Curry stava già prendendo l’ascensore quando arrivò Mia. Il tarchiato bulldog pigiò il pulsante e si portò la mano alla fronte.
«Che giornata pesante» mormorò.
«Già, per tutti» disse Mia, guardandolo. «Dove sei stato? Sei uscito?»
«Un po’, senza esagerare.»
Curry le lanciò uno sguardo che lei interpretò come «non farmi altre domande».
Spalle cadenti. Cerchi neri intorno agli occhi.
Qualcosa nello sguardo che Mia non fu in grado di leggere.
Non poté fare a meno di pensare a quel che Wold le aveva detto al Lorry, ma non si sentì di approfondire la cosa in quel momento. Tre omicidi. Lasciò perdere.
«Dove andiamo?» domandò una volta arrivati al parcheggio sotterraneo.
«I Giocattoli di Kalle a Torshov» disse Curry, aprendo da lontano una delle auto.
«Guido io» disse Mia portandogli via le chiavi.
«Davvero?» abbaiò il bulldog.
«Sì» rispose Mia prendendo posto al volante.
Curry fece un sospiro e agganciò la cintura di sicurezza. Sembrava già in difficoltà a tenere la testa sulle spalle.
«Come avete fatto a trovare il posto così in fretta?» domandò Mia svoltando fuori del garage.
«Grønlie ha inviato mail al mondo intero. Negozi di giocattoli, importatori, rappresentanti, e ha ottenuto subito la risposta che questo poteva essere il nostro uomo.»
«Hai parlato col tipo?»
«Diciamo di sì. Stava dormendo. Ha detto che sarebbe venuto il prima possibile.»
«Non era aperto il negozio?»
Curry fece un sospiro e si mise la testa tra le mani.
«Eh, no, a quanto pare è un negozio che vende roba artigianale. Giocattoli veri. Fatti a mano. Con materiali organici e senza sfruttare i bambini poveri del Terzo Mondo, il personaggio è questo. Con orari di apertura da hippie, hai presente... Comunque adesso dovrebbe arrivare.»
Tirò fuori una tabacchiera dalla tasca interna e si mise una bustina di snus all’interno del labbro.
«Non è che hai dell’acqua lì da qualche parte?»
Mia si mise a ridere.
«Che vuoi dire? Se ho un rubinetto nella tasca interna?»
«E che ne so» rispose Curry, tornando a tenersi la testa con le mani. «La gente va in giro con le bottigliette d’acqua, che c’è, adesso tu non potresti averne una? E che cazzo...»
«Scusa» disse Mia prendendo la strada per Torshov.
«Ibuprofene ne hai?»
«No» sorrise lei, compassionevole. «Vuoi che mi fermi da qualche parte?»
«Puoi farlo?»
Mia accostò al bordo del marciapiede e rimase in attesa mentre Curry si affrettava a entrare in un 7-Eleven.
«Grazie» mormorò il bulldog una volta tornato in auto, e si infilò in bocca quattro pasticche, scolando l’intera bottiglietta d’acqua.
Mia ritenne più saggio restare in silenzio per il resto del viaggio.
Avevano appena parcheggiato l’auto e trovato l’insegna scritta a mano, quando un uomo di mezza età dai capelli lunghi e con una folta barba andò loro incontro lentamente.
«Sei tu che hai telefonato?» disse tirando fuori un mazzo di chiavi sferragliante da un largo anorak.
«Jon Larson» disse Curry porgendogli la mano.
«Thomas Lange» disse l’uomo barbuto. «Ma mi chiamano tutti Lange Thomas.»
«Non Kalle?» domandò Mia accennando all’insegna sopra la porta.
L’uomo sorrise lievemente.
«Kalles klatretre, l’albero da arrampicare di Kalle, mai sentito? Era un cartone animato...»
«Quello del ragazzino che sta su un albero e guarda le nuvole tutto il giorno?» mormorò Curry.
«Sono io» sorrise Lange aprendo la porta.
«Giù in città abita un bambino di nome Kalle, Kalle ha un albero...» canticchiò Curry senza beccare una sola nota della melodia. «Non lo ricordi? Kalle sta su un albero a riflettere sulla vita mentre il nonno è sul prato a leggere il giornale?»
«Sì, sì» disse Mia.
«Ah, gli svedesi, perché tutte le cose belle vengono dalla Svezia? Emil, Tjorven, Bill Bergson Master Detective, La pietra bianca. Ricordi anche una sola cosa bella che sia norvegese? No, cazzo, tutto svedese.»
«Andiamo?» disse Mia indicando la porta aperta.
«Ronja, la figlia del brigante, Albert Åberg.»
«Dopo di te» disse Mia seguendo Curry oltre la soglia.
«Ti ho già vista prima?» chiese Lange una volta entrati nel negozio.
«Mia Krüger» si presentò Mia porgendogli la mano.
«Aha» esclamò Lange. Si tolse una lunga sciarpa colorata e la posò sul bancone. «Sapevo che ti avevo già vista. Posso offrirvi qualcosa?»
«No, grazie» rispose Mia.
«Ci serve soltanto sapere se sei stato tu a vendere questa» disse Curry tirando fuori una fotografia dalla tasca interna.
Lange la prese e arricciò il naso.
«È mia, sì, chi ha appiccato il fuoco alla mia casetta?»
«È quello che stiamo cercando di scoprire» disse Mia. «Ne hai vendute molte?»
«No. Ne ho venduta una, ed era questa, in effetti. C’è poca richiesta di cose fatte bene al giorno d’oggi. Peccato, ne avevo fatte davvero parecchie. Erano venute bene.»
Lange restituì la fotografia a Curry e scomparve dietro il banco. Tornò con una casa per le bambole bianca, esattamente identica a quella che avevano trovato al Campo di Skar.
«Bambù» disse Lange posando la casa sul banco. «Il materiale più ecologico del mondo. Cresce velocemente. Necessita di poche risorse. Dovremmo costruire ogni cosa in bambù, ho una brochure qui da qualche parte...»
«Va bene» lo interruppe Mia. «L’hai venduta di recente?»
«Per la verità sì. A una ragazza molto gentile, mi ricordava un po’ te in effetti, solo che era bionda.»
«Una ragazza?» domandò Mia.
«Ragazza, donna, signora, non so cosa preferite, ma una giovane, sì, sulla ventina più o meno. Molto carina. Abbiamo parlato a lungo. Aveva voglia di andare a Goa, ci siete mai stati?»
«Angola?» disse Curry.
«No, Goa, India. Il paradiso, come lo chiamo io. In genere è lì che passo l’inverno, ma non quest’anno purtroppo, il negozio non è andato bene come al solito. Vogliono tutti la plastica che luccica adesso, non è vero? Non ce ne frega più niente, no? Che il pianeta vada in malora e i nostri figli ereditino un mondo di spazzatura. E questi aerei da caccia adesso? Che mi dici? Centinaia di miliardi di corone? La gente muore di fame per le strade, i bambini non hanno i libri di scuola, i vecchi marciscono nei loro pannoloni nelle case di riposo senza che nessuno si prenda cura di loro, e tutto solo per avere quattro caccia fatti in America? Questo paese affonderà se non arriva presto al timone qualcuno con un po’ di sale in zucca.»
«Una ragazza?» ripeté Mia, sorpresa, lanciando un’occhiata a Curry che scrollò le spalle.
«Sì, era stata una bella giornata» sorrise Lange. «È bello quando la gente apprezza il tuo lavoro, no? Le cose fatte a mano fin nei minimi dettagli.»
«Non è che hai una telecamera qui dentro?» domandò Mia.
«Il Grande Fratello? No, grazie.»
«Una... una mailing list o qualcosa del genere? Non ti ha detto il suo nome, vero?» chiese Curry.
«Mailing list?» sogghignò Lange. «Irruzione nella pace della vita privata? Hai idea di quanto il grande capitale sappia di te in questo momento? I Big Data? Credi che ti chiedano il numero di telefono o il tuo indirizzo mail per aiutarti? Giornate di lavoro più brevi? Salario migliore? Ah no, per comprare di più, per spendere di più. Ovvio che non ho una mailing list. Ma ho un bicchiere dove chi lo desidera può lasciare qualche corona per una scuola in Ruanda. Io e la mia fidanzata raccogliamo i fondi...»
Curry guardò il bicchiere quasi vuoto che Lange gli mise davanti e alla fine tirò fuori malvolentieri dalla tasca dei pantaloni una banconota da cinquanta.
«Puoi dirci qualcosa di più su questa ragazza?»
«Bah» fece Lange, «come vi dicevo era molto gentile. Sulla ventina, più o meno, magra. Capelli lunghi, berretto verde, un po’ shabby nel vestire, come si direbbe a Frogner.»
Lange sorrise ironico puntando con il dito verso ovest.
«Nessun nome, indirizzo?»
«Grande Fratello» ripeté Lange scrollando il capo. «Non ce la farete mai a tirarmi dentro.»
«Vorresti essere così gentile da farci uno squillo se dovesse spuntare di nuovo?» disse Mia tirando fuori un biglietto da visita dalla tasca interna.
«Certo» rispose Lange. «Sicuri che non volete nulla? Ho un ottimo tè Darjeeling e miele direttamente da Svartlamon a Trondheim. Prodotti biologici. Riscaldano quando la primavera non si decide ad arrivare.»
L’uomo barbuto fece un cenno fuori verso il nebbioso paesaggio cittadino.
«La natura si vendica. Presto geleremo tutti, e ci starebbe bene.»
«Hai niente in contrario se ti mandiamo un disegnatore?»
«Un artista? Mi fate il ritratto?» ammiccò Lange.
«Per l’identikit della ragazza che ha acquistato la casa.»
«Avevo capito» disse l’uomo con la barba. «Come vi ho detto, sulla ventina, capelli lunghi biondi, cappellino verde, ma mandatelo pure. Io sono qua. Qua accanto, in ogni caso.»
«Bene. Grazie per l’aiuto intanto. Chiamaci se dovessi scoprire qualcosa» disse Mia seguendo Curry fuori dal negozio.
Rimase immobile un istante sul marciapiede bagnato.
«Là, là e là» disse puntando il dito.
«Cosa?» domandò Curry.
«Le telecamere. Puoi occupartene tu?»
«Io?»
«Sì...»
«E tu dove vai?»
«Devo controllare una cosa. Va tutto bene, tra l’altro?»
«Cosa?»
«Tu.»
«Sì, sì, tranquilla» assicurò il tarchiato bulldog infilandosi in bocca una bustina di snus. «Prendo un taxi per scendere. Ne riparliamo in ufficio.»
«Ottimo» rispose Mia mettendosi al volante.