Ci vollero molte ore prima che arrivasse una risposta. Luna l’aveva guardato in modo strano diverse volte, ma Curry aveva resistito.
«Neanche una birra?»
«No, solo caffè.»
Aveva visto nel sorriso di lei che non aveva nulla in contrario, anzi. Il locale era tranquillo, c’erano solo un paio di vecchi avventori accanto al jukebox, ma si sentiva ugualmente paranoico.
Erano lì per spiarlo?
Erano...?
Era evidente che non erano della polizia. Li aveva incontrati lì dentro diverse volte, talmente ubriachi da non riuscire quasi a reggersi in piedi. Dannazione. Non poteva farci nulla. L’orgoglio. Sudava leggermente, anzi, parecchio in realtà. Come avevano potuto solo pensare che fosse un disonesto? In quanti la pensavano in quel modo? Gente che conosceva? E da quanto andava avanti quella storia? In realtà aveva senso, adesso che si era calmato un po’ e ci aveva riflettuto. I tipi con la giacca sportiva al bar il pomeriggio in cui era crollato, aveva bevuto troppo e si era scordato di mangiare. Sembravano fuori posto, l’aveva già pensato allora, non era così? Porca puttana...
Un numero di telefono sconosciuto sul display.
Non prendere la chiamata, ma aspettare qualche minuto, poi richiamare, però un altro numero.
Jimbo.
Non aveva avuto dubbi su chi chiamare quando Mia aveva chiesto il suo aiuto.
Jimbo Monsen.
Si conoscevano fin dai tempi della Scuola di polizia. Avevano lavorato insieme alla Narcotici, ma poi Jimbo era passato sotto copertura e a quanto pareva da allora non aveva più abbandonato quel ruolo. Mentre gli altri della covata avevano continuato a salire di grado, Jimbo aveva scelto di rimanere sulla strada. Qualche anno prima, davanti a una birra, gli aveva chiesto perché, ma senza ottenere una risposta chiara.
«Mi piace» aveva risposto Jimbo con una scrollata di spalle, e poi non ne avevano più parlato.
Jimbo Monsen.
Certo.
E adesso la risposta era già lì.
Attese finché non ritenne fosse trascorso abbastanza tempo e digitò il numero che gli era stato dato poco prima quel giorno.
«Curry?» disse la voce baritonale.
«Com’è andata?» domandò Curry trafelato.
«Bingo» rispose secco Jimbo. «Era Kevin, no? Un ragazzo? Sopracciglia strane?»
«Sì...» confermò Curry. «E Cisse?»
«Lei non l’ho trovata» rispose Jimbo. «So di chi stiamo parlando, ma dicono che se ne sia andata. Over.»
Gli anni sotto copertura non solo avevano trasformato il suo aspetto, ma anche il suo linguaggio. L’ultima volta che si erano incontrati, Curry l’aveva scambiato per un senzatetto.
«Sì? Morta?»
«Non ci scommetterei, ma così dicono.»
«Ma questo Kevin?» domandò Curry. «Sai dov’è?»
«Non è quello che ti ho detto? Vuoi vederlo, il tipo?»
«Sì, certo. Si può?»
«Tutto si può. Hai grano?»
«Grano?»
«Posso fissarti un incontro» disse Jimbo. «Ma dubito che vorrà venire a meno che non ci sia da fare un po’ di cassa. Non ci ricavi granché a parlare con uno del genere.»
«Sì, chiaro. Di quanto stiamo parlando?»
«Un carico dovrebbe bastare.»
«Mille corone?»
«Diciamo due, così se ne sta buono per qualche giorno.»
«Ottimo» mormorò Curry. «Come facciamo?»
«Ti chiamo io» disse Jimbo e la sua voce svanì.
«Ricarica?»
Luna si avvicinò sorridendo con la caffettiera in mano. Curry annuì e si chiese se non dovesse chiamare subito Mia. No. Meglio aspettare ancora un po’. Lasciarla dormire. Era da parecchio che non la vedeva così stanca.
Che situazione di merda.
Perché non si era accorto di nulla?
Maledetto alcol.
Ecco perché.
No, cazzo, così non andava.
Lui corrotto?
No, per la miseria.
Erano cambiati i tempi.
Ma lui era pur sempre un bravo poliziotto.
Curry imprecò tra sé, portò la tazza di caffè alla bocca e rimase seduto a fissare il vetro sporco della finestra.