Holger Munch si sedette al Freddy Fuegos Burrito Bar di Hausmanns gate per una tarda colazione. Aveva dormito male e per una volta si era alzato senza appetito, tanto era irritato. E non era d’aiuto il fatto che le panche lì dentro fossero strette e durissime, ma comunque aveva mangiato qualcosa. Aveva pensato di andare da Starbucks, che era più vicino, ma non gli andava di vedere troppa gente. Non quel giorno. Aveva lasciato la riunione della squadra di emergenza con una brutta sensazione che si era diffusa in lui fino alla sera. Tronfi sapientoni, adesso la pista era una sola, ma potevano davvero esserne così sicuri? Di avere individuato l’uomo giusto? Ci aveva rimuginato tutta la notte, si era alzato diverse volte, fumando una sigaretta dietro l’altra davanti alla finestra come una vecchia ciminiera, infine si era svegliato con la nausea e di pessimo umore.
Appallottolò la carta e vuotò il resto della Coca-Cola mentre Anette entrava nel locale. Era dal tardo pomeriggio del giorno prima che non parlava con lei e aveva bisogno d’aiuto per rimettere in ordine i pensieri. In genere era compito di Mia, quello, ma non aveva risposto al telefono. Comprensibile.
«Ehilà?» disse Anette guardandosi intorno, confusa.
«Lo so» disse Munch pulendosi con il tovagliolo. «Dovevo uscire. All’improvviso mi è sembrato che potessero vedere e sentire tutto quello che diciamo.»
«Chi?» domandò la Goli sedendosi.
«Lo sai» mormorò Munch. «I militari.»
Anette sorrise leggermente e si scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Lui sapeva che anche lei più o meno non dormiva dal giorno prima, ma se era stanca lo nascondeva bene.
«Caffè?» le chiese Munch. «Burrito?»
«No, grazie» rispose Anette. «Devo tornare il prima possibile.»
Avevano allestito un centro di ascolto a Grønland. Venti linee telefoniche con altrettanto personale. Divulgare pubblicamente l’identità del sospettato? La risposta non si sarebbe fatta di certo aspettare.
«Come va laggiù?»
«Ah, sai» sospirò Anette. «La gente continua a telefonare. Non si riesce ad avere il controllo di tutto, ma smistiamo per quanto possibile.»
«Qualcosa di utile finora?»
«Non si può dire. Non abbiamo la capacità di controllare neanche la metà di quel che ci segnalano. Alcuni l’hanno visto nella casa del vicino. Altri a Gran Canaria. Nella metropolitana. Sugli skiroll su al lago di Sognsvann. Uno sosteneva addirittura che doveva essere l’allenatore di calcio della squadra della figlia, no, non assomigliava esattamente all’uomo nelle foto, ma era molto militaresco nel comportamento.»
«Però!» disse Munch.
«Di cos’è che volevi parlarmi?» domandò Anette, ignorando il telefono.
«Di questo» rispose Munch aprendo la cartelletta sul tavolo.
Tirò fuori gli identikit di Karl Øverland e li pose accanto alla foto di Ivan Horowitz.
«Che vuoi dire?» chiese Anette.
«Pensiamo seriamente che sia lo stesso uomo?»
La Goli gettò uno sguardo veloce ai fogli.
«Holger...»
«Voglio dire...» brontolò Munch, «guarda qui...»
«Lo so che tutto questo non ti piace. Che quelli abbiano preso il comando in questo modo. Anche a me non piace, se devo dire la verità, ma che dobbiamo fare?»
«No, sul serio» ripeté Munch. «Certo, ci sono delle somiglianze, ma sono sufficienti? Per buttare a mare tutto quello che abbiamo? Per fare tutto quello che ci dicono loro? Come dei cagnolini?»
«Sì, ma nemmeno questi due si somigliano, no?» Puntò il dito sui due identikit.
«Non abbiamo già appurato che si nasconde, si traveste o qualcosa del genere...?»
Il cellulare della Goli squillò di nuovo. Lei diede un’occhiata al display.
«Mikkelson. Devo rispondere.»
«Può aspettare» brontolò Munch. «Quindi ritieni che la somiglianza sia sufficiente al punto da lasciare che siano loro a condurre il gioco?»
«Questi non sono che degli schizzi sommari...»
«Lo so» disse Munch. «Ma ho mandato Curry.»
«Dove?»
«Da quelli che l’hanno visto. In carne e ossa.»
«All’hotel in Gamlebyen?»
«E alla Lindo e Pulito di Sagene» confermò Munch.
«Bella idea» commentò la Goli. «Anche se avrei voluto averlo disponibile giù...»
«Se non altro per avere una conferma, no?»
«Che si tratta della stessa persona?»
«Sì...»
Anette ora sorrise lievemente.
«Va bene, Holger. Sei tu che decidi, anche se io...»
«Ti fidi di loro?»
«Non c’è altra possibilità. Perché dovrebbero segnalarci la persona sbagliata? Darci informazioni secretate se non ce ne fosse motivo? Voglio dire, lo vedi anche tu qual è la situazione... Non abbiamo una briciola delle risorse che hanno a disposizione loro. Pare quasi ci sia la CIA lì dentro i loro uffici. Quanto tempo ci vorrà perché trovino Horowitz? Venti minuti?»
«Sì, sì...»
«Sei tu che decidi, ovviamente, Holger. Ma se me lo chiedi, siamo sulla pista giusta. Ricordati che la fotografia di Horowitz è di tre anni fa. E inoltre...»
«Sono schizzi, lo so, lo so...» mormorò Munch. «Volevo solo essere sicuro.»
«Lo capisco» disse Anette alzandosi.
«Solo una cosa ancora» aggiunse Munch facendole cenno di tornare a sedersi. «Hai fatto caso che non ci hanno dato la lista delle cinquanta persone?»
«Secretata» rispose Anette. «NTK, no?»
«NTK un cavolo» bofonchiò Munch tirando fuori un altro foglio dalla cartelletta.
«Te la sei portata via?» esclamò Anette sorpresa.
«Ovvio» rispose Munch. «Ci sarà pure un modo. E guarda qui.»
Indicò rapido uno dei nomi della lista.
«Che vuoi dire?»
«Ann-Helen Undergård?»
«Sì?»
«Tom-Erik Wangseter?»
«Non capisco...»
«Hanno detto che non abbiamo i mezzi, no? Di badare a queste povere persone? Nemmeno di metterle in guardia?»
«Holger» ripeté Anette scuotendo leggermente il capo.
«Voglio dire, quante persone hanno questi nomi? Anton Birger Lundamo? Certo, ci sono molti nomi comuni, ma questi? Qualcuno di loro? Perché non fare nulla?»
«Holger...» riprese Anette.
«No, dico sul serio. In realtà sto pensando di metterci degli uomini.»
«Vuoi contattare queste persone?»
«Sì.»
«No, no» mormorò la Goli.
«Perché no?»
Si protese verso di lui dandosi un’occhiata alle spalle prima di bisbigliare:
«Per dir loro che cosa? C’è un pazzo là fuori che ammazza la gente a caso e il tuo nome è sulla lista? Quanto tempo credi ci voglia perché la notizia finisca alla stampa? Sarebbe un inferno ingestibile.»
«Sì, ma, cazzo, Anette, se ci fosse un tuo parente o un amico in questa lista?»
«E chi metteremmo sul caso allora?» bisbigliò la Goli. «Gabriel? Ylva? La KRIPOS è già stata dirottata su altro. Tutta Grønland pure. La polizia stradale è fuori per controllare le segnalazioni. È una cosa più grande di noi adesso, Holger. La cosa più giusta da fare? E la tranquillità dei cittadini dove la metti? Per non parlare del tempo che ci impiegherebbero a farti fuori: un nanosecondo. Prima ancora che tu te ne accorga finiresti a contare gli orsi polari alle Svalbard.»
«Di questo me ne fotto» mormorò Munch.
«Fa’ come ti pare» esclamò Anette mentre il suo irritante cellulare ricominciava a vibrare. «Confido che facciano le scelte giuste. L’ufficio del primo ministro. Il ministero della Giustizia e quello della Difesa. Ci sarà una ragione se hanno così tanto potere. Ivan Horowitz. Io sono sicura che qualcuno là fuori sappia qualcosa, si tratta di passare al vaglio tutti i folli. Ci siamo vicini. Presto avremo qualcosa. Me lo sento. Adesso devo rientrare, ok?»
Si alzò e prese la borsa dal tavolo.
«Spero che tu abbia ragione» mormorò Munch, rimettendo i fogli nella cartelletta. «Mi avvisi immediatamente se succede qualcosa?»
«Sei il primo della lista, Holger» sorrise la Goli affrettandosi verso l’uscita mentre il suo telefono ricominciava a squillare.