La Lindo e Pulito di Sagene si trovava – per l’appunto – nel quartiere di Sagene, appena vicino alla chiesa, una zona che Munch conosceva bene. Lui e Marianne avevano vissuto là molto tempo prima. Un appartamento di quaranta metri quadrati con una microscopica camera da letto e il bagno in cucina. Aveva appena cominciato a lavorare come investigatore. Lei frequentava ancora la scuola per insegnanti. Pochi soldi, ma stavano benissimo. Munch avvertì una vaga punta di dolce nostalgia invadergli il corpo e scacciò un sorriso mentre gettava il mozzicone della sigaretta e scostava la porta di vetro per entrare nel minuscolo locale.
Impresa di pulizie e lavanderia. Un piccolo bancone con file di abiti appesi dietro. Fu accolto da un’anziana signora sorridente che si alzò quando lo vide entrare.
«Benvenuto, lavaggio?» disse la signora vietnamita sfilandosi una penna da sopra l’orecchio. «Oggi sconto sulle camicie, tre al prezzo di una e un’altra gratis se c’è tutto l’abito e un’altra ancora se gli abiti sono due...»
«Polizia di Oslo» esordì Munch mostrandole il distintivo. «Lei è la proprietaria?»
L’anziana signora inforcò un paio di occhiali che teneva appesi a un cordoncino al collo e lo guardò con aria interrogativa.
«Guai?»
«No, no» rispose Munch sorridendo lievemente. «Tutto a posto, vorrei soltanto porle delle domande su uno dei suoi dipendenti. È lei la responsabile?»
«Aspetti un momento» rispose la signora vietnamita e scomparve dietro le file di abiti.
Tornò seguita da un giovane ben vestito, sui venticinque probabilmente.
«Dinh Nguyen» disse questi gentilmente, porgendo la mano. «Come posso aiutarla?»
«È lei il proprietario?»
«Direttore.»
Calzoni kaki con la piega. Camicia bianca sotto un maglione nero. Belle mani, ben tenute, con un orologio d’oro al polso. Munch pensò che sarebbe stato più adatto a un catalogo di abbigliamento che dietro il banco di una lavanderia. Sembrava che la Lindo e Pulito di Sagene fosse un’azienda in piena salute.
«Sto cercando alcune informazioni su uno dei vostri operai» disse Munch.
«Ah, sì?» rispose Nguyen curioso. «Chi?»
«Ha fatto le pulizie ieri sera all’Hotel Lundgren... Etnia norvegese...»
«Lundgren? Non avevamo nessuno lì ieri sera, a quanto ne so. Etnia norvegese? Intende dire bianco?»
«Bianco, sì, c’è qualcuno che corrisponde alla descrizione?»
«No, purtroppo, siamo una ditta a conduzione familiare, i nostri operai sono in gran parte zie, zii e nipoti» rispose Nguyen con un lieve sorriso.
«Quindi nessuno da fuori?»
«No, noi...»
Il giovane fu interrotto dalla signora anziana. Uno scambio di parole tra loro in quello che Munch immaginò essere vietnamita.
«Ah, certo» disse Nguyen voltandosi nuovamente verso Munch. «Mi scusi, può essere uno dei lavoratori a giornata.»
«Lavoratori a giornata?»
«Cerchiamo di dare una mano quando possiamo» disse l’elegante vietnamita accennando con il capo a una fila di sedie fuori da una delle finestre. «Non possiamo assumere molti lavoratori fissi, ma capita che vengano persone a chiederci se abbiamo qualcuno da mandare.»
«E l’avete?»
«Capita, certo.»
«Siete sia impresa di pulizie sia lavanderia?»
«Sì.»
«E con questi lavoratori a giornata come funziona?»
«Entrano, si siedono qui, aspettano e se abbiamo un’incombenza scoperta la prendono loro.»
«Pulizie, dunque?»
«Sì, per la lavanderia siamo coperti.»
L’anziana signora disse ancora qualcosa, ma Nguyen questa volta la ignorò.
«E chi sono?»
«I lavoratori a giornata?»
«Sì...»
Nguyen esitò un istante. Munch ovviamente capiva perché. Ancora, come all’hotel, il giovane aveva paura che potesse essere uno della finanza o dell’osservatorio del lavoro.
«Come le ho detto...»
«Ascolti» lo interruppe Munch grattandosi un po’ la barba. «Chi siano questi lavoratori a me non interessa, ok? Se hanno il permesso di soggiorno, se pagano le tasse... Che le cose vadano come devono andare se ne occupano altri, non io.»
Nguyen lo guardò rapidamente da sotto il ciuffo di capelli ben pettinato, e riprese.
«Molti sono immigrati, sì. Non è facile trovare un lavoro qui. Voglio dire, è già difficile per la gente che qui ci è nata... Come le ho detto, cerchiamo soltanto di offrire un aiuto.»
Munch sollevò una mano come in segno di resa.
«Di nuovo. La capisco perfettamente. Non è compito mio. Ho soltanto bisogno di sapere se qualcuno di loro corrisponde alla descrizione che le ho fatto.»
«Credo di sapere chi sta cercando» disse infine Nguyen.
«Chi?»
«In genere non ne abbiamo... com’è che l’ha chiamata? Etnia norvegese? Non ce ne sono molti che vengono qui dentro. Sono per lo più afgani, somali, polacchi. Ma uno c’è stato.»
Appena la donna aprì nuovamente la bocca, Nguyen le fece cenno di tacere.
«Che sta dicendo?» domandò Munch, curioso.
«Dice che sa chi è e che non è più il benvenuto.»
«Problemi, via via!» disse la donna agitando un indice ritorto.
«Mamma, me ne occupo io» sospirò Nguyen.
«Di chi stiamo parlando?»
«Ha detto sui venticinque anni? Bianco?»
«Sì...»
«Ne abbiamo avuto uno, sì, ma è da un po’ che non lo vedo.»
«Perché?»
«Abbiamo questionato un po’.»
«Per che cosa?»
«Il fatto è che chiediamo loro di registrarsi. Non voglio finire nei guai se lavorano in nero. Se superano la soglia minima mi devono mostrare il codice fiscale.»
«E quest’uomo non l’ha fatto?»
«Karl» disse la vecchia scuotendo la testa.
«Ha informazioni su di lui?»
«Non molte» rispose Dinh Nguyen. «Nome, indirizzo, telefono, ma non ha mai portato i documenti.»
«Soldi sporchi» aggiunse la donna.
«Mamma, me ne occupo io.»
«Ci ha truffato, migliaia di corone.»
«Vi deve del denaro?»
Nguyen fece un lieve sospiro.
«Come le ho detto, non voglio farne le spese io, se qualcuno lavora in nero. Quindi in genere non paghiamo se non ci dimostrano che pagheranno le tasse, ma...»
«Troppo buono, sciocco» disse l’anziana donna togliendosi di nuovo gli occhiali.
«L’ha pagato ugualmente?»
«Sì. Mi ha detto che sarebbe tornato con tutti i documenti, però non l’ha mai fatto.»
«E quanto tempo è passato?»
«Quanto sarà? Tre settimane?»
«E da allora non l’ha più rivisto?»
«No.»
«Quindi lei non ha mandato nessuno ieri all’Hotel Lundgren?»
Il vietnamita scosse la testa.
«No, nessuno.»
«Ha detto che aveva delle informazioni su di lui...»
«Attenda un istante» disse Nguyen, e scomparve nel retrobottega.
«Scemo» ripeté la donna, che era tornata a sedersi sulla sedia dietro la reception e aveva tirato fuori il lavoro a maglia.
«Ecco» disse Nguyen posando un foglietto sul bancone.
«Karl Øverland?»
«Sì.»
«E questo è il suo indirizzo?»
«Sì, ma il numero di telefono non funziona, ho provato.»
La vecchia scosse la testa e disse ancora qualcosa in vietnamita che a giudicare dall’espressione del viso di Nguyen non faceva molto onore al figlio ben vestito.
«Sarebbe in grado di riconoscerlo?»
«Come dice?»
«Se le mando un disegnatore, lei è in grado di fornirci una descrizione del suo aspetto?»
«Certo» disse Nguyen. «Non va bene che vada in giro a spennare la gente. Vi aiuterò con piacere. Posso chiederle perché lo state cercando?»
«Purtroppo non le posso rispondere. Ma mille grazie per questo.»
Munch sollevò il foglietto e lo infilò nella tasca del montgomery.
«La contatteremo. Intanto, grazie» disse Munch facendo un cenno di commiato alla donna prima di tornare fuori al sole primaverile che cominciava a fare capolino.