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«Mi dispiace» disse John Wold mortificato. «Vedo che stai lavorando, ma ho provato a telefonarti. Hai riflettuto sulla nostra conversazione?»

Si sbottonò il cappotto, si tolse i guanti in pelle e li posò sul tavolo.

«Ascolta...» disse Mia, irritata.

Era sulla buona strada. Aveva visto qualcosa. Ci stava quasi arrivando.

«Capisco» la interruppe Wold alzando difensivamente le mani. «Sei occupata. È importante.»

«Li leggi i giornali?» ringhiò Mia, puntandogli contro gli occhi.

«Ovvio. E non starei facendo tutto questo se non sapessi che è necessario. Posso offrirti qualcosa? Un altro caffè? Una birra?»

«Niente» rispose Mia scrollando la testa. «Ascolta...»

«Lo so, lo so. Cinque minuti e me ne vado. Devo solo sapere se stai con noi o no. Lo so che queste cose non ti piacciono, Mia. Si tratta della tua squadra. E anche di un amico, per quanto ne so, lo capisco, ma stiamo parlando dell’eroina nelle strade. E io, sì, io ci ho anche investito molto in questa faccenda, lo capisci? Mia Krüger? Possiamo fidarci di lei? Non sarà...»

Sorrise lievemente.

«Ah, sì?» esclamò Mia. «Non sarà che cosa?»

«Hai capito» rispose Wold. «Il tuo fascicolo. Non sei esattamente immacolata.»

«Che vuoi dire?» disse Mia, fredda.

«Mi riferisco semplicemente a ciò che ho letto» disse Wold schermendosi. «Quello che pensano gli altri. Cosa voglio dire? Sparare a un sospettato? Sospesa più volte dal lavoro? Che cos’è che aveva scritto di te...»

«Chi?»

«Mikkelson? Non siete grandi amici, vero?»

«Ascolta...» riprese Mia, irritata.

«Mia» la interruppe Wold pacatamente. «Non sono parole mie, d’accordo? Sono stato io a proporre te, ricordatelo. Non prendertela con me. È una faccenda tenuta sotto silenzio, anche all’interno. Dire a Mia Krüger a che cosa stiamo lavorando? Correre questo rischio? Che uno dei suoi amici possa essere coinvolto? Mi sto esponendo molto, te ne rendi conto?»

Mia provò all’improvviso un gran desiderio di birra.

«Ok» sospirò bevendo un sorso di Farris. «Che cosa vuoi esattamente da me?»

«Curry» disse Wold.

Fece cenno alla cameriera e ordinò un caffè.

«Credo che tu ti stia sbagliando» disse Mia. «Era questo che volevi sapere?»

«No» ribatté Wold. «Volevo sapere se ti andrebbe di lavorare con noi. Nel migliore dei casi per confermare la tua versione.»

«Non hai capito quello che ti ho detto l’ultima volta?» sospirò Mia. «Non è Curry. Lui è un poliziotto al cento per cento, carne e sangue. Non venderebbe mai e poi mai l’anima per una cosa del genere.»

«Il vecchio Curry forse» insisté Wold mentre arrivava il suo caffè. «Ma il nuovo? Com’è stato ultimamente? Puntuale? Sobrio?»

Portò la tazza alla bocca e fece una smorfia quando ne percepì il sapore.

«Hai conosciuto la sua nuova fidanzata?»

Mia scrollò il capo.

«Luna Nyvik? Ventun anni? Dreads? Barista?»

«Te l’ho già detto, no.»

Wold infilò una mano nella tasca del cappotto e le mise davanti una fotografia.

«Aeroporto di Oslo l’estate scorsa. Arrivi da Bangkok. L’abbiamo lasciata passare sperando che ci portasse da qualcuno più in alto di lei, ma poi è sparita, purtroppo.»

«E così Curry ha un’amichetta, so what?» ribatté Mia allontanando la fotografia. «Un caso. Non mi sembra abbiate molti elementi.»

«Non te l’avrei chiesto se non fossimo stati sicuri, ti pare?» disse Wold protendendosi verso di lei. «Ci siamo vicini. Lorentzen, l’avvocato. Lui è coinvolto, senza alcun dubbio. Riciclaggio di denaro. Ha una società alle Isole Cayman. Avremmo potuto beccarlo molto tempo fa, ma i signori che stanno più in alto lo vogliono dentro. E la polizia collusa? Responsabile dell’eroina che scorre per le strade? Non ci facciamo una bella figura, capisci?»

«Ho un sacco di cose da fare» sospirò Mia. «E non credo si tratti di Curry, ok? Cercatevi qualcun altro. Quindi è no. Così è più chiaro?»

Il baldanzoso agente rimase per un istante in silenzio. Sembrava stesse pesando le parole sulla lingua prima di decidersi e riaprire la bocca.

«Certo, potevamo benissimo scegliere qualcun altro. Ma c’è un motivo se abbiamo puntato su di te, Mia. Mi segui?»

«No» rispose Mia.

«Eroina» riprese Wold sporgendosi ancora sul tavolo per essere più vicino a lei. Mia poteva quasi sentire il suo odore. Le ricordava qualcosa. L’estate. Un promontorio. Un vecchio fidanzato.

«Che vuoi dire?» domandò.

«Seriamente?» disse Wold.

«Davvero, non capisco affatto quello che vuoi dire.»

Wold si massaggiò lievemente una mascella. La guardò di traverso. Quasi gli stessi occhi anche. Una specie di calorosa curiosità. Lei in costume da bagno. Rideva stesa su un asciugamano sotto il sole cocente tra gli isolotti. Com’è che si chiamava?

«Ascolta» disse Wold. «In molti erano contrari, dicevano di coinvolgere qualcun altro. Grønlie. La Goli. È stata una mia scelta. Interpellare te, intendo.»

«Wow. Fantastico. Mille grazie» commentò Mia, sarcastica.

«Non intendevo questo» disse Wold. «Soltanto, già, pensavo saresti stata corretta. Perché tu sei già coinvolta.»

«In che senso?»

«Non sei informata? Su tua sorella?» insisté Wold sinceramente sorpreso.

Un animale le risalì strisciante dallo stomaco.

«No...» rispose la sua bocca asciutta mentre all’improvviso lo spazio intorno a lei si restringeva.

I giocatori di scacchi si alzarono e si allontanarono.

Il disegnatore con il taccuino al bar si voltò verso di lei.

Vieni, Mia, vieni.

«Mia? Stai bene?»

«Sì» mormorò Mia vuotando la bottiglietta di Farris.

«Posso fare qualcosa? Va tutto bene?»

«Tutto a posto» mormorò Mia.

«Non lo sapevi?»

«Sapere che cosa?» ribatté Mia.

«Abbiamo ragione di credere che lei fosse uno dei primi» disse Wold intrecciando le mani sul tavolo.

«Primi di che cosa?»

«Dei corrieri» disse Wold. «È per questo. Capisci?»

«Che hai scelto me?»

«Sì.»

«Non ti credo» rispose Mia, secca.

«Sta a te, ovviamente» sorrise Wold. «Ma pensaci. Lei come è morta? Sigrid? Si è fatta veramente quell’overdose da sola?»

Mia gettò uno sguardo alle spine della birra.

«Markus Skog? Sigrid importava droga per lui. Crediamo sia tutto collegato. Pensavo sapessi. Che è per questo che sono venuto da te.»

Una birra.

«No» disse Mia. «Non lo sapevo.»

Lui le guardò il braccialetto.

«Niente? Voglio dire...»

Uno Jäger.

Doveva bere qualcosa.

«Cosa?» disse Mia.

«Quel braccialetto?»

«Sì?» domandò Mia, tranquilla, sollevando la mano dal tavolo.

Sentì il braccialetto solleticarle la pelle.

Un cuore, un’ancora e una lettera.

Facciamo cambio?

«E questo?»

«Sì... Che cos’ha che non va?» domandò Mia.

«Corre una voce» disse Wold serio, sporgendosi verso di lei. «Un altro vecchio corriere. Si chiama Cecilie. Si dice che si trovasse lì.»

«Dove?»

«Quando tua sorella è morta. Si dice girasse per la città con un bracciale come il tuo. Come questo.»

Wold accennò al polso di Mia.

«In cerca di qualcosa. Soldi, non sono sicuro.»

«Come hai detto che si chiamava?» chiese Mia sentendo dissolversi lo spazio intorno.

«Cecilie. La chiamavano Cisse. Non sappiamo altro. Una tossica. Vicina ai quaranta. Capelli biondi. Piumino rosso, è tutto quello che abbiamo, purtroppo. Ancora non riesco a credere che non ti abbiano...»

Pillole.

Stordimento.

Qualsiasi cosa.

Non contava più.

Mia sollevò la mano e gli rivolse un sorriso di scuse.

«È tutto ok, grazie. E se te ne potessi andare adesso, sarebbe perfetto...»

«Certo» disse Wold alzandosi. «Ma sei con noi?»

«Sì.»

«Hai il mio numero?»

«Ce l’ho.»

«Mi chiami tu?»

«Appena ho qualcosa.»

«Ottimo, grazie. Lo apprezzo molto. Sono contento che tu sia dei nostri. Molto.»

«Bene» disse Mia afferrando la mano che si avvicinava a lei.

Wold si abbottonò il cappotto, si portò due dita alla fronte e si avviò alla porta.

Mia aspettò che fosse uscito.

Poi, con dita tremanti, tirò fuori il telefono dalla tasca del giubbotto.

Cercò il numero di Charlie Brun.