Karoline Berg aveva lo sguardo annebbiato dai farmaci, ma nessuna pillola al mondo poteva nascondere che qualcosa in lei era morto e più nulla l’avrebbe riportato in vita. Poco più di quarant’anni, i capelli biondi sulle spalle, aveva insistito per alzarsi dal letto e incontrarli in piedi, anche se era evidente che le gambe l’avrebbero retta appena.
«Come le abbiamo detto, vogliamo assicurarci che lei si prenda tutto il tempo che le serve prima di parlare con noi» esordì Munch dopo aver espletato tutte le formalità, e Karoline Berg era tornata sul suo letto d’ospedale.
Mia Krüger aveva una brutta sensazione. La bionda del Nordland sembrava fuori dal mondo, non presente in quella stanza, in ogni caso non era pronta per l’imminente interrogatorio. Mia avrebbe preferito girare sui tacchi e prendere di nuovo la porta.
«Non posso credere che non sia più qui.»
Una vocina flebile sotto uno sguardo velato.
«Capisco» disse Munch, che si era seduto su una sedia accanto al letto. «Ci dispiace essere costretti a disturbarla in questo modo, ma vorremmo cercare di comprendere che cosa è accaduto.»
Incontrare i parenti delle vittime. Faceva sempre un’impressione troppo forte su di lei. Per fortuna Munch era l’esatto contrario. L’aveva già visto molte volte: il dolce orsacchiotto che era in lui veniva fuori e rendeva tutto possibile. Un sentimento di calma. Qualcosa di paterno. Che permetteva a chi stava soffrendo di sentirsi in mani sicure. Spesso aveva pensato che se Munch non fosse stato così poco religioso, avrebbe potuto essere un bravo prete.
«All’inizio non ci credevo che fosse lei» mormorò Karoline Berg guardando fuori dalla finestra. «Non sembrava lei. Vivian era così vitale. Mia figlia non c’era più, quindi non poteva essere lei.»
«Capisco, e glielo ripeto, se fosse troppo dura per lei, me lo dica. Ci adegueremo ai suoi tempi.»
«Quegli orecchini di perle» proseguì Karoline Berg senza far caso alle parole di Munch. «Lei non l’avrebbe mai fatto. Odiava i buchi alle orecchie. Io ci ho provato, tutte le bambine li vogliono, ma lei no.»
Munch guardò Mia e sollevò debolmente le sopracciglia.
«Quindi questi orecchini sono una novità?»
Karoline Berg annuì senza staccare gli occhi dalla finestra.
«Mi dispiace davvero, ma dobbiamo chiederglielo» disse Munch. «Le viene in mente qualcuno che potrebbe aver fatto una cosa simile a Vivian? Le ha mai raccontato di qualcosa di strano che le era successo? Aveva nemici?»
La bionda del Nordland si voltò verso Munch. Sembrava ancora che i suoi occhi annebbiati non vedessero che lui era lì.
«Non credo che lei e Sebastian fossero fidanzati. Soltanto amici, da quel che ho capito. Vivian voleva solo ballare, non le interessavano granché i ragazzi.»
Mia tossicchiò per attirare l’attenzione di Munch. Era evidente che Karoline Berg non era pronta. Non rispondeva nemmeno alle domande che le ponevano.
«Sebastian?» proseguì cauto Munch. «Ricorda il cognome?»
«Orecchini di perle? No, non era da te, Vivian. Volevi assomigliare alla nonna? Non dicevi sempre che non ti piacevano? Che erano troppo leziosi?»
Karoline rise debolmente tra sé mentre le palpebre le si abbassavano di nuovo. Mia riusciva a vedere solo il bianco. La donna giacque così per un istante, poi sembrò risvegliarsi e vederli per la prima volta.
«Ah, mi dispiace» mormorò e si mise a sedere sul letto. Munch le posò con dolcezza una mano sulla spalla.
«Va tutto bene, Karoline. Magari potremmo tornare più tardi, così lei avrà il tempo per riposarsi un po’...»
Gettò un fugace sguardo verso Mia, che si alzò.
«Ve ne andate di già? No, no. Io voglio aiutarvi, lasciate che vi aiuti. Non può restare lì da sola, qualcuno deve aiutarla, Vivian, ora viene la mamma.»
Karoline Berg cercò di alzarsi, ma le sue mani non trovarono il bordo del lenzuolo.
«Va tutto bene» disse Munch per tranquillizzarla, pigiando il pulsante rosso accanto al letto.
«Noi non abbiamo nulla a che fare con lui!» esclamò Karoline Berg all’improvviso.
«Di chi parla?» chiese Munch.
«Vivian, me lo devi promettere. Lui non appartiene più alla nostra famiglia!»
Quel corpo esile ora tremava.
Si aprì la porta e due infermiere entrarono nella stanza, la prima le posò una mano sulla fronte e si rivolse a Munch.
«Credo che adesso dovreste andare.»
«Certo» disse Munch e si alzò.
«Karoline? Ci sei?»
La porta si aprì di nuovo ed entrò un dottore.
Di nuovo nel parcheggio. Era da tempo che Mia non vedeva Munch tanto furioso.
«Non avremmo mai dovuto entrare lì dentro.»
«Non dirlo a me» fece Mia salendo sull’Audi. «Che dobbiamo pensare?»
«Di quel Sebastian?»
«Riflettevo di più sull’ultima cosa che ha detto...»
«Chiama l’ufficio» disse Munch mettendo in moto. «Gabriel. È stato dislocato alla polizia finanziaria, ma credo che ora sia di nuovo tra noi.»
Mia tirò fuori il cellulare dal giubbotto di pelle.
«Dove andiamo?»
«Il direttore del Balletto dell’Opera» disse Munch svoltando in Ullevålsveien.
«Ok» disse Mia componendo il numero di Gabriel Mørk.