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Samantha Berg aveva sognato di essersi sposata. Era stato tutto fantastico, così meraviglioso che quando al risveglio si era resa conto di essere a casa e ancora da sola, aveva considerato l’opportunità di prendere un altro sonnifero. Chiudere gli occhi. Strisciare di nuovo sotto il piumone caldo. Tornare lì. Alla spiaggia bianca.

Dio, com’era stato tutto perfetto. Proprio come se l’era immaginato. A piedi nudi sulla sabbia. L’abito bianco. Il velo che ondeggiava al vento. La musica di sottofondo. Un arco di fiori come nei film americani. E sotto c’era lui. Il principe. Samantha non ricordava bene chi fosse stato stavolta, ma somigliava un po’ a Brad Pitt. Molto più giovane ovviamente, vestito di tutto punto, con gli occhi azzurri che brillavano, che aspettava lei. Con l’anello in mano. Ah, come la guardavano tutti gli ospiti, sguardi di ammirazione e di invidia. La famiglia e gli amici di lui da una parte. Quelli di lei dall’altra. C’era anche Laila Bekkevåg, quella persona orribile, le sue vecchie compagne di scuola che postavano sempre fotografie delle loro famiglie perfette su Facebook e la lasciavano in un angolo quando si ritrovavano.

«Ancora single, Samantha? Oh, no, poverina, dev’essere terribile, a trentasei anni, tu che hai sempre desiderato un marito e dei figli. Sì, be’, certo, hai il tuo gatto...»

Le altre del gruppo delle amiche non erano così cattive, ma lei poteva cogliere anche nei loro occhi quello stesso pensiero.

Compassione. Provavano pena nei suoi confronti.

Perché non poteva arrivare presto anche il suo turno? Non chiedeva poi tanto alla vita.

Il pastore era un vecchio che le ricordava un po’ suo nonno, con la voce roca, barba bianca folta e un sorriso grande come l’eternità.

Samantha vuoi prendere in sposo l’uomo qui presente? Prometti di amarlo per sempre, nella buona e nella cattiva sorte finché morte non vi separi?

Avrebbe voluto gridarlo. Sì sì sì! Ma si era trattenuta ovviamente, si era limitata ad arrossire un po’ e aveva pronunciato un timido , come si conveniva a una giovane signora. Ammiccò lievemente in modo seduttivo mentre lui le infilava l’anello al dito sottile. Chiuse gli occhi quando lui si chinò nella tiepida aria estiva per baciarla. Ah, com’era stato meraviglioso. Il calore che aveva sentito in corpo al tocco delle braccia di lui quando la cingevano, le sue labbra contro quelle di lei.

Il freddo delle piastrelle del bagno quando aveva aperto l’armadietto dei medicinali per tirare fuori la scatoletta bianca del sonnifero, il gelo sotto i piedi, l’avevano risvegliata, il sogno era svanito, non sarebbe riuscita a tornarci dentro, allora aveva riposto la scatola e si era trascinata in cucina per preparare la colazione come faceva abitualmente.

Era noiosa? Per quello nessuno la voleva? Faceva le stesse cose tutti i santi giorni, d’accordo, ma era così grave? Le piaceva la sua routine. Era più semplice in quel modo. Affrontare le giornate con un programma ben definito. Alzarsi alle sette e trenta quando suonava la sveglia. Andare in cucina e accendere la radio. Preparare la colazione, di solito del pane croccante per sé e del tonno per Rebekka, la gatta. Poi si faceva una doccia e infine, dopo essersi accuratamente asciugata, tornava in camera da letto per vestirsi. Non in modo troppo appariscente, ma comunque presentabile. Doveva vendere abiti, non sposarsi, quindi andava bene mantenersi defilata. Non apparire in competizione con le clienti, ma comunque brillare per gusto ed eleganza. Non era semplice, certo, con il budget limitato che aveva a disposizione, ma in qualche modo funzionava. Nessuno si era mai lamentato del suo abbigliamento al lavoro, certo, ormai era passato un po’ di tempo e secondo lei quello era un buon segno.

Abiti da Sposa S.p.A., in Prinsens gate.

Era lì che lavorava. Aveva sentito bisbigliare le amiche l’ultima volta che erano uscite insieme. Il muso di Laila Bekkevåg un po’ sporto in avanti con quel sorriso disgustoso mentre Samantha tornava con i drink dal bar.

«Lavora in un salone da sposa, ma non trova nessuno che sposi lei, che ironia della sorte, eh?»

«È vero che c’è dentro anche lui?»

«Chi?»

«Il tipo con cui era fidanzata...»

«Oh, Signore, è una iattura!»

Samantha Berg andò alla stazione della metro in Jernbanetorget e si chiese se non fosse il caso di riaprire il suo profilo su Møteplassen, il sito di incontri. Tinder l’aveva provato per un po’, ma sul serio non faceva per lei. Non aveva avuto molti match e quei pochi cercavano, già, per dirla semplicemente, una cosa soltanto.

Sfortunata.

Possibile che fosse la sola parola che la descriveva?

Samantha infilò la chiave nella toppa e disattivò l’allarme. Un mondo di abiti da sposa. In quell’istante lo percepiva appieno, le piaceva il suo lavoro, eccome. Qualsiasi cosa pensassero le amiche. Le piaceva girare per quelle belle stanze tutto il giorno, circondata da tutti quei bei vestiti. Soltanto non era ancora arrivato il suo turno. Sarebbe arrivato, certo che sarebbe arrivato. Bisognava solo essere pazienti.

Forse avrebbe dovuto caricare nuove foto sul profilo? Se n’era scattata qualcuna in Frognerparken un giorno che aveva portato fuori Rebekka, non a figura intera, ma erano venute molto bene. Non bisognava cedere alla rassegnazione. Chi si rassegna ha già perso. La cosa più bella di una giornata di pioggia è sapere che dietro le nubi il sole continua a splendere. Non era così?

Sorrise tra sé, appese il soprabito nel guardaroba e stava rientrando nel negozio quando suonò il campanello sopra la porta. Il primo cliente della giornata. Una giovane bionda con un cappellino verde. Un’altra futura sposa. Samantha si sentì felice al solo pensiero.

«Buongiorno, come la posso aiutare?»

La giovane la guardò nervosa da sotto la visiera.

«Vorrei... sì, un abito da sposa.»

«Allora è venuta nel posto giusto. Ha in mente qualcosa in particolare?»

La ragazza stava lì impalata.

Era sempre così.

Troppi modelli. Ovvio che fosse difficile. Anche lei si sarebbe sentita in difficoltà.

«Intorno alle diecimila...?» disse la ragazza.

Samantha sorrise di nuovo. Era insolito cominciare dal prezzo, ma lo capiva. Ne aveva visti di capi chini e visi delusi all’uscita dal camerino dopo aver sentito quanto costava l’abito di cui si erano appena innamorati.

«Questo dovrebbe aiutare a limitare la scelta. Ha in mente un modello in particolare? Classico? Più moderno? Abbiamo alcuni modelli nuovi di Rosa Clará che personalmente trovo fantastici. Tradizionali, ma comunque interessanti, linee molto pulite. Io l’ho sempre detto e ne sono convinta, gli abiti da sposa più belli vengono dalla Spagna. Potrebbe essere una cosa come questa che ha in mente?»

Samantha accompagnò la giovane al reparto Rosa Clará e prese un abito dall’espositore.

«Questo mi piace molto. È...»

«Sì, è bello. Lo prendo.»

La ragazza dal cappellino verde rimase lì ferma guardando fuori dalla vetrina.

Ma cos’avevano i suoi capelli?

Sembravano strani...

«Come dice? Non lo vuole provare?»

«No, non è necessario.»

Era una parrucca?

«È sicura? Voglio dire, è importante che...»

«Lo prendo» ripeté la ragazza. «Quant’è?»

«Questo costa ottomilaquattrocento, poi prendiamo milleseicento per il lavoro di sartoria. Le potrà sembrare costoso forse, ma è importante che quel giorno le stia a perfezione, ne conviene?»

«Lo prendo.»

«Sì, bene» tossicchiò Samantha. «Mi sembra che le vada bene. La cosa migliore naturalmente sarebbe provarlo, i camerini sono lì in fondo, se ha bisogno la posso aiutare.»

«Quanto ha detto che costa?»

La ragazza con la parrucca era già andata alla cassa.

«Ottomilaquattrocento. Ma come le ho detto...»

«Accettate cash?»

«Cioè?»

«Contanti?»

La ragazza la stava guardando diritto negli occhi. Samantha ne aveva visti di occhi lì dentro. Occhi che brillavano di gioia e di trepidazione, ma non aveva mai visto uno sguardo come quello.

La giovane sembrava quasi impaurita.

«Glielo devo mettere in una busta così com’è, o...?»

«Sì, va bene» disse la ragazza infilando la mano nella borsetta.

La mano riemerse con una busta di contanti. Contò le banconote con le dita tremanti e le posò sul banco.

«Vuole che metta un nome...»

«No» disse la ragazza.

«Voglio dire, per...»

«Va bene così» la interruppe la giovane prendendo la grande borsa bianca.

«Torni pure se dovesse esserci qualcosa che non va, d’accordo? Come le ho detto, facciamo lavori di sartoria.»

A quel punto si fermò, dal momento che stava parlando da sola. La ragazza con il cappellino verde aveva già lasciato il negozio.

Samantha scosse la testa, andò nel retrobottega e si versò una tazza di caffè.

Doveva farlo adesso?

Creare un nuovo profilo?

In realtà non ne aveva il permesso, erano rigorosi su queste cose, nell’orario di lavoro non si poteva stare al telefono o al pc, ma non aveva appena venduto un abito?

Già alle dieci e un quarto?

Un Rosa Clará? A meno di un’ora dall’apertura?

Per la miseria, che ci sarebbe stato da ridire?

Samantha tirò fuori il cellulare dalla borsetta, tornò al banco, sorrise tra sé e cominciò a pensare a come avrebbe potuto presentarsi questa volta.