Mia pagò il tassista e trovò Munch fuori da un centro abbronzatura con una sigaretta in bocca e un’espressione scura negli occhi.
«Che succede?»
Munch si limitò a scuotere il capo.
«Sai la questione della contaminazione della scena del crimine?»
«Sì?»
«Il receptionist del Lundgren ha detto che Kurt Wang aveva parlato con un giovane prima di entrare nella sua stanza. Uno di un’impresa di pulizia.»
«Ieri sera?»
«Sì.»
«Impresa di pulizia» ripeté Mia prendendo una pasticca dalla tasca. «Non ci avevamo pensato. Capelli? Unghie? Escrementi? Ecco dove ha potuto procurarsi tutta questa roba. È straordinario, Holger.»
«L’impresa di pulizia?»
Certo.
Sentì un formicolio sotto il giubbotto e sorrise a Munch, che per qualche ragione non pareva così entusiasta.
«E...?» fece Mia trepidante.
«Ho cercato la ditta.»
«Sì?»
«Non hanno avuto nessun incarico dall’hotel ieri.»
«Ma...?»
Mia scrollò il capo, ma non riusciva a capire che cosa fosse a turbarlo.
«Ma sapevano chi era?»
«Karl Øverland. Mi hanno dato un indirizzo, il numero di telefono che avevano è scollegato.»
«Fantastico, Holger. Allora che stiamo aspettando? Che c’è? Che cosa dovevi mostrarmi?»
«Bergensgata 41» mormorò Munch.
«Cosa?»
«L’indirizzo che aveva lasciato.»
Mia fremeva per la curiosità, quasi non riusciva a restare ferma sull’asfalto, ma Munch continuava a non dire nulla.
«Ma, dannazione, Holger! Che sta succedendo? Abbiamo un nome? Abbiamo un indirizzo? Che stiamo aspettando? Che cosa dovevi mostrarmi?»
«Questo» rispose calmo Munch.
Gettò la sigaretta sul marciapiede, infilò le mani nelle tasche del montgomery e la precedette dirigendosi all’angolo dell’alto edificio.
Bergensgata.
Le diceva qualcosa.
Cos’era che...?
Munch si fermò alla fine del marciapiede facendo un cenno col capo verso l’altro lato della strada.
Fu allora che lei lo vide.
Il piccolo edificio industriale rosso ruggine.
Ma per...
«Che cavolo, Holger...»
Munch si voltò verso di lei.
«Capisci adesso?»
«Ha lasciato... questo indirizzo?»
Mia si sentì invadere da un senso di nausea.
«Cazzo, Holger. Sei sicuro?»
Munch annuì con la bocca chiusa.
«Ma... non può corrispondere...»
«Avremmo dovuto capirlo?» mormorò Munch. «Le foto? La macchina fotografica davanti al cadavere? Forse avremmo dovuto intuire il collegamento?»
«Dannazione» sibilò Mia costringendosi a guardare di nuovo, anche se ogni sua fibra si ribellava.
L’edificio industriale di Bjølsen.
Bergensgata 41.
Era lì che li aveva tenuti prigionieri.
La sua officina.
Tutti gli attrezzi.
Li aveva tenuti svegli.
Svegli al punto giusto.
«Klaus Heming» mormorò Munch tirando fuori un’altra sigaretta dalla tasca del montgomery.
La lasciò pendere tra le labbra senza accenderla.
«La stessa casa?» disse Mia. «Non è possibile...»
Si fece coraggio.
Otto anni prima.
Klaus Heming.
Il postino.
Le fotografie delle vittime.
Dall’interno dell’officina.
Inviate alle famiglie.
Come se la perdita non fosse già sufficiente.
Il postino.
Otto anni prima, ma ancora oggi non riusciva ad aprire la propria cassetta delle lettere senza avvertire una leggera nausea.
Maledizione.
«Bergensgata, Bjølsen» disse Munch accendendo finalmente la sigaretta. «Non capisco perché non mi sia venuto in mente subito.»
«Ma è morto, no?»
«Dall’ultima volta che ho controllato...»
«E quindi...?» disse Mia gettando malvolentieri un nuovo sguardo alla strada.
«Copycat?» provò Munch scrollando le spalle.
«No, tu credi?» disse Mia. «Heming non ci ha mai lasciato nulla, non è così? Numeri? Messaggi? Quel bastardo era semplicemente...»
«È solo un’idea» la interruppe Munch. «Ma un collegamento dev’esserci, tu non credi?»
«Come si chiamava il tipo dell’impresa di pulizie?»
«Karl Øverland» rispose Munch.
«E?»
«E cosa?»
Munch la guardò irritato.
Quel caso li aveva messi quasi tutti al tappeto.
Munch era in piena crisi familiare. Due anni dopo, la rottura: aveva implorato Marianne di dargli un’altra possibilità. Lei alla fine aveva ceduto. Bene. Proviamoci. Per Miriam. Il tutto per un Munch che non c’era mai.
Klaus Heming.
Il postino.
Con la sua officina.
E i suoi attrezzi.
«Che facciamo?» mormorò Mia.
«Ho chiesto a Ludvig di controllare tutti i Karl Øverland che riusciamo a trovare» disse Munch aggrottando le sopracciglia. «Raduniamo tutti in ufficio ora, giusto per avere...»
Rimase immobile in piedi con gli occhi cupi.
«Riunione?»
«Cominciamo da lì.»
«Hai la macchina?»
«Ho parcheggiato laggiù in fondo» mormorò Munch scrollando di nuovo il capo, lentamente, poi si strinse, corpulento, nel montgomery beige e gettò la sigaretta verso l’edificio color ruggine.