compleanno. Sigrid e Mia a danza. Papà ha comprato un’auto nuova! Tutta l’infanzia a Åsgårdstrand documentata come soltanto un album fotografico degli anni Ottanta sapeva fare. Sbiaditi ricordi a colori che le avevano suscitato la voglia improvvisa di correre in bagno e svitare i barattoli delle pillole, il desiderio di stordirsi, a cui però non si poteva cedere.

Tutto vuoto.

Niente pillole.

Vuoti tutti gli armadietti.

Niente bottiglie.

Soltanto quattro mesi prima l’inverno in casa era stato quasi più gelido di quello fuori dalle finestre. Alcol e pillole. Un perenne stordimento contro un mondo che non era capace di affrontare.

Dieci anni prima avevano ritrovato la sorella gemella Sigrid morta a causa di un’overdose di eroina in una sudicia cantina di Tøyen. Distrutti dal dolore, i genitori si erano lasciati morire.

Un anno prima Mia aveva venduto il suo appartamento a Oslo, per acquistare una casa sulla costa del Trøndelag, dove aveva deciso di seguire la sorte dei suoi cari togliendosi la vita.

Vieni, Mia, vieni.

La sorella Sigrid che correva con un vestito bianco attraverso un biondo campo di grano, chiamandola come in un sogno ipnotico.

Buon Dio, quanto era stata stupida.

Ancora se ne vergognava.

Mia gettò un ultimo sguardo agli scatoloni, si chiuse la porta alle spalle e tornò in salotto.

Nuova vita.

A trentaquattro anni si poteva ancora fare.

Sei mesi su una barca a vela.

Sorrise di nuovo tra sé, posò la tazza di caffè vuota sulla panca in cucina e stava per entrare in bagno per farsi una doccia quando suonarono alla porta. Andò in corridoio e attraverso lo spioncino vide un volto familiare. Alexander, il vicino, un giovane sulla ventina, insieme a una ragazza bionda che immaginò essere sua sorella.

Non è che hai pensato di affittare il tuo appartamento?

Mentre sei via?

Lei ha qualche difficoltà al momento...

Mia Krüger aveva pensato di vendere, di chiuderla una volta per tutte con quella città, ma aveva sempre avuto un punto debole. Aiutare le persone in difficoltà. Anche in questo erano state diverse Sigrid e lei. Sigrid era sempre stata molto dura, Mia era quella fragile, sensibile a ciò che le stava intorno, a volte si sentiva quasi trasparente. Polizia. Ovviamente sarebbe potuta andare in modo completamente diverso. Talvolta sembrava che il male riuscisse a mandarla in frantumi. In realtà, avrebbe voluto studiare letteratura. Fin da quando era bambina si muoveva in un mondo di fantasia, come in uno spazio sganciato dalle sollecitazioni che venivano dall’esterno. Per un po’ ci aveva provato, si era iscritta al campus di Blindern, aveva seguito qualche lezione, ma poi aveva mollato senza dare esami. Le era sembrato tutto così inutile. Studiare sui libri mentre Sigrid si aggirava per le strade della città, si bucava negli androni, no, doveva fare qualcosa di più concreto. Così si era iscritta alla Scuola di polizia, e per qualche strana ragione si era rivelata subito molto brava nel suo lavoro. Munch l’aveva fatta entrare nell’unità Omicidi ancor prima che avesse terminato gli studi. E sin dall’inizio Mia si era trovata benissimo nella squadra, fatta di persone estremamente esperte, intelligenti e solidali. Aveva la sensazione di collaborare a qualcosa di importante. Di fare scudo contro le miserie del vivere. Ma ciò si era rivelato ben presto un’arma a doppio taglio. Mia era estremamente forte, ma allo stesso tempo molto fragile.

È questo che ti rende così speciale, Mia.

È per questo che sei la migliore.

Holger Munch era stato quasi un padre negli ultimi dieci anni e lei gliene sarebbe stata eternamente grata, ma adesso era arrivato il momento.

Foglio bianco.

Sei mesi vuoti.

Sentì di nuovo la gioia ribollirle in corpo, quando aprì la porta e fece entrare in casa i due ragazzi sull’uscio.