Susanne Hval era davanti alle scale del Teatro Nazionale, tra le statue di Bjørnstjerne Bjørnson e Henrik Ibsen, mentre Mia attraversava trafelata la piazza. Avvertiva una sensazione indecifrabile sotto la giacca di lana. Era bello rivederla, ovvio. Vecchie amiche di Åsgårdstrand. Ma Susanne aveva sempre sentito che il loro rapporto dipendeva da Mia. Aveva cercato di contattarla per diversi mesi, senza ottenere risposta. Mia Krüger. La detective della Omicidi. Sembrava sempre che l’amica avesse in ballo cose più importanti.
Le aveva telefonato all’improvviso.
Mi puoi aiutare?
Che sciocca era. Rispondere sempre di sì a tutto, a tutti, anche se non c’era alcuna reciprocità. Ora non era il caso di pensarci. Era sembrata una cosa importante.
«Ciao, Susanne» disse Mia stringendola in un forte abbraccio. «Scusami se a volte non ti ho risposto, ma sì, sai com’è.»
«Nessun problema» sorrise Susanne. «Tu stai bene?»
Mia sembrava in forma. L’ultima volta che si erano viste le era parsa un fantasma. Magra. Logora. Come uno scheletro che stesse per collassare. Era un’altra adesso. Di nuovo se stessa. Quasi come ai vecchi tempi.
«Sto bene» rispose Mia, secca. «Ci sei riuscita?»
«Che vuoi dire?»
«L’hai trovato?»
«Ne abbiamo diversi» sorrise Susanne. «Ma ne ho trovato uno, sì. È una cosa molto urgente?»
«Un caso su cui stiamo lavorando» mormorò Mia gettando uno sguardo in cima alle scale. «È solo per una conferma. O per una disdetta. È dentro?»
«Non prendiamo un caffè, prima?» propose Susanne. «O pranziamo? Stiamo facendo degli incontri qui. La metamorfosi di Franz Kafka. Gísli Örn Garðarsson... L’islandese... C’era il pienone qui lo scorso anno e torna in scena di nuovo in autunno.»
«Ottimo» rispose Mia, che in realtà sembrava però essere altrove. «Non ho fame. Qui lui può fare di tutto?»
«In che senso?»
Mia si indicò rapida il volto.
«Con le maschere, intendo. Cambiare la fisionomia del volto, cose del genere?»
«Ah, sì» sorrise Susanne, scacciando la delusione. «Qui dentro si può fare quasi tutto.»
Guidò l’amica su per le scale.
«Sa che si tratta di una collaborazione con la polizia?» domandò Mia mentre si avvicinavano alla sezione costumi.
«Non ho avuto molto tempo per parlargli» disse Susanne afferrando la maniglia della porta. «Se mi avessi dato almeno un po’ di preavviso...»
«Potrà pur dirmi qualcosa su alcune immagini che gli mostrerò...» la interruppe Mia. «Giusto? O tu almeno...»
«Ma certo» disse Susanne aprendo la porta.
Ishmael sedeva alla scrivania in fondo alla stanza, si alzò quando entrarono.
«Mia Krüger» disse Susanne. «È...»
«Ishmael Malik» disse il giovane teatrante senza nascondere che sapeva bene chi fosse lei.
Sempre così, no? Mia Krüger. La detective della Omicidi. Famosa. Susanne era sempre stata un po’ gelosa, no, in realtà no, non gelosa, più che altro orgogliosa e... massì, anche un po’ invidiosa, forse doveva ammetterlo.
«Ciao, Ishmael» disse Mia, poi tirò fuori qualcosa dalla borsa che aveva a tracolla. «Scusami se è successo tutto così repentinamente, ma ho bisogno che tu veda una cosa per me, d’accordo?»
«Certo» sorrise il giovane norvegese-afgano facendo spazio sulla scrivania. «Sono contento di poterti aiutare, di cosa si tratta?»
«Questi» rispose Mia appoggiando tre fogli sulla scrivania.
Due disegni e una foto.
Susanne non era una sciocca. Naturalmente aveva capito che c’era in ballo il caso di cui tutto il paese stava parlando. Ormai se ne sentiva discutere ovunque. Su qualunque canale tv. Aveva visto le conferenze stampa. La bionda della polizia che cercava in continuazione di sviare le domande, di apparire tranquilla. Nessuna ragione di preoccuparsi. Anche se tutti a teatro e tutte le persone che incontrava si guardavano nervosamente le spalle. Un serial killer a piede libero a Oslo? Inoltre, sua madre le aveva telefonato nel corso della giornata. Sei proprio sicura di non voler tornare a casa, a Åsgårdstrand, Susanne?
«Che cosa devo vedere?»
«Resti tra noi, d’accordo?» disse Mia posandogli una mano sulla spalla.
Ishmael annuì, sempre con lo sguardo puntato su di lei.
«Questo è lo stesso uomo?» domandò Mia secca.
«Non è semplice dirlo» rispose Ishmael esaminando il materiale sulla scrivania davanti a lui. «Questi ovviamente sono disegni, quindi sì, ma...»
Sollevò la fotografia per metterla più vicina alla luce.
«Questa frangia» indicò Mia. «E poi, come vedi, abbiamo dei baffi, e qui un paio di occhiali. È semplice, no?, cambiare aspetto in questo modo...»
«Come dicevo» disse Ishmael posando la foto, «questi due sono solo disegni, ma no, non credo sarebbe un problema.»
«No?»
«Cambiare aspetto in questo modo? No, assolutamente no. Potrebbe essere benissimo la stessa persona, se è questo che vuoi sapere.»
«Abbiamo pensato che potessero essere più d’una...»
«Sì?» ribatté Ishmael con le guance ancora infiammate. «Anche questo è possibile, ma io direi di no.»
«Sicuro?» disse Mia.
«Come ho detto, tutto è possibile» rispose Ishmael. «E ripeto, questi sono soltanto dei disegni, ma qui c’è qualcosa che strutturalmente è uguale.»
«Sì? Intendi il naso?»
«No, no» rispose il giovane, infervorato, «tutto si può cambiare. Naso, fronte, orecchie, mento, potrei farti diventare un vecchio obeso nel giro di qualche ora, per dire. Quello che devi guardare sono gli occhi.»
«Ah, sì?»
«Sì, guarda qui. Gli occhi, lo sguardo, non li puoi camuffare.»
«Quindi secondo te si tratta della stessa persona?» chiese Mia.
«Ripeto...»
«A parte il fatto che questi sono disegni, lo so.»
Susanne la sentì di nuovo, quella punta di delusione. Aveva cercato di contattare Mia così a lungo. Non per qualche motivo particolare, solo per stare un po’ insieme.
Scacciò quella sensazione e sorrise di nuovo.
Invano, certo, nessuno di loro si stava curando della sua presenza.
«Quindi per te sono la stessa persona» rispose Mia.
Ishmael esaminò nuovamente il materiale.
«Direi di sì. Guarda qui. Queste linee. Qui. Se il disegnatore o chi gli ha detto che cosa disegnare ha ragione, questo tratto è difficile da nascondere.»
Susanne cercò il telefono nella tasca, solo per avere qualcosa con cui tenersi occupata.
«Mille grazie. Ishmael, è così che ti chiami, giusto?»
«Sì. È stato un piacere» disse il giovane con un sorriso ora timido.
«Sei stata di grande aiuto, Susanne.»
Uscirono. Mia la abbracciò velocemente e si chiuse la cerniera del giubbotto.
«Per carità, ci mancherebbe. Pranzo o magari un drink, una sera?»
«Ma certo. Ti chiamo io» rispose Mia dandole un bacio al volo sulla guancia, poi corse giù per le scale e svanì tra la folla davanti alla pista di pattinaggio Spikersuppa.