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Erik Rønning aveva appena finito di farsi truccare e si vedeva strano, ma era già stato in tv e sapeva che era così che doveva essere. Avrebbe avuto un aspetto migliore sotto le luci in studio. Era arrivato agli studi di TV 2 in Karl Johans gate poco più di mezz’ora prima ed era stato accolto come, sì, come una specie di eroe, se proprio doveva dirlo. Da quando la notizia del video della Caserma di Skar era esplosa, il suo telefono non aveva più smesso di squillare. Ne aveva discusso un po’ con Grung, se fosse stato il caso di tenere l’esclusiva per l’Aftenposten, ma erano stati d’accordo sul fatto che lo stesso giornale avrebbe ricevuto maggiori attenzioni se si fosse fatto intervistare da altri, cosa su cui naturalmente Erik Rønning non aveva nulla in contrario. Oltre a tutti i giornali, aveva detto di sì anche a NRK TV, Dagsnytt 18 e ora aveva accettato il ruolo di commentatore esperto al notiziario di TV 2. Porte aperte. Sorrisi nei corridoi. Mani che si allungavano per stringere la sua.

Benvenuto Erik.

Cazzo, che scoop.

Ottimo che tu sia riuscito a venire!

Beviamo qualcosa stasera?

«Siamo pronti qui?»

Una giovane elegante con gli auricolari fece capolino e lo guardò con occhi curiosi e calorosi.

«Sono pronto» disse Erik.

«Ottimo» disse la produttrice. «Adesso allora mandiamo la pubblicità, poi ci sei tu.»

«Arrivo, devo solo fare una telefonata» ammiccò Rønning e si alzò dalla sedia del trucco.

La donna con gli auricolari ridacchiò.

«Non allontanarti.»

«Cercherò di non farlo» sorrise Rønning entrando nella toilette.

Mi-mi-mi-mi

Mo-mo-mo-mo

Ki-ka-ko-ka-ki-ko

Vrr-brr-vrr-brr-vrr

Scaldò la voce come aveva imparato l’anno che aveva frequentato l’Istituto Superiore Romerike per Arti e Spettacolo, quando pensava che avrebbe fatto l’attore, e si guardò nuovamente allo specchio. Aveva deciso di battere la grancassa. Indossava l’abito blu scuro che si era fatto confezionare da Brooks Brothers, a Manhattan, anche se in realtà gli tirava un po’, visto che non si era allenato quanto avrebbe dovuto, ma gli stava comunque benissimo. Una cravatta rossa di Armani e scarpe di Salvatore Ferragamo. Controllò di non avere nulla tra i denti, si lavò le mani e tornò in sala trucco. Davanti al grande specchio, in quel momento, ecco che cosa sembrava: un importante politico. Magari ne sarebbe venuto fuori qualcosa? Il deputato Erik Rønning? Il ministro degli Esteri Erik Rønning? Ridacchiò tra sé e si passò una mano tra i capelli per spostare la scriminatura a sinistra. Gli piacevano così i capelli, all’indietro, duri e lisci. Tutti quei colleghi che pensavano di essere degli artisti e se ne andavano in giro con i capelli da tutte le parti e al lavoro in Crocs, ma per favore. Primo ministro Erik Rønning? Portò la mano alla cravatta rossa e strinse leggermente il nodo. Cravatta rossa. Era quella che indossavano sempre i politici conservatori quando volevano essere considerati affabili e affidabili, con un cuore. Per un breve periodo Rønning aveva frequentato uno stilista che lavorava per un’agenzia di pubbliche relazioni e faceva proprio questo di lavoro: far apparire umani gli idioti. Piacere in tv. Era di quello che si trattava, no?

«Dopo la pubblicità, sei pronto?»

«Sempre pronto» rispose Rønning seguendo la ragazza in studio.

Fece un cenno di saluto ai presentatori del programma e si sedette sulla poltrona che gli indicarono. Lo studio era piccolo. Avrebbe potuto essere il suo salotto. Si stupiva sempre di questo, di come fosse diversa la tv dalla realtà.

«Prova microfono» disse un ragazzo, anche lui con gli auricolari.

Erik Rønning disse: «Uno-due» e alzò il pollice.

«Venti secondi» disse la produttrice mentre Rønning si girava verso la presentatrice, che gli sorrise.

Com’è che si chiamava?

Mossfjord?

Mossberg?

Veronica Mossberg, ecco qual era il nome.

L’aveva vista a diversi eventi e lei non lo aveva mai degnato di uno sguardo, ma in quel contesto era diverso.

«Dieci secondi» disse la produttrice alzando una mano. «Cinque.»

Le dita sollevate. Le chiudeva nella mano a una a una mentre la pubblicità si avviava alla conclusione.

Vignetta. Dinamica e grandiosa. La produttrice chiuse il pugno e agitò il braccio verso la Mossberg.

«Bentornati in studio» disse la bella presentatrice. «Abbiamo qui oggi Erik Rønning dell’Aftenposten, il giornalista che ha immortalato in un video il terribile avvenimento di ieri mattina. Ma prima un breve riassunto per i nostri telespettatori, Roger?»

Rønning si schiarì la voce e bevve un sorso d’acqua. Roger. Un tipetto dal viso rubicondo, Rønning l’aveva incontrato a una partita di poker qualche mese prima e non gli era piaciuto granché.

«C’è un serial killer a piede libero a Oslo?» disse Roger serio, con la voce un po’ troppo artefatta. «Questa è la domanda che l’intera nazione si pone in seguito al ritrovamento della terza vittima nel bagagliaio di un’auto a Maridalen. La parola a Lars Ellingsen.»

La produttrice fece di nuovo segno. Apparve un reportage su un piccolo monitor alle loro spalle, con l’audio spento. Rønning l’aveva già visto. Vivian Berg, la ballerina. Bla-bla-bla. Kurt Wang. Il musicista jazz. Trovato in una stanza d’hotel. Ruben Iversen, il ragazzino. Lo stesso assassino? Bla-bla-bla. Era proprio necessario se avevano lui in studio? Scrollò lievemente il capo sperando di essere visto. Bevve un altro sorso d’acqua dal bicchiere che aveva davanti e si passò la lingua sui denti.

La produttrice comparve accanto alla telecamera e ripeté il movimento con la mano mentre il servizio si avviava alla conclusione.

Tre-due...

«Come anticipato, abbiamo con noi il giornalista Erik Rønning dell’Aftenposten, benvenuto» disse Roger facendo un cenno verso di lui quando furono di nuovo inquadrati.

«Grazie» disse Rønning serio.

«Lei ha registrato un filmato che mostra l’assassinio di Ruben Iversen, è così?»

«Esatto» disse Rønning intrecciando le mani davanti a sé.

«Come è accaduto? Un caso? O è vero quel che dicono le malelingue, che in realtà è stato informato prima dall’assassino?»

«Questo devo negarlo assolutamente, Roger» rispose Rønning. «Il video è stato registrato per via di un’altra inchiesta a cui stavamo lavorando e, sì, se sia stata bravura o semplice fortuna lo lasciamo giudicare agli altri, ma in ogni caso...»

Guardò diritto in camera per stabilire un contatto con gli spettatori.

«... siamo riusciti a procurare questa testimonianza, che si è rivelata di estrema utilità per gli agenti che stanno indagando sul caso. Ce ne sono stati molto grati.»

«È vero...» Prese la parola Veronica Mossberg, con un tono completamente diverso. Sembrava impressionata, mentre Roger era soltanto invidioso. Non funzionava così nel settore? Rønning dovette farsi una risata dentro di sé, mentre la presentatrice quasi se lo mangiava con gli occhi, e il nano al suo fianco distoglieva lo sguardo con astio.

«... che questo filmato non verrà mai mostrato pubblicamente? Lei non crede che noi tutti dovremmo avere libero accesso alle informazioni relative a questo caso?»

«Be’, Veronica» rispose Erik Rønning schiarendosi la voce, «come sa, in casi come questo è importante proteggere non soltanto la vittima e la sua famiglia, ma anche, vorrei dire, l’intera nazione.»

«Ma...» intervenne Roger.

«Il fatto è che...» lo interruppe Rønning sorridendo e alzando la mano, «... non sono soltanto io, o noi della redazione dell’Aftenposten, ad aver deciso. Naturalmente noi abbiamo lavorato a stretto contatto con la polizia e le autorità, e quindi se ci pensa, Roger, può trovare da solo la risposta, no? Lei vorrebbe vedere l’assassinio di suo figlio in diretta sulla tv nazionale? Io non credo.»

Rønning ammiccò appena alla Mossberg e bevve un altro sorso d’acqua.

«Ma lei che ne pensa» continuò la presentatrice, «della possibilità che noi abbiamo, qui nella nostra piccola Norvegia, di trovarci davanti ad altri serial killer nel giro di, sì, di meno di un anno? Stiamo andando verso una situazione sociale all’americana? Che cosa sta accadendo nel nostro piccolo paese?»

«Veronica» cominciò Rønning, ma fu zittito da Roger che portò un dito all’orecchio.

«Dobbiamo interrompere. Abbiamo un intervento in diretta da Stoccolma; il maggiore esperto svedese, il giallista e docente di criminologia Joakim Persson. Persson, benvenuto, grazie per aver accettato il nostro invito.»

Il barbuto svedese di mezza età apparve sullo schermo davanti a loro.

«Grazie a voi.»

Rønning scrollò la testa e bevve un altro bicchiere d’acqua.

Che cosa stava succedendo?

Era proprio necessario?

Aveva altro da fare che starsene seduto in uno studio di TV 2 ad aspettare.

Un mucchio di altri programmi, in realtà, potevano ritenersi fortunati che avesse trovato il tempo per venire. E poi che facevano, tagliavano la sua parte per un fottuto svedese?

«Siamo in Norvegia» proseguì Roger, «non siamo abituati a un simile fenomeno, un maniaco omicida che pare ammazzare le sue vittime a caso, ma lei che è un esperto magari sa spiegarci che cosa significa tutto questo?»

Maniaco omicida?

E questo come faceva a saperlo?

Suonava maledettamente professionale, cazzo.

«Be’, è troppo presto» esordì schiarendosi la voce Persson. «E io non ho a disposizione gli indizi che ha la polizia, mi attengo alle informazioni che ho avuto dai media, ma se è come dice lei, non ho dubbi che quello che abbiamo davanti è un assassino che potrebbe uccidere ancora in qualsiasi momento.»

«E in base a che cosa può dirlo?» lo incalzò Roger.

«Sembra tutto pianificato» proseguì Persson. «Lo stesso metodo per uccidere e i luoghi scelti sembrano delle messinscene. Tipico in questi casi è che...»

Un maniaco? Rønning soppesò le ipotesi in gioco.

Aveva scritto un nuovo articolo che sarebbe uscito in internet di lì a qualche ora. Uscivano in continuazione. C’era una vera e propria squadra di giornalisti sul campo, che scandagliavano la scuola, i vicini, gli amici. A quanto si diceva, Ruben Iversen doveva pernottare da un amico, ma era scomparso dopo aver fatto benzina allo scooter presso una stazione di servizio.

Il collegamento tra le prime due vittime e quel ragazzino? Nessuno era ancora riuscito a scoprirlo, ma sembrava che tutte le vittime fossero pianificate, anche se la polizia al momento negava.

Lo svedese continuava a parlare di assassini seriali, del perché agivano e del perché lo facevano in quel modo.

Ted Bundy.

David Berkowitz.

Jeffrey Dahmer.

Edmund Kemper.

Bla-bla-bla.

Rønning li aveva già sentiti nominare.

Non è che quel nano di Roger in realtà ci aveva preso? Che l’assassino scegliesse le vittime a caso? Che ammazzasse le persone solo perché... gli andava di farlo?

Quella sì che era una notizia.

Avrebbe potuto utilizzarla.

Le cose non tornavano... Possibile che fosse tutto così... brutale?

Omicidi sessuali?

Casuali?

Un maniaco?

Doveva telefonare a Grung. Rønning avvertì una certa agitazione sotto la camicia quando lo svedese ringraziò e la produttrice con le cuffie sollevò il braccio per iniziare il conto alla rovescia prima di un’altra interruzione pubblicitaria.