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L’agente Jon Larsen, meglio noto come Curry, aveva un mal di testa così forte che faticava a vedere attraverso il parabrezza. Bevve un sorso dalla bottiglietta d’acqua che teneva tra le gambe, socchiuse gli occhi e cercò di decidersi se dovesse essere contento dell’incarico della giornata oppure no. Osservare. Non era esattamente azione, quella. Diede un’occhiata all’appartamento di Kyrre Grepps gate. Lotte. Una tossica diciassettenne. Un altro essere umano sul gradino più basso nella scala gerarchica della droga, ma per qualche ragione andava comunque tenuta d’occhio. Magari li avrebbe portati da qualcuno più in alto. Curry non aveva seguito bene tutta la riunione. Era stato impegnato a tenere su le palpebre e giù il pranzo. Forse la sera prima avrebbe potuto scegliere un altro bar, ma sarebbe stata comunque la stessa cosa. Birra e whisky. Un paio di giri al tavolo da biliardo. Altra birra. Altro whisky. E poi si era risvegliato di nuovo nello stesso letto, con quel giovane viso sull’altro cuscino, i postumi della sbornia e la sensazione di venire da un altro pianeta.

Luna. Che razza di nome era? Vent’anni, rasta e anello al naso. Sul braccio il tatuaggio di qualche personaggio di cui Curry non aveva mai sentito parlare. Luna. Chi mai chiamava la figlia in quel modo? Soltanto adesso si accorse di averlo pensato. Figlia. Una bambina.

Be’, non era esattamente una bambina, però aveva quattordici anni meno di lui. Barista. No, così non andava. Doveva prendere una decisione.

Cercò di escogitare qualcosa che assomigliasse a un piano d’azione, ma a quel punto un collega aprì lo sportello dell’auto ed entrò per sedersi sul sedile accanto al suo. Allan Dahl. Per molti versi l’opposto di Curry. Alto e allampanato, con un gran paio di baffi che aveva dall’ultima volta che Curry aveva lavorato con lui alla Narcotici e che all’improvviso erano tornati di moda senza che il collega se ne fosse nemmeno accorto.

«Qualche novità?»

«Macché» biascicò Curry.

«Non ci sono altre uscite qui, vero?»

«No, a meno che ne abbiano costruita una dall’ultima volta che abbiamo controllato.»

Dahl sollevò il bicchiere di caffè dal contenitore senza essersi accorto dell’evidente sarcasmo.

«Caffellatte per me, come al solito caffè nero per te, scusa se ci ho messo tanto, ma sono dovuto scendere fino al Kaffegutta di Vogts gate per trovare qualcosa di decente.»

Curry assaggiò il caffè, ma francamente non notò alcuna differenza rispetto a quello servito altrove.

«Allora» disse Dahl lanciandogli uno sguardo incuriosito, «ho incrociato la tua migliore amica ieri. Che fa, parte?»

«Chi?»

«La superdetective. Era giù al primo piano, le hanno dato un nuovo pass. Che fa, ha trovato lavoro all’estero o cosa?»

Curry bevve un altro sorso di caffè e lentamente capì a chi si stesse riferendo il collega.

Mia Krüger.

Scrollò leggermente il capo. Superdetective, ma sentilo. L’avevano chiamata in un sacco di modi, ma quella era una novità. Serpeggiava l’invidia tra gli altri colleghi. La squadra di Munch era molto quotata e quelli che non venivano scelti avevano il loro bel daffare a sciacquarsi la bocca. All’epoca Curry aveva lasciato la Narcotici a testa alta per poi vedere una sfilza di sorrisini soddisfatti quando vi aveva fatto ritorno, «in prestito».

Ma dai?

L’unità è di nuovo soppressa?

Non è andata così bene?

Curry non si considerava certo la persona più intelligente o più istruita del mondo, ma a volte aveva l’impressione che quelli intorno a lui si comportassero come dei bambini. L’invidia nei corridoi, gli sgambetti, la lotta continua per salire di grado, come fossero all’asilo o in un pollaio.

Sì, sì, chi se ne importa.

Stasera niente sbronza.

Lo decise in quel momento. Era capitato ogni sera, quella settimana. Stesso bar, stessa ragazzina accanto a lui sul letto, che cosa ci vedeva poi in lui?

«Hai ancora contatti con lei?»

A quanto pareva Dahl non mollava.

«Bah, sì, ci sentiamo ogni tanto.»

«Era stata legittima difesa quella volta, o è vero che ha ammazzato quel tipo?»

Curry finse all’improvviso di dare molto peso a quello che stava succedendo nell’appartamento sopra le loro teste, ma quello non desisteva.

«Dicono che abbia sparato a bruciapelo. Che ha qualche rotella fuori posto. È stata lei ad ammazzarlo, no? Non è stato Munch?»

Curry fece un sospiro.

Era stato un vero e proprio caso, qualche anno prima. C’era anche lui a Grønland. Munch e Mia avevano seguito una pista che li aveva portati a una roulotte in un campeggio a Tryvann, in cerca di una ragazza scomparsa. Arrivati, avevano trovato ben altro. Un noto tossico e spacciatore, Markus Skog. L’ex fidanzato della gemella di Mia, Sigrid. Mia gli aveva sparato due colpi al petto. Era stata sospesa immediatamente e poiché Munch l’aveva difesa, avevano sollevato anche lui dal suo incarico. Spostato fuori città. L’unità soppressa.

«È stata legittima difesa» disse Curry sperando che l’altro cambiasse finalmente discorso.

«Ma ha sparato lei?»

«Sì, lei. Munch è entrato nella roulotte soltanto dopo, credo.»

«Ma come ha fatto a prendere le sue difese?»

Dahl bevve un sorso di caffè ammiccando.

«Erano stati i giornali poi a darle quel nome, vero?»

Curry sospirò. Evidentemente quello era l’argomento del giorno. Il caso era stato strombazzato a destra e a manca dai media e all’improvviso Mia era finita in prima pagina. Il nuovo obiettivo dei paparazzi. La cosa fortunatamente si era esaurita piuttosto in fretta, gli avvoltoi erano volati sulla vittima successiva, ma la curiosità a quanto pareva era ancora viva tra i poliziotti.

«Quale nome?»

«Mia Raggio di Luna.»

«No, quel nome gliel’aveva dato sua nonna.»

Curry posò il caffè e si voltò irritato verso il collega.

«Credo che sia per il fatto che somiglia a un’indiana. Hai presente, i capelli neri... Abbronzatura facile in estate... Dopotutto è stata adottata, lo sapevi?»

«Cosa? No...»

«Sì, entrambe le gemelle. Subito dopo la nascita. Mia e Sigrid. Da una coppia di Åsgårdstrand. Davvero delle brave persone, a quanto ho sentito. Sono morti adesso, tutti quanti, sepolti nello stesso cimitero, è rimasta solo lei, sola al mondo. E sì, ha una cicatrice sopra l’occhio. Un tipo, durante un interrogatorio... bum, non è rimasta cieca per un soffio. Le manca anche una falange a un dito. Un rottweiler, credo. Le ha piantato i denti in una mano, ha dovuto sparargli.»

Dahl si ravviò i capelli e fece un sorrisino, annuendo.

«Proprio così, e ha un tatuaggio, credo, una farfalla, da qualche parte sull’anca.»

Curry si sollevò il maglione.

«Qui, credo.»

«Ok, ok, ho capito, rilassati» mormorò Dahl. «Chiedevo soltanto. Cazzo, dobbiamo starcene seduti qui tutto il giorno.»

«Già, e perché poi?» disse Curry. «A quanto pare, la ragazza non va da nessuna parte. Se ne sta di sopra stesa su una nuvola rosa, e intanto noi sprechiamo risorse che potrebbero essere impiegate altrove...»

«Ordini» rispose secco Dahl scrollando le spalle. «Ma che hai oggi? Non hai pranzato o cosa?»

Curry scosse la testa e bevve un altro sorso d’acqua. I ragazzi della Narcotici. Non era cambiato nulla. Nelle ultime settimane la città si era riempita di eroina e le voci dicevano che fosse anche roba molto buona. La squadra lavorava a pieno ritmo e per Curry non c’era alcun dubbio che ci fosse qualcosa di storto nel sistema. Lassù, nel paese migliore del mondo. Forse la cosa giusta da fare era legalizzare quella merda? Sistemare la faccenda in quel modo? La gente aveva bisogno di drogarsi, su questo non ci pioveva, perché allora non lasciar gestire la cosa allo stato? Magari non l’eroina, ma le sostanze più leggere, l’hashish, la marijuana, lasciare che la gente si rilassasse, ridurre i profitti della criminalità, depenalizzare il tutto. Avrebbe reso le cose molto più semplici. Piantonare per tutto il giorno una tossica diciassettenne che faticava a reggersi in piedi? A che scopo?

Dahl rimase seduto in silenzio accanto a lui, a quanto pareva, aveva capito come buttava.

Parlare male di Mia Krüger?

No, cazzo.

Non durante il suo turno.

Maledetti invidiosi.

«Allora» tossicchiò Dahl dopo un po’, in un palese tentativo di correggere il tiro. «La ragazza che avete trovato nel lago? Strano caso, no? Con il costume del balletto? Hai sentito qualcosa?»

«No» disse Curry.

«Strano che non ne sappiamo nulla, non trovi? Voglio dire, sono passati due giorni. Dovrebbe esserci qualcosa in internet ormai...»

«La KRIPOS» sospirò Curry. «Non mostrano mai le loro carte.»

«Mah, non lo so» disse Dahl. «Io credo ci sia qualcosa di più.»

«Ah, sì?»

«Non te l’ho detto io, ma ho un’amica alla Scientifica che mi ha detto che hanno trovato qualcosa di strano lassù.»

«Che cosa?»

«No, questo non me l’ha detto, a quanto pare, hanno messo la museruola a tutti.»

«Addirittura?» commentò Curry e bevve un altro sorso di caffè.

«Sì, c’è qualcosa che non ci vogliono dire, decisamente» sospirò Dahl. «Dannazione, ho fame. Non hai bisogno di una pausa? Posso stare qui un po’ da solo. Magari puoi andare a prendere qualcosa da mangiare per entrambi.»

«Ma, cazzo, sei appena stato fuori, perché non hai preso niente?»

Dahl scrollò le spalle e fece un cenno col capo verso l’appartamento come a dire che non voleva perdersi nulla.

Curry si concesse un sospiro. Davvero non riusciva a capire perché fosse necessario stare lì seduti a piantonare quella tossica di diciassette anni, Lotte, tutto il giorno.

Stava per scendere dall’auto quando arrivò un messaggio al suo cellulare. Curry non riuscì a nascondere un sorriso quando lo lesse.

«Che succede?» chiese Dahl.

«Succede che ti arrangi da solo.»

«Che vuoi dire?»

«Era Anette Goli. L’unità è di nuovo in piedi. In bocca al lupo con la tossica.»

Curry sorrise e diede al collega una pacca sulla spalla prima di uscire dall’auto e chiamare un taxi per il centro.