34

Munch stava dietro lo specchio insieme ad Anette Goli, aveva deciso che Mia avrebbe cominciato l’interrogatorio da sola. Trovava che a volte fosse meglio così. Un approccio meno minaccioso. Dopotutto, non avevano nulla contro Raymond Greger. Solo voci. Una storia di Bodø. Nessun elemento di prova. Né testimoni in grado di dichiarare di averlo visto nelle vicinanze di qualcuna delle scene del crimine. Niente traffico telefonico, e non era iscritto ai social. Qualche problema in famiglia, forse, ma tutto questo non serviva a granché se non riuscivano a farlo parlare.

Si voltò verso Anette quando Mia cominciò l’interrogatorio.

«Si può alzare il volume?»

Anette annuì e girò la manopola sul pannello accanto alla porta.

«Ore 12.14» disse Mia chinandosi sul microfono. «Primo interrogatorio di Raymond Greger. Nella stanza, Raymond Greger, l’avvocato Albert H. Wiik e l’investigatore Mia Krüger.»

La sua voce era mite e morbida. Aveva sorriso loro amabilmente quando li aveva fatti entrare. Ben fatto. L’aveva vista perdere il controllo diverse volte lì dentro, era stata facile preda dell’emozione, ma quella volta sembrava diversa.

«Comincerò dicendo che il mio cliente ritiene incomprensibili le accuse che gli vengono mosse, si tratta solo di illazioni» disse l’avvocato sistemandosi il nodo della cravatta. «Se non esiste alcun capo d’imputazione formale chiediamo il rilascio immediato, e vi informo fin d’ora che stiamo valutando una causa contro lo stato a motivo delle insinuazioni fatte dai media.»

Avvocati.

Munch scrollò il capo e si aprì un altro bottone della giacca.

«Non vi è assolutamente alcuna imputazione» rispose Mia sempre con il sorriso sulle labbra. «E devo scusarmi per quanto è accaduto. Come sicuramente saprete, abbiamo a disposizione soltanto quarantotto ore, ma ci auguriamo che tutto questo finisca il prima possibile. Se risponderà alle nostre domande in modo collaborativo, il suo cliente uscirà immediatamente. Le cose per noi stanno così. Ora, lei si trovava in una casa di villeggiatura a seguito di una malattia, corretto?»

Greger gettò un rapido sguardo all’avvocato, che annuì.

«Ultimamente sono andato un po’ in tilt. I carichi di lavoro, tutto qui. Io avrei continuato, ma il medico mi ha suggerito qualche settimana di riposo.»

«Appunto» disse Mia. «E lei non ha avuto notizia di quel che è successo. Sua nipote... trovata morta?»

«No, purtroppo no» rispose Greger apertamente irritato. «La casa non è mia. Me l’ha prestata un amico. È un tipo molto spartano, a casa non ci sono né internet né tv, e la poca energia elettrica disponibile è prodotta dai pannelli solari.»

«Così quando è arrivata la polizia, lei è letteralmente caduto dalle nuvole?»

Un vicino, dopo aver visto il notiziario di TV 2, aveva fatto una segnalazione.

«Sì, no, non sapevo nulla. Povera ragazza. Che tragedia.»

«Lei e Karoline Berg siete fratelli, giusto?» chiese Mia sfogliando gli appunti che aveva davanti.

Stava recitando. Sapeva benissimo quello che c’era scritto.

«Fratellastro» disse Greger. «Mia madre si è risposata. Con il padre di lei. E io sono entrato nel pacchetto, per così dire.»

«Che cosa successe con le due bambine nel 2007?» domandò Mia all’improvviso.

Greger sobbalzò sulla sedia. Anche l’avvocato sembrò spiazzato. Munch invece si stava divertendo, e si tolse la giacca.

«Cosa intende?» domandò Greger.

Idiota.

Munch scrollò il capo.

Doveva saperlo che sarebbero arrivati a quelle informazioni, anche se nei registri non c’erano.

«Credo che il mio cliente intenda rinunciare a...» cominciò l’avvocato, ma Greger lo fermò.

Si tolse gli occhiali e si strofinò gli occhi.

«Non ero io» disse Greger infine scuotendo lievemente la testa.

«Non era lei?» ripeté Mia tornando a sfogliare gli appunti. «Camilla aveva sette anni. Hege nove. Le portò via da scuola con qualche scusa. Le attirò nella sua auto. Le tenne prigioniere per qualche ora. Le piacciono le bambine o cosa? Le piace giocare?»

«Be’, io credo...» mormorò l’avvocato, ora lievemente rosso in viso, ma Greger lo interruppe di nuovo.

«Non ero io» disse seccato.

«Non ha fatto una cosa simile?»

«Sì, ma non ero io

«Credo debba spiegarsi meglio...» proseguì Mia con il solito sorriso gentile. «Due bambine? Portate via in pieno giorno contro la loro volontà?»

«Ascolti» riprese Greger. «Ero... avevo... era un brutto periodo per me. Io, sì, mia moglie mi aveva lasciato. Mentiva su tutto, capisce? Il giudice prese le sue parti. Ottenne la custodia dei figli. Mia figlia, lei... sì... non potevo più vederla.»

Mia gettò di sfuggita un’occhiata alle spalle, verso lo specchio.

«Ha una figlia?» domandò Munch, rivolto ad Anette.

«Mi dispiace, questo non lo sapevamo, errore mio» mormorò lei. «Mi informo subito.»

Tirò fuori il telefono dalla tasca e lasciò la stanza.

«Sua figlia?» ripeté Mia. «Quanti anni ha lei?»

«Cinquantasei.»

«E quanti anni ha la bambina?»

«Nina» disse Greger. «Ne compirà tredici in estate.»

«Quindi nel 2007 aveva sette anni?»

Munch poteva avvertire l’irritazione nella voce di Mia e naturalmente la capiva. Affrontare un interrogatorio impreparati... Se ne assunse la responsabilità. Un errore da dilettanti.

«Quindi...?» riprese Mia, ma Greger la interruppe.

«Non mi scuso per ciò che ho fatto. È stato un errore. Lo so. Ovvio, è solo che, come ho detto, era un periodo difficile. Tutto ciò che avevo costruito all’improvviso era distrutto. Nina, lei era... è, sì...»

Greger si tolse nuovamente gli occhiali e si asciugò quelle che sembravano essere delle lacrime.

Recitava?

Munch non era in grado di capirlo, era troppo lontano.

«Quindi lei sentiva la mancanza di sua figlia e decise di trovare qualcun altro con cui giocare?» domandò Mia, senza alcun calore nella voce.

«Sì» rispose Greger, lo sguardo fisso sul tavolo.

L’avvocato sedeva con la bocca semiaperta senza dire una parola, sembrava curioso come il resto dell’uditorio.

«È poco credibile, lo sa, vero? Due bambine? Rapite?»

«Lo so, lo so. Non ero in me. Non ho fatto nulla. Abbiamo soltanto...» insisté Greger con la testa tra le mani.

«Giocato?» suggerì Mia sarcastica.

«Infatti mi sono assunto le mie colpe, volevo che mi punissero» sbottò Greger. «Non intendevo fare niente di male alle bambine. Mettetemi in galera, punitemi, io l’avevo chiesto.»

La porta si aprì di nuovo e Anette entrò nella stanza.

«Figlia. Tredici anni. La moglie chiese il divorzio nel 2007, ottenne la custodia esclusiva, nessuna visita. Accuse reciproche di maltrattamento fisico e psichico. Ho cercato di contattare la giudice che aveva in carico il caso, ma non ci sono riuscita, ho soltanto parlato con un addetto in archivio.»

Mia gettò un altro rapido sguardo allo specchio.

Mi date una mano?

«Quindi per quale motivo non le hanno accordato il permesso di vedere la bambina?»

«Lei ha mentito» rispose secco Greger.

«Su che cosa?»

L’avvocato ormai aveva gettato la spugna, sedeva appoggiato all’indietro sulla sedia osservando da spettatore.

«Ha detto che le trattavo male.»

«E non è così?»

«Ascolti, io non sono perfetto, questo no, però...»

Arrivò un messaggio al telefono di Munch. Lui lo tirò fuori rapido dalla tasca del montgomery. Ludvig Grønlie.

 

Abbiamo trovato la casa delle bambole! Mi mandi Curry?

 

«Che facciamo?» domandò Anette. «È lui il nostro uomo?»

Munch scrollò la testa.

«Non c’è nessun collegamento?»

«Ancora nulla che sembri indicarlo.»

«Nessun contatto con Vivian?»

«Non secondo Gabriel, no.»

«Falla uscire» ordinò Munch scrollando il capo.

«Sono le 12.24» disse Mia quando Anette fece capolino nella stanza degli interrogatori. «Interrompiamo per il momento l’interrogatorio di Raymond Greger.»

«E noi che...?» domandò l’avvocato nervoso.

Sembrava ancora non capire del tutto quello che era successo.

«Restate seduti» disse Mia e uscì.

Aprì le braccia quando entrò nella stanza sul retro dello specchio unidirezionale.

«Ma che cazzo, Holger...»

«Lo so» disse Munch. «Errore mio.»

«Vuoi che lo porti sul rapporto con Karoline Berg?»

«Tu credi che sia il nostro uomo?»

«Non abbiamo niente su di lui, no?» rispose Mia gettando un’occhiata ad Anette, che scosse il capo.

«Comunque, giocare con le bambine?» proseguì Mia guardando Greger attraverso lo specchio.

«Teniamolo qui» disse Munch. «Vediamo se riusciamo a tirargli fuori qualcosa di più, ma credo che per il momento possiamo cancellarlo dalla lista.»

«Me ne occupo io» disse Anette.

«Non io?» ribatté Mia.

«Abbiamo trovato il negozio dove è stata acquistata la casa delle bambole» disse Munch.

«Di già?»

«Sì. Ludvig. Curry è per strada, vai con lui, ok?»

«È in ufficio?»

«Credo di sì.»

«Pezzo di merda» sibilò Mia guardando la stanza degli interrogatori.

«Ci pensa Anette» disse Munch facendo segno alla Goli, che annuì. «Poi mi telefoni?»

«Sì» mormorò Mia gettando un altro sguardo attraverso lo specchio, poi chiuse la cerniera del giubbotto di pelle e lasciò la stanza.