Mia consegnò al tassista tutti i soldi che aveva, fregandosene dello sguardo meravigliato che ancora la puntava mentre con mani tremanti si richiudeva alle spalle la porta d’ingresso e saliva di corsa le scale. Nessuno in corridoio, per fortuna, non che avesse importanza: tirò fuori le chiavi e aprì. Spinse la porta, balzò in camera da letto e si fermò senza fiato davanti a uno degli scatoloni.
Tagliò il nastro adesivo con la chiave, tirò fuori l’album dalla scatola e si lasciò cadere seduta sul pavimento.
Album di Mia.
Ora tutto il suo corpo tremava.
Cominciò a contare.
Pagina uno.
Pagina due.
Pagina tre.
Poi vide la fotografia.
Ecco.
A pagina 4.
Sigrid con l’abito da ballerina. Avrà avuto cinque anni. Accanto a lei, la piccola Mia insicura che scrutava la telecamera con gli occhi socchiusi.
In mezzo.
La maestra di danza.
Una ragazza giovanissima, sui vent’anni. Con il costume da ballo, scarpette a punta, orecchini di perle. Teneva le braccia intorno alle bambine, con un gran sorriso per il fotografo.
Ma dannazione...
Di nuovo, mani tremanti, ma riuscì a proseguire.
Pagina sette.
Papà. Con lei in braccio. A un concerto all’aperto. Sorrideva alla macchina fotografica con il pollice alzato. Sullo sfondo qualcuno sul palcoscenico, un sassofonista jazz. La calligrafia arzigogolata della mamma sotto.
La canzone preferita di papà. My funny Valentine.
Non poteva...
Si costrinse a proseguire.
Pagina tredici.
Uno scoglio a Åsgårdstrand. Estate. Lei in costume con gli occhi socchiusi per il sole, forse quattordici anni. Un ragazzo accanto a lei. In costume da bagno. Gocce d’acqua sul corpo smunto. Sullo sfondo Sigrid che saluta avvolta in un asciugamano.
Alla fine è arrivato il sole. I ragazzi se la godono.
Mia sfogliava automaticamente.
Pagina ventinove.
In chiesa. Le gemelle vestite allo stesso modo. Sigrid con un gran sorriso. Lei con la bocca serrata, non voleva che l’apparecchio fosse immortalato. In mezzo, il prete.
Orgogliose cresimande!
Quattro.
Sette.
Tredici.
Ventinove.
Una macchina fotografica sul cavalletto. I numeri incisi sulla lente. Guarda, Mia. Guarda attraverso la macchina fotografica.
Perché diavolo...?
Eccola, la nausea che cresceva insieme al sudore freddo. Mia si trascinò in bagno e poggiò la testa sulla tavoletta, ma aveva lo stomaco vuoto. Mise le mani sotto il rubinetto e si sciacquò il viso con l’acqua fredda.
Lei.
La lista.
L’album di Mia.
Era di lei che si trattava.
Si passò una mano sul viso e tornò in fretta nella stanza, rimase seduta con le gambe raccolte cercando di far funzionare la testa.
Maledizione.
Ok.
Immagini.
Del mio album.
Sfogliò velocemente l’album fino alla prima foto.
E fu in quel momento che se ne accorse. Qualcuno l’aveva spostata. Staccandola. E poi incollandola di nuovo. Gli angoli non combaciavano. Le dita sembravano ancora non obbedire completamente, ma alla fine riuscì a sollevarla e a voltarla con cautela.
Qualcuno aveva scritto qualcosa sul retro.
Lettere sinuose a penna blu.
Congratulazioni.
Si riprese, continuò a sfogliare.
Immagine successiva. Pagina sette.
La girò.
Come sei brava.
Ora proseguiva automaticamente, i ragazzi sullo scoglio, girò rapida la fotografia.
Vuoi un ultimo indizio?
Quasi non riusciva a voltare le pagine. Il prete che sorrideva alla macchina fotografica, Sigrid e lei vestite allo stesso modo.
Identica grafia.
Una penna blu sul retro ruvido.
Salem.
Ma certo.
Per la miseria.
Mia lasciò l’album aperto a terra, si alzò, corse attraverso il salotto fino all’ingresso in cerca del giubbotto di pelle, poi si rese conto di averlo ancora indosso.
Salem.
Jon Ivar Salem.
I fratelli Cuordileone.
La casa bruciata.
A tastoni tirò fuori di tasca il telefono e cercò il numero di Ludvig Grønlie.
«Mia? Dove sei? Munch ha...»
«Il piromane» esclamò Mia di getto vedendo girare la stanza che le stava intorno.
«Chi?»
«Jon Ivar Salem... Te lo ricordi?»
«Sì, certo» rispose Grønlie da lontano.
«Puoi controllare, Ludvig? Dov’è? In quale prigione?»
«Va tutto bene, Mia?»
«Tutto a posto, Ludvig, puoi? Per favore?»
«Certo, un istante...»
Riusciva a sentire le dita di lui che ticchettavano sulla tastiera, in lontananza.
«Ullersmo» disse Grønlie.
«Sicuro?»
«Che sta succedendo, Mia?»
Non aveva tempo per rispondere, chiuse la comunicazione e corse in corridoio.
Le chiavi della Jaguar.
Dannazione.
Sì, là.
Sollevò il gancio della porta dall’occhiello, chi se ne importava se restava aperta alle sue spalle, e si mise a correre giù per le scale più velocemente che poté.